Con la radio a tutto volume il ristorante sotto la mia finestra si preparava ad aprire. Il ragazzino stava lavando la strada con una pompa, l’uomo dei crani di pecora stava sistemando i tavoli, il forno era acceso, o meglio, non era mai stato spento. Eravamo pronti a partire.Subito dopo l’uscita del paese fra la strada e il fiume c’era un grande campo con molta gente al lavoro. I carri che erano sfilati durante la notte davanti al nostro hotel erano ora tutti li’. Gruppi di uomini e donne lavoravano insieme intorno a quello che sembravano grossi cubi di legno. Fermammo la 2CV sul prato e ci avviammo a piedi a vedere. Con dei forconi di legno gli uomini scaricavano i covoni di frumento dai carri, le donne li aprivano e li mettevano in questi pesanti cubi all’interno dei quali c’erano due telai di rete metallica che si muovevano scuotendo il frumento, azionati da una leva di legno che a forza di braccia veniva spinta avanti e indietro. I grani di frumento cadevano cosi’ in terra su una tela e il fieno veniva raccolto, se ne facevano nuovi covoni e ricaricato sui carri. Il frumento veniva poi messo nei sacchi. Una trebbiatura medievale fatta a mano con strumenti che sembravano disegnati da Leonardo da Vinci. Era un lavoro faticosissimo e donne e uomini si davano il turno alla leva di legno. Ero affascinato, in che epoca mi trovavo? A meta’ mattinata il lavoro era quasi finito, avevano cominciato prestissimo ancora con il buio per approfittare del fresco, alcuni carri stavano portando via il fieno e sarebbero tornati vuoti a prendere i sacchi di semi. C’e’ qualcosa nelle societa’ contadine che mi e’ sempre piaciuta ed e’ la franchezza e mancanza di complicazioni, come dire: le cose sono come sono. No nonsense. Questa gente era cosi’, ci guardava e sorrideva senza interrompere il lavoro, le donne con le facce rosse incorniciate dai grandi scialli a fiori, le bluse e le gonne colorate, le mani dure e screpolate, gli uomini in panciotto nero e camicia bianca tutti con i baffi e i cappelli alla siciliana, sempre fumando. Le donne giovani erano bellissime, occhi e capelli nerissimi, sguardi che non si abbassavano come quelli di molte donne del mondo musulmano. Questa gente era diversa. Ognuno mi offriva una sigaretta e io mi mettevo la mano sul cuore. Ai limiti del campo, vicino al fiume, c’era un forno di terra con un gruppo di donne sedute intorno a fare il pane chiacchierando. Un pane piatto e lungo come si mangia in tutto il medio oriente. Facevano delle palle di pasta e le appiattivano con una stecca rotonda tipo pizza e le mettevano nel forno su una piastra di ferro sotto cui ardeva il fuoco. Pane medioevale. Accanto al forno si faceva il te’. Intanto cominciavano a ritornare i carri vuoti per caricare i sacchi. Da uno dei carri scesero tre uomini con strumenti musicali. La situazione mi ricordo’ Kavala.Ad un certo punto tutti i sacchi erano stati caricati e intorno al forno era stato arrangiato un banchetto variatissimo di cose buone da mangiare. Ogni donna aveva portato qualcosa. Fummo invitati. I musicisti accompagnavano il pranzo, suonavano una musica diversa da cio’ che avevo sentito finora, era un suono moderato, quasi religioso. Il mandolino a collo lungo qui veniva chiamato Tambur, poi c’era un tamburello di grosse dimensioni e un violino che veniva suonato non appoggiato alla spalla ma tenuto verticale e a volte appoggiato in terra. Ad un certo punto uno dei contadini si fece avanti e comincio’ a cantare e alcuni facevano da coro, dopo canto’ una donna e altre cantarono con lei. Poi il ritmo si fece piu’ veloce e la gente comincio’ a ballare in semicerchio. Quella era una festa archetipa, la celebrazione in onore del Dio Raccolto una occasione per festeggiare la fine di un ciclo e l’inizio di un altro. A meta’ giornata tutto era finito, anche il cibo. Andai a visitare i musicisti. “Guzel musik” (bella musica) dissi in turco e poi feci un errore di ignoranza e dissi che la musica turca mi piaceva molto. Mi guardarono seri e dissero “No turk musik!, Kurd music!” Erano Curdi, certo! Ero in Kurdistan e la differenza si sentiva, la avevo notata la sera prima ma non avevo afferrato cosa fosse.Negli anni 70 i Curdi stavano vivendo un momento di relativa tranquillita’ nel senso che, senza esagerare, erano lasciati in pace, prova ne era che stavano suonando la loro musica e ballando le loro danze. In passato, ma vedremo anche in futuro purtroppo, era stato fatto di tutto per farli sparire come popolo ed entita’ etnica. Subito dopo la prima guerra mondiale i curdi ebbero l’opportunita’ unica di creare un Kurdistan indipendente e al momento della spartizione dei territori la clausola fu introdotta nei trattati del 1920. Ma al momento della ratificazione degli accordi, nel 1923, la clausola era misteriosamente, sparita dal testo e non c’era nessun accenno del Kurdistan ne’ del popolo curdo in generale, come se non fosse mai esistito. Lo stesso anno Ataturk divenne presidente della nuova Repubblica Turca, fu lui ad imporre la cancellazione del popolo curdo e del Kurdistan dalle mappe del medio oriente? Tutto fa pensare di si. Da allora per i curdi fu sempre strada in salita, da una limitazione all’altra da una ingiustizia all’altra fino alla proibizione della lingua curda dalle scuole, relegata a semplice dialetto, la proibizione di suonare la musica curda e ballare le danze tradizionali, come quella a cui avevo assistito, anche per radio e proibizione della vendita di dischi. Gli artisti curdi non poterono piu’ esibirsi, gli scrittori scrivere, i musicisti suonare. Un modo per indebolire moralmente un popolo, un vero genocidio culturale, ma non solo. Ma i curdi non si sono mai arresi, tutt’altro, e ancora oggi continuano a lottare per la loro indipendenza.A meta’ giornata la festa era finita. La 2CV odorava a paglia, terra e erba fresca, arrotolai il tettino per viaggiare all’aperto e misi in moto.
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