27 – VIAGGIO IN AFGHANISTAN Ventisettesimo episodio

Herat sembrava una citta’ in rovina nel paese piu’ povero del mondo. Il nostro hotel si trovava su un vialone con al centro degli alberelli che dividevano le corsie. Il traffico era rappresentato quasi unicamente da carrozze, asini carichi fino al surreale, qualche persona in bicicletta altri a cavallo di cavalli decorati con nastri colorati, collane di perline e campanelli ma la maggior parte della gente andava a piedi, molti scalzi . Ogni tanto passava un camion carico di roba o di gente che sembrava dovesse cadere a pezzi da un momento all’altro. Tutti i camion e gli autobus erano vecchi rottami americani, ridipinti a mano con i soggetti piu’ vari. Da animali inverosimili a scene spesso riprese da cartoline di paesaggi o citta’ che nessuno in Afghanistan aveva mai visto, eccetto forse il nostro nuovo amico Ali Khan che avrei incontrato dopo la fine della scuola. Lo stile dei dipinti era ingenuo ma fatti con mano esperta ed erano coperti da scritte probabilmente frasi del Corano. I pittori di camion erano dei veri artisti e mi sarei appassionato a quel genere di arte fino ad andare a curiosare in un campo di rottami dove di tre quattro camion distrutti ne ricavavano uno buono che poi ridipingevano ad arte. Il lato posteriore, quello che ti trovi davanti guidando, era l’illustrazione piu’ importante, quella che dava carattere alla storia raccontata sulle fiancate. Ognuno di questi era in se meritevole di un museo. Ad un certo punto del viaggio pensai che avrei potuto lavorare dipingendo camion oppure insegne dei negozi. Le insegne erano infatti altre opere d’arte. Una scarpa per il calzolaio, una tenaglia e martello per il ferramenta, un dente per il dentista e cosi’ via, tutti dipinti a mano a colori psichedelici.In fondo al viale del nostro hotel c’era una piazza rotonda da cui partivano diverse vie. A quei tempi, e non so come facevamo, viaggiavamo senza mappe o guide turistiche, eppure arrivavamo sempre, prima o poi, a destinazione. Una di quelle strade mi porto’ davanti ad una collina con le rovine di quello che sembrava un antico forte militare o un castello. Il fortino era in completo abbandono, rimanevano in piedi solo i muri, 3 o 4 torrette e qualche struttura. Nel corso della storia e’ stato distrutto e ricostruito secondo l’invasore di turno, gli ultimi a distruggerlo furono gli inglesi. Al momento attuale si stava sgretolando poco a poco. Dall’alto si aveva una bella vista della citta’, marrone e piatta, fatta di terra e fango, ma anche qualche edificio piu’ moderno. A destra vedevo i cinque minareti e davanti, abbastanza vicino, spuntavano fra i tetti delle case due bei minareti decorati con maioliche blu e turchesi e la cupola di una moschea. Herat fu una citta’ magnifica, una oasi sulla Via della Seta, con moschee e santuari e palazzi. Di tutto cio’ rimanevano solo tracce confuse.Tornando all’hotel mi fermai a comprare del pane, naan. I panettieri lavoravano costantemente giorno e notte cosi’ che il pane era sempre fresco. Le botteghe dei panettieri erano generalmente luoghi di grande attivita’ e ci lavoravano in media 5, 6 persone. Al centro della bottega c’era il forno, ossia un buco rotondo tipo pozzo in fondo al quale ardeva il fuoco.Da un lato un ragazzino passava le palle di pasta a quello che le avrebbe spianate tipo pizza. Dopo averle spianate e lavorate con le dita le passava ad un altro che le stendeva su un cuscinetto e velocemente allungava il braccio nel pozzo/forno e le attaccava alla parete calda dove il pane si sarebbe cotto. Quando era pronto un altra persona staccava il pane dalla parete del forno con una lunga pinza e passava il pane ad un altro che lo avrebbe ordinato in mostra sulla strada. Il pane afghano e’ fra i migliori del mondo, quando e’ fresco, per questo la produzione e‘ continua. L’Afghanistan non aveva bisogno di importare grano, la produzione nazionale era sufficiente, un buon grano di montagna che dava ottima farina per dell’ottimo pane. L’altra coltivazione importante era la cannabis e in quantita’ minori, ma che andavano sempre piu’ aumentando in quei primi anni 70, l’oppio e purtroppo si cominciava a trovare anche eroina cosa completamente estranea alla cultura afghana. Cosa stava succedendo?L’oppio non era mai stato importante per gli afghani che semmai preferivano l’hashish. Anche come droga da esportazione la produzione afghana di oppio non era una quantita’ notevole, di gran lunga superata dalla Turchia e dall’Iran dove la coltivazione e l’uso era radicato da secoli. Dopo la Seconda Guerra Mondiale le “potenze vincitrici” attraverso le Nazioni Unite cominciarono a regolare il mondo dei narcotici e quindi la produzione dell’oppio, la medicina “cura tutto”, da cui si estrae la morfina per uso medico. Diedero il permesso di coltivare oppio legalmente a sette paesi fra cui Grecia, Turchia e Iran. Inutilmente l’Afghanistan chiese una percentuale di produzione che avrebbe risolto i problemi economici del paese ed eliminate le varie criminalita’ organizzate