34 – VIAGGIO IN AFGHANISTAN Trentaquattresima puntata

Sulla piazza davanti alla Grande Moschea si esercitavano una infinità di arti di arrangiarsi.I fotografi con le macchine fotografiche di legno, i dentisti con i denti estratti messi in mostra sui tappetini, i venditori di uccelli in gabbia con montagne di gabbie sulle spalle, gli scrivani alcuni a mano altri con vecchie macchine da scrivere ma anche lettori di eventuali lettere. Il cambio di valuta era anche esercitato in piazza. Questi erano generalmente seduti su un tappeto con pacchetti di soldi di tutti i colori in mostra da 1, 10, 20, 50, 100 Afghanis ma anche Dollari, Rupie qualche Marco tedesco ed altre valute. Ti chiamavano al passare: “Hei Mister, change, change” mostrando pacchi di soldi. Il cambio era generalmente favorevole, ma come tutti i cambi per strada bisognava contare bene i soldi perché esistevano molti trucchi per fregarti. Verso la fine della piazza, all’ombra di un muro, c’erano i barbieri. Ci si sedeva sul tappeto a gambe incrociate e il barbiere ti rasava a zero con lo stesso rasoio usato centinaia di volte e lavato nella stessa acqua raccolta in un secchiello. Tutti facevano buoni affari. Dall’altra parte della piazza c’era Maiwand Road, uno dei grandi viali disegnati dagli inglesi negli anni ‘40, e al traversarlo ci si trovava nel Shor Bazar, uno dei piu’ grandi di Kabul.Entrando nel bazar si notava subito la presenza Hindu e Sikh. Questo era il loro quartiere. Nel 1400 Kabul fu un centro di cultura Sufi e Vedica e molti templi Hindu furono eretti in Afghanistan. Di questi ne sopravvissero alcuni, anche a Kabul. Uno di questi , il tempio di Daramsal, si trovava nel cuore del quartiere che stavo attraversando. Gli Hindu e i Sikh si riconoscevano facilmente dai turbanti, diversi da tutti gli altri per l’eleganza dello stile e la scelta dei colori . Pur essendo una minoranza in un paese quasi completamente musulmano erano comunque lasciati tranquilli, anche se non sempre era stato cosi’ nel passato né lo sarà in futuro purtroppo, prima per mano dei comunisti, poi dei Talibani e, ultimamente il 25 Marzo del 2020 un attentato all’interno del tempio rivendicato dall’ ISIL-K, l’ISIS Pakistano, fara’ 25 vittime e moltissimi feriti.Ma nel 1971 godevano anche di un certo potere nel commercio ed erano imprenditori e mercanti e il bazar era pieno dei loro negozi. L’influenza Hindu era fortissima anche nella musica. I primi musicisti furono portati alla corte del Kahn nel 1800 e c’era stata una vera fusione con la musica afghana, si notava non solo nelle melodie tipo ragas ma anche negli strumenti usati che, a parte quelli autoctoni, erano copie di strumenti indiani o direttamente importati dall’India come i Tablas ed i Sitar. Non che gli afghani non avessero buoni tamburi o buoni strumenti come il Rubab, ma il suono strisciato del Tabla era la percussione principale in quasi tutta la musica che veniva trasmessa da Radio Kabul.Tagliando in diagonale lo Shor Bazar si arrivava ad un altro viale e ci si trovava di fronte ad una collina con in cima le rovine di antiche fortificazioni. Lungo tutta la collina a ridosso delle mura c’era Kharabat, il quartiere dei musicisti. Le case, a uno o due piani, erano colorate, alcune color terra, molte dipinte a colori chiari, giallo, rosa, azzurro, verdino. Le strade erano strette e in salita e tortuose. Il quartiere era limitato da due strade principali Kharabat Road e Hindus Street, al centro fra le due si trovava il Tempio Hindu di Daramsal.Risalendo la Kharabat Road c’era una serie di botteghe di liutai e mercanti di Rubab e botteghe di tamburi e tamburelli e finii per comprarmene uno. Un tamburo di una 40tina di centimetri di diametro alto forse 3/4 centimetri con la pelle tesa e annodata sul retro. Aveva un suono basso interessante, in futuro sarà una delle poche cose che porterò con me di ritorno in Italia. I Rubab costavano piu’ di quello che potevo spendere, ma osservando il processo del lavoro e la quantità di dettagli che comportava, le decorazioni in madreperla e i legni pregiati come il gelso che venivano usati, il prezzo era ottimo comunque, ma non per