29 – VIAGGIO IN AFGHANISTAN Ventinovesimo episodio

Ore monotone verso Kandahar, unica sorpresa fu la strada asfaltata. Era stata pavimentata dai russi negli anni ’60 in segno di buona volonta’, certamente non era una super strada ma andava bene per le loro mire militari. Come tutto in Afghanistan anche la strada sembrava essere di seconda e terza mano con mille toppe e riparazioni. Un pericolo erano i camion e gli autobus i cui autisti andavano come pazzi. Li vedevi arrivare da lontano colorati all’inverosimile, carichi di gente con i turbanti in testa e coperte sulle spalle, capre, pecore e galline e poi sacchi e sacchi di chissa’ che. Quando li vedevo arrivare mi mettevo ad aspettarli il piu’ possibile sulla destra. Passavano sfrecciando. Altri li trovavi fermi lungo la strada chi cambiando una vecchia ruota con un’altra vecchia ruota chi con il cofano aperto e qualcuno infilato nel motore o altro. Se erano autobus rotti tutti i passeggeri stavano accucciati sul bordo della strada in attesa. Oppure se era andata male li vedevi cappottati e abbandonati nel deserto in attesa di essere smontati e riutilizzati in qualche modo, non si gettava nulla in Afghanistan, tutto si trasformava. Gruppi di nomadi a volte viaggiavano paralleli alla strada. Apparivano a media distanza con i loro cammelli, con gli asini carichi, a cavallo, a piedi, donne coloratissime con i bambini. Poi sparivano chissa’ dove. Anche qui come in Iran, ogni tanto, dall’ocra del deserto spuntava una cupola turchese brillante con il suo minareto. Andammo avanti in questo deserto pietroso color cammello per 500 chilometri finche’ improvvisamente apparve il verde.

L’estremita’ delle montagne dell’Hindu Kush sono monti pietrosi e spogli fra i quali pero’ scorre una infinita’ di fiumi, risultato delle nevi abbondanti, lungo i quali ci sono valli fertili e lavorate con campi coltivati a grano e frumento, frutta, animali ed i villaggi erano fatti di terra dello stesso colore delle montagne. All’interno del paese le comunicazioni fra villaggi erano difficili, si raggiungevano solo con ore a dorso di cavallo o a piedi. Ogni villaggio quindi era una entita’ separata autonoma e autosufficiente, con il suo capo e le sue regole, spesso la sua lingua e appartenenza etnica, un po’ come le tribu’/nazioni degli indiani americani. L’unica strada asfaltata era l’anello Herat, Kandahar, Kabul, Mazari Shariff. La parte Mazari Sharif-Herat non era ancora stata pavimentata. Tagliare per dritto da Herat a Kabul era impensabile.Il verde in cui stavamo entrando alla fine della giornata era la valle del fiume Helmand ed era un piacere dopo quasi dieci ore di paesaggi color cammello. C’era un paese sul fiume con una chai house e passammo la notte li. Un centinaio di chilometri piu’ a nord nel 1953 era stata costruita dagli americani una grande diga che dava acqua per irrigazione ad un territorio vastissimo.Nella chai house successero un paio di cose interessanti. L’interno era la classica chai house: uno stanzone rettangolare male illuminato con le pareti ricoperte da manifesti con brani del Corano, ritratti di uomini con barba e con turbante, scritte in afgano dai disegni bellissimi, tappeti con paesaggi svizzeri, altri con le tigri del bengala, insomma una gran varieta’ di cose da osservare. Per terra tappeti ovunque, vecchi e sporchi…ma pur sempre tappeti. Gruppi di uomini seduti in piccoli cerchi a terra con le gambe incrociate mangiando e bevendo te’. Un grande vassoio al centro di ogni gruppo con il cibo da compartire e ognuno il suo naan, tutti mangiavano con le mani. Ci sedemmo anche noi in un angolo col nostro vassoio e te’. Accanto a noi c’era un gruppo che ad un certo punto cominco’ a discutere animatamente fino ad alzare troppo la voce. Siccome la cosa non si placava il padrone della chai house arrivo’ con un fucilone che sembrava uscito da una di quelle stampe romantiche dell’ottocento dell’arabo sul cammello nelle dune del deserto, si mise davanti al gruppo a gambe aperte puntando l’arma e disse qualcosa con fare molto serio. Cadde il silenzio nella chai house. Il padrone abbasso’ l’arma e se ne ando’. Niente piu’ problemi. La seconda cosa che successe fu piu’ pacifica, anche troppo: un altro gruppo dopo cena tiro’ fuori una pipa ad acqua. Anche la pipa, come tutto, era fatta con materiali di fortuna riciclati. Niente a che vedere con i narghile’ decadenti dei turchi o le pipe di cristallo dei persiani. Le pipe afghane erano ricavate da qualunque contenitore potesse servire, di terracotta, di latta, vecchie lattine di DDT, non c’era limite alla fantasia. Le pipe non saranno state un gran che ma quello che ci fumavano era, nel suo genere, il migliore del mondo.Dopo la pipa venne il materiale. Hashish, pensai, ma mi sbagliavo, era oppio. Si riconobbe subito dal profumo che comincio’ a espandersi per la chai house. Fumavano e si passavano la pipa un giro dopo l’altro. Ad un certo punto uno dopo l’altro si stesero e non si mossero piu’.Il padrone della chai house si presento’ da noi con un pezzo di oppio facendo segno di fumarlo. Era un regalo della casa. Tirai fuori la pipetta turca e ci facemmo un paio di tiri. YS si mise subito a dormire, io fui colto da totale paralisi e rimasi ad osservare le crepe del soffitto per non so quanto tempo.La cena era stata ottima con tante verdure diverse e molta frutta, sopratutto tanto melone. Tutti prodotti della valle di Helmand. Anche l’oppio era un prodotto locale, quella regione, seppi poi, era la piu’ grande produttrice di oppio di tutto l’Afghanistan e probabilmente del mondo, oppio principalmente diretto in Iran.



  • Fabio Patalani

    Piacevolissima la mancanza di enfasi , la scorrevolezza con , ciliegina sulla torta , l’atmosfera…..
  • Pino Cino

    Admin
    e di quei deliziosi fiumi che da quelle montagne scendono per perdersi poi nel deserto è rimarchevole che attraversino le strade prive di ponti. più pratico avvallare leggermente llfondo stradale. Può così capitare che in primavera stessimo viaggiando su quella bella strada in una notte senza luna e i fari illuminarono una pozza d’acqua: nessun rallentamento e via a passare oltre. errore: la pozza era in realtà un fiume bello largo con una corrente simpatica che prese il furgone facendolo ruotare. nel buio più totale i fari non illuminavano altro che acqua. uno di noi si arrampicò sul tetto del volkswagen e frugando il buio ci guidò fuori dalla corrente ritrovando la strada. bei fiumi e splendide indicazioni: tanto servirebbero per brevi periodi.
    • Paolo Paci

      Author
      siPino Cino non mi fidavo viaggiare la notte… i fiumi non erano le sole sorprese…anche i mari… di capre

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