30 – VIAGGIO IN AFGHANISTAN Trentesimo episodio

Il Khyber Hotel di Kandahar era dipinto di blu. La pareti erano blu, le travi di legno del terrazzo erano blu, la nostra stanza era blu e cosi’ via. Il terrazzo dava su un vialone polveroso del quale non si vedeva la fine. Vicino al Khyber Hotel i camionisti si davano appuntamento prima di partire e c’era un gran via vai. Anche era il punto di partenza degli autobus, vecchi Ford che in America erano stati School Bus e che erano stati regalati all’Afghanistan. La gente li riempiva fin sopra il tetto, fra pacchi d’ogni genere.Tutto intorno c’era il mercato. Tende colorate sopra le porte delle botteghe facevano ombra sulla strada, un andare e venire continuo di gente fra venditori seduti in terra con le loro mercanzie e gli immancabili cani randagi.Negli anni 50 e 60 c’era stata una gara di generosita’ fra russi e americani. I russi costruivano una strada? gli americani costruivano un aeroporto, i russi facevano anche loro un aeroporto? gli americani facevano un paio di dighe, una delle quali riforniva d’acqua la valle di Kandahar. I russi facevano un tunnel? Gli americani regalavano autobus e camion. Per molti anni gli Afghani usufruirono di questa generosita’ poco disinteressata. Erano tutti aiuti strategici, l’Afghanistan non ha mai smesso di fare gola agli imperi. I camion e gli autobus che si vedevano in giro dipinti, decorati e colorati facevano parte di questa strategia di avvicinamento amichevole.Il terrazzo del Khyber era decorato con bambole e pupazzi in costumi tradizionali ed era in comune con le altre stanze. I nostri vicini erano una coppia di tedeschi diretti a Goa. C’erano anche degli italiani che non incontrai in hotel ma li avrei incontrati in una situazione esilarante sulla via per Kabul. I tedeschi erano arrivati da Herat e andavano direttamente a Quetta, in Pakistan, per poi proseguire verso Karachi.Sul terrazzo fumammo un po’ del mio hash (quello scambiato per lo shampoo).Il tedesco voleva comprare hashish da portarsi a Goa ma non voleva esporsi per paura di essere denunciato alla frontiera. Kandahar era un buon posto per comprare hashish e oppio ma presentava dei problemi. Era l’ultima fermata per i trafficanti prima di contrabbandare la merce in Iran o Pakistan e si trovava da comprare un po’ ovunque ma come tutte le citta’ di frontiera tutti cercavano di fare soldi in un modo o nell’altro di conseguenza c’era sempre la possibilita’ di un inganno. Vendetti il mio pezzo al tedesco cosi’ si mise l’anima in pace e piu’ tardi comprai del polline.Verso la fine del pomeriggio andai a fare un giro al mercato. Rimasi subito colpito dagli odori che galleggiavano nell’aria. Spezie varie di diversi colori, pane fresco, cacche di asino, carne alla brace, aromi di te’. Bellissimi lavori di artigianato, i famosi giacconi di pelliccia ricamati a fiori, camice di cotone ricamate bianco su bianco, sandali con le suole di gomma di copertone e poi tutta una serie di cose riciclate e ridipinte. Gabbie per gli uccellini di tutte la forme, pentole, padelle e caldaie di alluminio con piccole cucine a carbonella. Strumenti musicali, tamburi di terracotta e di legno, di tutte le dimensioni. Gioielli, quasi tutti d’argento o latta, con monete decorative e vetri colorati. E naturalmente tappeti, quasi tutti bellissimi. Scatole ed oggetti in pietre turchesi e lapislazzuli. Coltelli di tutte le misure fatti a mano con un arrotino che schizzava scintille dappertutto . Mi comprai un coltello che si apriva a ventaglio ed usciva fuori la lama. Lo trovai una invenzione geniale. Purtroppo mi fu rubato a Roma in una casa di Trastevere.Comprai anche un paio di camice di cotone di cui una con dei puntini rossi che divenne la mia favorita.Come mi aspettavo qualcuno mi chiamo’ “Hi Mister…hashish?”.Andammo nel retrobottega e mi fece vedere la merce. L’oppio non mi interessava, non volevo perdere altro tempo osservando il soffitto. Fui invece attratto da una palla di polline, una novita’ per me. Lo volevo provare e pensavo di fumarlo nella mia pipa ma il tipo mi fece capire che non era il modo giusto. Cosi’ comincio’ una operazione interessante ed istruttiva. Mise del polline sul palmo della mano, ci sputo’ sopra e comincio’ ad impastarlo. Ogni tanto lo bruciava un po’ e poi continuava ad impastarlo finche’ divenne una palletta scura e gommosa. Cosi’ si fuma e mi disse di provarlo. Sinceramente l’idea di fumarmi il suo sputo non mi attirava cosi’ dissi di volerci provare io per imparare… col mio sputo, ma questo non glielo dissi. L’operazione mi diverti’, il risultato era ottimo e sul palmo della mia mano rimase una macchia verdognola che non ando’ piu’ via.In Hotel c’era un libro sull’Afghanistan lasciato da qualche inglese o americano.Un capitolo era dedicato alle etnie che compongono, o componevano cinquanta anni fa, il tessuto della societa’ afghana e le differenti lingue parlate. La lista era lunga una quindicina, niente male per un paese grande come la Francia per un tre quarti occupato da montagne. Era il segno lasciato da secoli di invasioni e occupazioni e fughe, carovane di commercianti provenienti da ogni dove e nomadi sempre in movimento.Presi un appunto delle varie etnie e lingue nel mio libretto. Ecco la lista:Pashtun (i piu’ numerosi), Tajik, Haraza (asiatici), Usbek, Kuchi Aimak (nomadi), Barloch, Turkmen, Nuristani, Pashai, Pamir, Gurjar, Jat, Kyrgiz, Brahui, Mogol. Probabilmente ce ne sono di piu’. Queste etnie hanno la loro lingua, si somigliano forse ma sono indipendenti. Anche i tratti fisici posso essere diversissimi dall’asiatico ereditato dai mongoli di Gengis Khan ai tratti europei ereditati dai greci di Alessandro Magno.Andammo a mangiare in un ristorante li’ vicino.Sulla piattaforma accanto alla nostra, seduto a gambe incrociate, c’era un tipo in turbante che suonava uno strumento che non conoscevo ma che venni poi a sapere era l’anima musicale dell’Afghanistan, lo Strumento Nazionale: il Rabab. Una specie di chitarra dalla forma bislacca come un grande violino con una infinita’ di corde di cui solamente quattro sono per la melodia tutte le altre servono a produrre un suono di fondo che non abbandona mai. Le note escono dolci e dure, a volte sembra un sitar indiano altre volte un tambura turco, o un mandolino napoletano. Allegro, mesto, orientale, jazz…

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