me. Il rubab ha uno scheletro all’interno molto intricato e delicato da costruire e la pancia dello strumento può essere di diverse profondita’. Con quattro corde principali a volte cinque, più 12 di risonanza accordarlo era un’impresa.Queste erano per lo piu’ piccole botteghe piene di legni e segatura al suolo; utensili e strumenti regolarmente appesi alle pareti insieme a ritratti di personaggi sconosciuti e scene bucoliche immaginarie. I liutai erano anche bravi musicisti, alcuni famosi, e trasmessi alla radio e potevi fermarti sulla porta ad ascoltarli accordare e provare gli strumenti e loro erano contenti di esibirsi. Uno in particolare era eccezionale. Mi mostro’ articoli di giornale che parlavano di lui e dei concerti che aveva dato a Radio Kabul insieme ad una cantante anche lei famosa molto bella. Nel quartiere vivevano e lavoravano moltissimi musicisti famosi e alcuni di essi avevano scuole di musica . Da una casa vicina veniva il suono di un coro. Musica religiosa Sufi, disse il liutaio. I Sufi considerano la musica e la danza un atto sacro, un mezzo per avvicinarsi a Dio e contemplarne la perfezione universale, o qualcosa del genere. Quelli che stavo sentendo non usavano strumenti ma solamente la voce. Mi avvicinai ad ascoltare da vicino. Gli uomini, solo uomini, erano seduti a terra sui tappeti e cantavano una specie di mantra inchinando ritmicamente testa e corpo. A turno ogni partecipante cantava la sua preghiera con il coro di sottofondo. Al terminare si ritirava e cominciava un altro. La musica era ipnotica e ripetitiva ed era usata come transfer verso posizioni mentali piu’ pure e, eventualmente, divine. La gente era di tutti i tipi ed eta’ e dal vestire si notavano differenze economiche e sociali ma queste cose non contavano nel modo spirituale dei Sufi perché secondo loro per raggiungere l’illuminazione bisogna prima distruggere il mondo materiale. Per lo meno durante il coro. Queste “riunioni” venivano chiamate “Kharabat” come il quartiere.Salendo verso le fortificazioni, seduti davanti alla porta di una casa, c’erano due musicisti circondati da una piccola folla di gente seduta in terra ad ascoltare. La gente fumava e beveva te’ verde. Il te’ era portato dalle donne in grandi teiere di alluminio e andavano riempiendo i bicchieri di chi ne volesse. Un musicista suonava i tablas e l’altro cantava e suonava un armonium. L’armonium é un piccolo organo portatile che si può chiudere come una valigia e si suona con una mano mentre con l’altra si pompa l’aria. Serve sopratutto di accompagnamento e spesso lo suona lo stesso cantante. Questo era il caso dei due musicisti che avevo davanti. Erano bravi, il cantante era un uomo di forse cinquanta anni bravo anche con l’armonium con cui ogni tanto si lanciava in piccoli assoli e il suonatore di tablas anche lui sui cinquanta lo seguiva e lo conduceva velocissimo con le mani che sembravano immobili. Il cantante portava un fez con una sciarpa arrotolata intorno alla testa allo stile afghano, il suonatore di tablas aveva in testa un turbante hindu. La canzone duro’ una ventina di minuti alla fine della quale ci fu un generale bere di te’ verde, il cantante lascio’ il posto ad un altro cantante e la musica ricomincio’.Continuai risalendo la collina da dove si vedeva Kabul con le moschee i minareti, gli edifici alti e moderni (stile anni 50) costruiti qua e lá disordinatamente per la cittá, vedevo il Kabul River quasi senza acqua e tutte le montagne intorno piene di neve. Si stava facendo sera e quasi da ogni casa veniva della musica, la Hindu Street era illuminata e la gente era seduta davanti alle porte di casa a bere te’ e fumare le pipe ad acqua. Ragazzini andavano e venivano dalle scuole di musica con i loro strumenti sotto i braccio. A meta’ della Hindu Street c’era il Tempio di Daramsal, decorato con bandierine di carta colorata e dipinto in giallo e rosso. Sulla piazzetta c’erano donne Hindu vestite con i loro sari dai colori vivaci e le braccia decorate con la henna che secondo gli afghani porta fortuna e felicita’… Un quartiere che avrei visitato ancora.

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