A meta’ mattinata le valige erano pronte. Due Samsonite grigie dall’aspetto comune, un po’ pesanti forse, ma una volta piene non si sarebbe notato. Tornati a Kabul andammo direttamente all’Inter Continental. AT nei giorni precedenti aveva fatto spese per riempire le valige, sopratutto cose da donna: vestiti, molte camice di cotone con il pettorali ricamati, sciarpe, un paio di stivali afghani, un giaccone di pelle di montone… tutte cose che avrebbe venduto in Italia dove questo tipo di vestiti andava di moda . Ogni tanto si fermava e scherzavamo sulla situazione tanto per alleggerire il nervosismo della partenza e dei rischi che comportava. Alla fine tutto era pronto solo la Beretta era rimasta fuori. “E questa?”, chiesi. Se la mise in tasca e disse “E questa in tasca”.Ci scambiammo il reciproco piacere che avevamo avuto di incontrarci a Kabul e rimanemmo che ci saremmo rivisti a Roma prima o poi. Dal portiere dell’hotel AT chiese una macchina con l’autista per andare a Kandahar, poi ci scambiammo ancora un paio di ciao, una stretta di mano e me ne andai. Non lo avrei piu’ rivisto.Mesi piu’ tardi, quando tornai a Roma, AT non c’era.Da racconti di amici comuni seppi che il viaggio da Kabul era andato bene. AT aveva preso una macchina fino a Kandahar, li’ si era imbarcato su un volo Ariana per Karachi dove non aveva avuto problemi di dogana. Da Karachi aveva continuato per New Delhi e di li’ a Parigi. La sicurezza degli aeroporti a quei tempi era inesistente, i metal detector non esistevano ne’ esistevano gli scanner a raggi X di controllo bagagli e la Beretta afghana entro’ indisturbata a Parigi. Le valige furono consegnate e AT fu pagato. Rientro’ a Roma in treno. Come mi aveva detto a Kabul con quei soldi risano’ i debiti dei genitori e comincio’ a preparare un altro viaggio. Ando’ in Danimarca per comprare un pulmino e adattarlo per trasportare hashish dal Marocco. Passarono diversi mesi, un giorno arrivo’ la notizia che AT era morto a Tangeri. Era in compagnia di una donna di cui nessuno di noi conosceva ne’ nome ne’ nazionalita’, probabilmente una socia di affari che era partita subito svanendo nel nulla. La causa della morte si diceva fosse una infezione mal curata nell’ospedale di Tangeri. Ma realmente nessuno lo sapeva, o chi sapeva non diceva. Si seppe poi che la donna era una americana, chissa’ una del gruppo di Kabul con un passaporto falso e probabilmente rientrata negli USA con quello vero. Di lei non se ne seppe piu’ nulla. La salma di AT rientro’ a Roma in una cassa e fu seppellito senza che nessuno lo vedesse ne’ una parvenza di autopsia. La storia fini’ la’, AT divenne un ricordo e la vita continuo’ ma io non smisi mai di pensare che la cosa era strana. Qualcosa non mi ha mai quadrato nel tempo, ma ormai AT non c’era piu’ e continuare a farsi domande non serviva.Fast forward piu’ di 20 anni, verso il 1995, mi trovavo di passaggio a Los Angeles dove viveva BA, un amico romano, un pittore che negli anni ’70 aveva lo studio a Trastevere e che si era trasferito a Los Angeles da una quindicina di anni. Lo chiamai e andai a trovarlo. Viveva ad Hollywood, in una di quelle case attaccate alla collina con le stanze una sopra l’altra e con una bella vista della citta’. BA apri’ una bottiglia di Chardonnay californiano e ci sedemmo in terrazza a parlare di ricordi e persone. Aveva sposato M, una ragazza americana che a quei tempi girava spesso a Campo dei Fiori, dal vinaio dove tutti convergevano a bere la sera. Lei ora insegnava inglese agli immigrati e BA dipingeva ed insegnava disegno . Dopo qualche bicchiere di vino BA mi racconto’ che da qualche anno stava cercando di ottenere la cittadinanza americana e che stranamente non aveva mai ricevuto risposte alla sue richieste. Finalmente un giorno era stato chiamato agli uffici della polizia e penso’ che fosse in relazione alla cittadinanza. Quando arrivo’ si accorse che non si trattava dell’ufficio immigrazione ma quello del FBI. Lo stavano aspettando in quattro. Lo fecero accomodare e gli chiesero se sapeva che l’Interpol lo stava cercando da piu’ di venti anni. Il suo nome era apparso nei computer della polizia di Los Angeles quando aveva fatto la richiesta di cittadinanza. Ogni richiesta viene controllata dall’FBI e qualunque nodo viene al pettine. Cosi’ scoprirono che c’era un mandato di cattura a suo nome da parte dell’Interpol europea.BA cadde dalle nuvole ma allo stesso momento rivisse una scena avvenuta nel suo studio di Trastevere molti anni prima. Un pomeriggio venne a trovarlo CT, un tipo che vendeva hashish a Roma di cui io ricordavo vagamente. Era uscito di prigione da poco dove era stato un anno e mezzo perche’ qualcuno a cui aveva venduto dell’hash era stato preso dalla polizia e lo aveva denunciato per non essere arrestato. Voleva andarsene dall’Italia ma non aveva il passaporto e chiese a BA di dargli il suo e di aspettare tre giorni prima di denunciare lo smarrimento. Intanto lui avrebbe cambiato la foto (a quei tempi non era difficile…) e sarebbe partito. E cosi’ fu.Ora BA era ricercato per aver ucciso un italiano a Tangeri nel 1973. Aveva preso una stanza nello stesso hotel, era andato a trovarlo e lo aveva ucciso. Poi era sparito lasciando il passaporto in hotel. Sicuramente aveva con se un secondo passaporto con cui lascio’ il Marocco subito dopo l’omicidio. La polizia marocchina passo’ il caso all’Interpol. La ricerca non fu mai accurata e non se ne seppe piu’ nulla. La vittima era un piccolo trafficante che viaggiava con un pulmino con targa danese.Quando i suo nome apparve nei computer della polizia di Los Angeles l’FBI si mise in movimento ed avvertirono l’Interpol, poi lo avevano tenuto sotto controllo per un po’ di tempo finche’ decisero di chiamarlo.BA disse di non essere mai stato in Marocco e che nel 1973 aveva smarrito il passaporto e fatto la denuncia ai carabinieri Italiani. Quelli dell’FBI gia’ lo sapevano e gli mostrarono la fotocopia del suo vecchio passaporto con la fotografia di CT e gli chiesero se lo riconosceva. BA lo riconobbe ma disse di no. Ammettere di conoscerlo poteva implicarlo in complicazioni che non voleva avere e avrebbe influito negativamente sulla sua richiesta di cittadinanza.Finalmente la posizione di BA fu chiarita e in futuro ottenne la cittadinanza. L’omicidio di AT rimase irrisolto e dimenticato. Ancora oggi ogni tanto, dopo cinquanta anni, mi chiedo se AT avesse avuto ancora in tasca la Beretta afghana, che probabilmente aveva comprato sapendo che prima o poi ci sarebbe stato un confronto, e non avesse avuto il tempo di usarla.Mentre lasciavo l’Inter Continental pensai di andare a fare un giro al mercato degli uccelli nella vecchia Kabul.
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