Il Mausoleo di Khwaja ‘Abdul Allah Ansari, per gli amici Abdul Ansari, si trovava a qualche chilometro da Herat, nelle vicinanze del villaggio di Gazer Gha,. Impiegammo quasi un’ora su un cammino sterrato e polveroso leggermente in salita, non invidiavo il cavallo che trainava la nostra carrozza e che ogni tanto si beccava un colpo di frustino, anche quando non ce n’era bisogno. Il rapporto degli afghani con gli animali da lavoro era di completa indifferenza verso la loro fatica e se il cavallo o l’asino o il mulo non voleva andare perche’ stanco, invece di farlo riposare lo prendevano a bastonate. I cavalli afghani pero’ erano noti per la loro imprevedibilita’. Per non parlare dei cani, animali immondi da prendere a calci se si avvicinavano troppo, mendicanti sempre affamati. Per i gatti era diverso, per nutrirsi andavano a caccia e non avevano nessuna intenzione di avvicinarsi agli uomini. Gli uccellini erano amati, spesso si vedevano gabbiette con uccellini cinguettare davanti alle porte o appese alle finestre al sole. Sempre che tenere un uccello in gabbia sia amore. Ma tutto comunque era mangiabile al momento opportuno.In mezzo ad un paesaggio pietroso, in cima ad una collinetta da cui si vedeva Herat in fondo alla valle, c’erano delle vecchie mura che raccoglievano il cimitero con il Mausoleo di Abdul Ansari ed un altro Sacrario che non ricordo dedicato a chi.Nel cortile centrale c’era il cimitero. Apparentemente Abdul Ansari era un uomo semplice che non amava la compagnia dei privilegiati, dei ricchi e nobili. Ma non si dice cosi’ di tutti i santi? Abdul era un santo Sufi di religione Sunnita. Scrittore di testi filosofici e mistici, maestro venerato dai discepoli e visitato da gente di tutto il mondo allora conosciuto.
Senza dubbio il cittadino piu’ importante che mai Herat abbia avuto. Essere sepolti vicino a lui era un onore ma non era possibile per le classi popolari, solo i nobili, religiosi, gli artisti famosi potevano essere sepolti in quel cimitero quindi la gente di cui non voleva circondarsi da vivo, ora lo circondava da morto. Parte degli edifici erano stati restaurati da poco e qualcosa rimaneva dei bellissimi mosaici. Il cimitero era invece quasi abbandonato e molte lapidi di marmo bianco erano abbattute o storte o completamente distrutte. Ali ci porto’ a vedere una lapide e ci tradusse il testo. Era la storia di come quella persona era stata perseguitata ed assassinata e faceva anche il nome dell’assassino.Nel cortile c’erano delle persone pregando, ma Ali disse di non preoccuparci e di visitare tranquillamente il posto. Riuscimmo anche ad entrare nel mausoleo dove era la tomba di Ansari. Ero un po’ sul chi vive perche’ gli afghani anche se erano un popolo fra i piu’ ospitali, e chi ha conosciuto l’ospitalita’ afghana sa di che parlo, erano anche molto conservatori e orgogliosi dei propri costumi e regole sociali e molto osservanti al livello religioso. A volte perfino pignoli sul modo di sedersi per mangiare. Praticamente dovevi essere tu ad accomodarti alle loro regole sociali e non loro a tollerare le tue. Cosa ragionevolissima che mi stava piu’ che bene.
Ma Ali aveva viaggiato in Europa ed era di idee aperte. Fu lui a convincerci ad entrare nel Mausoleo dove Abdul Ansari fu sepolto nel 1088. Ci togliemmo le scarpe ed entrammo. Io non sono un mistico ma il luogo imponeva rispetto. Sara’ stato il silenzio, l’aria fresca dell’interno, la luce diffusa e la bellezza dei pochi mosaici superstiti ancora alle pareti e forse anche la presenza di fedeli col turbante impegnati a leggere e pregare, che mi sedetti anch’io in un angolo come fanno i musulmani ad ammirare l’assenza del tempo.Ero stato fortunato in fondo non avrei mai visto quel posto se non avessi incontrato quella persona, quella sera ad Herat.La carrozza ed il suo padrone erano ancora li ad aspettarci. Il cavallo si era finalmente riposato e andava sciolto al trotto.Ali propose di passare a casa sua a bere un te’. Prima di entrare in citta’ svoltammo a destra ed imboccammo una strada che costeggiava la campagna ma che presto divenne rinchiusa fra mura di cinta. Ogni tanto una porta o un cancello di entrata. Ci fermammo davanti ad uno di questi. Un giardino di alberi di frutta era nascosto dietro quelle mura, mi sono sempre meravigliato della capacita’ degli afghani di crearsi dei piccoli paradisi in mezzo al deserto. Ali fece entrare la carrozza lascio’ che il cavallo pascolasse a piacimento e ci invito’ a visitare il giardino.Dopo tutte le presentazioni della famiglia, la madre non vestiva il burka ed aveva gli occhi chiarissimi, ci sedemmo su un tappeto nel giardino a bere te’ e mangiare dolce di banana, detto “Banana Bread”, che diventera’ uno dei miei cibi favoriti nei mesi a venire. Mangiammo anche frutta varia, uva e ricordo delle mele piccole ma deliziose, tutto prodotto del loro giardino.Di ritorno all’hotel il pulmino Volkswagen con targa internazionale (quelle ovali) era ancora li’.Un paio di loro erano seduti a bere te’ cosi’ chiacchierammo per un po’. Alcuni venivano dall’India, altri dal Nepal, il pulmino andava ad Amsterdam.
Dunia Grigolo
Credo siano luoghi che,indipendentemente dalle proprie visioni della vita,risvegliano l’altra faccia della medaglia:la spiritualità.E poi
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AdminProprio ad Herat, per soffermarmi su Afghani e animali, mi beccai uno dei più bei traumi. Girando a piedi per il centro incappai in un forno la cui pubblicità era un profumo meraviglioso che si spandeva tutto intorno. Mi comprai un nan appena sfornato e mangiandolo feci due passi lì fuori. Accanto c’era l’ingresso di un locale buio da cui proveniva uno strano rumore di trascinamento. Entrai e ci volle un po’ per abituare gli occhi a quel buio: un un stanza non grandissima c’era al centro una vasca rotonda di pietra dentro cui una enorme mola ruotava macinando grano trascinata dal passo lento e inarrestabile di un cammello ceco attaccato alla sbarra. E gli uccellini in gabbia fuori le case erano Kauk. Quaglie dagli speroni ben affilati usate per i combattimenti. In Afghanistan si scommette su tutto.
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Pino decisamente poca coscienza animalista
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