internazionali. L’oppio e’ una coltivazione perfetta per i poveri contadini afghani perche’ la semina e il raccolto avvengono in periodi in cui non c’e’ niente da fare in agricoltura, quando il papavero e’ pronto il grano ancora e’ verde e arriva alle ginocchia…La richiesta dell’Afghanistan fini’ nel dimenticatoio. In realta’ non si fidavano degli afghani. Il ventennio 1950/60 vide il sorgere dell’eroina prodotta dalla mafia nel mondo delle droghe e la sua divulgazione di massa prima negli Stati Uniti e poi in Europa. I mafiosi italiani compravano l’oppio turco ed iraniano che veniva sottratto alle coltivazioni legali, lo trasportava in Libano dove veniva trasformato in base di morfina poi portata a Masiglia dove i Corsi raffinavano il tutto, erano bravissimi chimici, trasformando il prodotto in eroina pura al 90%. I mafiosi siciliani si occupavano di spedire il tutto negli USA dove a New York, in un appartamento nella Pleasant Avenue, nella Harlem “italiana”, veniva tagliata e messa sul mercato dai loro colleghi italo-americani.Quindi il problema droga per gli americani non era finito ma stava aumentando e anche troppo. Cercarono di convincere Iraniani e Turchi di chiudere le coltivazioni, ci riuscirono per un breve periodo ma il business era troppo grande, il giro di soldi al livello anche governativo e militare troppo cospicuo e la popolazione locale di drogati cosi’ grande che l’Iran decise di ricominciare la produzione. Gli USA premettero e minacciarono e ricattarono , finche’ gli iraniani accettarono di emanare leggi durissime contro i trafficanti. L’oppio prodotto legalmente era controllatissimo e solo per uso di drogati nazionali al di sopra di 60 anni e per malati inguaribili. Finche’ dovette smettere completamente, cosi’ come la Turchia. La perdita economica era grandissima. L’Iran si ritrovo’ invaso di oppio afghano di contrabbando per l’uso del mercato interno. Gli iraniani amano l’oppio da secoli, era un ottimo mercato pagato con i petro dollari. Governo e militari erano arrabbiatissimi, stavano perdendo milioni di dollari all’anno e decisero di riprendersela con i trafficanti, specialmente gli europei e gli americani. E arriviamo agli anni 70, 71. Un americano famoso che fu vittima di questa atmosfera di vendetta fu Billy Hayes, che fu arrestato a Istambul Airport con un paio di chili di hash e che poi scrisse Midnight Express da cui fu anche tratto un film. In tempi “normali” avrebbe pagato una multa e via, ma in quel momento pago’ la vendetta turca e vagabondo’ per quattro anni nelle prigioni turche. Gli Iraniani stabilirono la pena di morte per i trafficanti, giustiziati a volte, si diceva, contro un muro dietro la dogana, senza perdere tempo. Molti fecero una brutta fine cercando di passare la frontiera in macchine o pulmini imbottiti di hash, vittime della atmosfera politica di quel momento ma anche della loro mancanza di informazioni . Molti giovani europei, senza soldi pensavano di poter guadagnare affrontando quel viaggio sia per proprio conto o come cammelli trasportando la droga altrui. Ad alcuni andava bene ad altri male. Ma una volta in Afghanistan il pensiero di fare un business veniva a tutti. Ricordo che uscendo dall’Iran, alla frontiera, c’era una interessante mostra di sistemi per trasportare la droga. Borracce a doppio fondo, stivali a doppia suola, ruote di macchina, dentro il culo…, borse e valige imbottite doppi fondi nelle automobili etc.. etc.. come dire se pensate di tornare con dell’hashish toglietevelo dalla testa che ne sappiamo piu’ di voi…Per questo i veri trafficanti, quelli che trasportavano quintali di oppio, gli afghani, non avrebbero mai usato la frontiera ma passavano sulle montagne per terreni impervi e deserti in carovane di muli ed asini armati fino ai denti per poi entrare in Iran a sud di Kandahar.Anche la mafia aveva perso affari e stava studiando la possibilita’di usare l’oppio afghano e pakistano, produrre la base di morfina in Pakistan e spedirla via Karachi. Una operazione un po’ piu’ complessa ma che poteva andare. Anche alcune raffinerie gia’ si trovavano in Pakistan e quella eroina era ottenibile a Kabul. Sappiamo ora che in un secondo momento i trafficanti internazionali avrebbero cominciato servirsi dell’oppio del Triangolo d’Oro, Tailandia, Laos e Burma.Queste cose piu’ o meno me le stava raccontando Ali Khan mentre eravamo seduti sulla piattaforma del mio hotel bevendo un te’ e mangiando pane fresco. Il discorso parti’ dal fatto che al mio hotel era arrivato un pulmino Volkwagen carico di hippies che tornavano in Europa. Ali commento’: Spero che non portino hashish in quel pulmino” e quando chiesi il perche’ mi racconto’ tutte queste cose. Quell’uomo era una vera fonte di informazioni. Piu’ tardi quel giorno mi avrebbe portato a visitare un antico cimitero fuori citta’ dove, intorno alla tomba del piu’ grande poeta e filosofo e santo Sufi di Herat, Allah Ansari, erano sepolti personaggi meritevoli del mondo Islamico, poeti, principi, militari e dervisci.

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