Decidemmo di viaggiare senza soste e passammo la notte a Erzincan, prima delle montagne.La città si trova alla estremità di una valle molto fertile grazie all’acqua dell’Eufrate che si forma qualche centinaio di chilometri piu’ a monte dalla convergenza di due fiumi , il Karasu e il Tuzla.All’altezza di Erzincan l’Eufrate fa un’ansa a 45 gradi e scompare verso sud per poi sfociare nel Golfo Persico dopo aver attraversato Turchia, Siria e Iraq.La mattina partimmo per Erzorum dove contavamo di fare i visti per l’Iran. Per un paio d’ore si viaggio’ costeggiando l’Eufrate finche’ lo attraversammo per non vederlo piu’. Poco dopo il ponte cominciava la salita e la 2CV rallento’ in curva e sul ciglio della strada c’era una tartaruga capovolta. Tutti sappiamo, che le tartarughe capovolte non possono girarsi da se e possono anche morire, almeno cosi’ ci raccontavano da bambini, quindi mi fermai per salvare la tartaruga. Appena l’avevo fra le mani arrivo’ correndo uno sciame di ragazzini che volevano vendermi la tartaruga. A proposito di intraprendenza commerciale! La avrei anche comprata non fosse altro per premiare la loro sorprendente inventiva e capacita’ psicologica, ma viaggiare con una tartaruga era una responsabilita’ che non volevo prendermi.Non so oggi, ma cinquanta anni fa Erzurum era una citta’ dura. Una citta’ di frontiera che nel corso della sua storia e’ stata occupata e difesa, rubata, restituita in una serie continua di guerre e massacri che sono andati costruendo una corteccia difensiva intorno allo spirito della gente. Fu la prima difesa dell’Impero Romano di fronte ai Persiani. In seguito conquistata dai Mongoli, dagli Arabi dai Persiani, dai Russi poi dagli Ottomani, in una giostra di possesso che durera’ per secoli fino alla Guerra di Indipendenza Turca con Ataturk che proprio ad Erzurum comincio’ la sua campagna nazionalista. Insomma una citta’ che nel corso della sua esistenza non aveva avuto molto tempo per rilassarsi. La gente ti guardava senza espressione, forse con ostilita’. Chissà per questo molti viaggiatori da Erzurum tornavano a casa.Faceva freddo quando arrivammo. Su di un altipiano a quasi 2000 metri di altezza Erzurum continuava ad essere una frontiera. Il colore della citta’ era grigiastro mentre percorrevamo un viale alberato costeggiato da costruzioni basse stile 900 che risultarono essere i quartieri “per bene”. Tirammo dritto finche’ il viale, entrando in quartieri piu’ popolari, si fece piu’ stretto diventando una strada piena di negozi, botteghe e commerci di ogni tipo. Il traffico era composto da carretti, asini carichi di pesi immani, i soliti cani, camion e minibus stracarichi di gente. Alla fine della strada uno slargo e li’ la strada finiva, o meglio non finiva semplicemente diventava impraticabile e scendeva costeggiando fra una buca e l’altra una rupe lungo la quale c’era una serie di botteghe artigiane, sopratutto calderai e fabbri, da cui veniva un’onda sonora costante di incudini e martelli.Prendemmo una stanza stretta e lunga con le pareti verdi e con la finestra sull’altipiano e ci avviammo a piedi al Consolato dell’Iran che si trovava nella parte “per bene” della citta’. Naturalmente il consolato era chiuso. Giorno seguente ore 10:00, disse una guardia.Tornando in hotel mi fermai in una delle botteghe e comprai un vassoio e una bacinella di metallo smaltato decorate con fiori di tutti i colori per lavare e disinfettare la frutta. Poco immaginavo al momento che in un futuro non tanto remoto mi sarebbero tornate utili e non per lavarci la frutta.Decisi di andare a dare un’occhiata alla strada dei fabbri e dei calderai . Sopra la rupe, in quello che sembrava essere una antica fortificazione, c’erano bambini ma anche adulti che facevano volare gli aquiloni approfittando del vento serale. Erano oggetti volanti bellissimi, veri autentici pezzi d’arte per forme e colori, ognuno diverso dall’altro e tutti con delle code lunghissime come comete. Ma non solo, quegli oggetti volanti erano anche il risultato di una conoscenza del vento e della resistenza al vento e le code erano contrappesi che contribuivano non solo alla bellezza ma anche alla fisica del volo. Sotto la rupe le botteghe il cui colore generale invece era grigio e nero, un contrasto interessante fra la grazia colorata degli aquiloni e la pesantezza grigia del metallo. Ogni bottega esponeva i suoi prodotti appesi fuori intorno alla porta ed estendeva la mostra per strada. Caldere, pentole e pentoloni, vassoi, tazze, misure, catene, coltelli, attrezzi agricoli, tutto prodotto e lavorato a mano a colpi di martello. Alcune caldere erano grandi abbastanza per il fabbro sparirci dentro con il suo martello e lavorare ai dettagli.I fabbri erano di tutte le eta’, anche loro vestiti di grigio e sedevano in terra davanti alla bottega con l’ incudine fra le gambe e cosi’ tutto il giorno martellando. Piu’ amichevoli di quel che sembravano e orgogliosi del loro lavoro, mi invitavano a fermarmi ad osservare e anche entrare nelle botteghe dove ardevano i fuochi a carbone per scaldare il metallo. Il suono dei martelli era continuo e costante ed aveva un suo ritmo ben definito, i toni invece variavano dal tipo di martello e dal tipo di materiale. Sopra volavano gli aquiloni.
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