A Kabul il traffico era esilarante, completamente caotico, non credo che all’epoca in Afghanistan esistesse un “codice della strada”, ne’ che ci fosse qualcosa di simile alla patente. Ogni tanto un semaforo isolato ma ognuno faceva a modo suo cercando di usare il proprio buon senso, cosa che non sempre funzionava. Camion, autobus, biciclette, moto, qualche macchina, folle di gente a piedi, asini dopo asini sovraccarichi, cavalli e carretti. Attraversammo bei quartieri con villette stile 900 al centro di giardini verdi e freschi. Anche quartieri di palazzi orribili di sei o sette piani costruiti dai russi, tristi, grigi e malandati. Grandi viali lungo il Kabul River disegnati dagli inglesi con piazze rotonde, idea francese, progettate pensando al futuro. Sulle alture intorno si stendevano quartieri color terra di case e casupole quasi a perdita d’occhio. C’era un’aria pulitissima e fresca, eravamo a 1800 metri alle falde dell’Hindo Kush e la citta’ era circondata da alte montagne bianche di neve. Girando un po’ alla cieca incontrammo il Band e Amir Hotel. Rinchiuso fra mura di pietre e terra c’era un giardino rettangolare con degli alberi e tutto intorno, sotto a porticati di legno, c’erano le stanze. All’ombra di un albero dormivano in piedi un paio di cavalli. Anche la nostra 2CV fu parcheggiata in un angolo del giardino. Si intravedevano ospiti qua e la’ seduti davanti alle loro stanze, altri avevano portato i letti fuori e dormivano, o almeno cosi’ pareva.L’hotel era vicino a Chicken Street, una strada piena di ristoranti, negozi di antiquariato, forni, chai houses, botteghe d’ogni tipo e c’era sempre movimento di gente. Molti hippies, sembrava l’equivalente del Pudding Shop di Istambul.Il nostro stesso hotel ne era pieno ma per fortuna il giardino era abbastanza grande e ognuno aveva il proprio spazio. Le stanze vicino all’entrata erano le piu’ grandi e in quella di sinistra un francese aveva organizzato una specie di tempietto con stoffe colorate alle pareti, un paio di statuette, tappeti e cuscini. Dalla porta sempre aperta usciva una nuvola di incensi dolciastri. Accanto alla nostra stanza c’erano dei tedeschi e poi una coppia di inglesi che non uscivano mai dalle loro stanze, con il passare dei giorni mi resi conto che pochi degli ospiti uscivano. Si portavano il letto in giardino e se la passavano dormendo.Decidemmo di fare un giro esplorativo del quartiere. Uscendo passammo davanti allastanza/tempio del francese. Era illuminata a candele, l’incenso andava fortissimo rendendo l’aria irrespirabile e dentro c’era un gruppo di giovani hippies seduti a terra. Il francese era un tipo sulla trentina e si era seduto a gambe incrociate davanti a loro tipo santone. Mi fermai a curiosare e subito fui invitato ad entrare ma rimasi sulla soglia. Il santone stava preparando un chillum con un sacco di tabacco e pezzi di hashish. Poi prese uno straccetto rosso lo bagno’ in un bicchiere d’acqua, lo strizzo’ e lo arrotolo’ intorno al chillum’ che prese a due mani facendo segno al ragazzino vicino di accenderlo.Disse qualcosa come “Boom Shankar om mani padme hum”, tanto per ingraziarsi Shiva e comincio’ a tirare su grandi boccate di fumo che avrebbero steso un elefante e poi con un gesto rituale passo’ il chillum a me.Ora io non fumo tabacco, mai fumato e la prima e ultima volta che fumai un joint quasi morivo, quindi zero tabacco per me, l’hashish lo fumavo da solo, puro, nella mia pipetta turca.Eppoi l’idea di quello straccetto umido che passava di bocca in bocca mi faceva sinceramente un po’ schifo, quindi con la mano sul cuore rifiutai l’offerta cosa che pero’ sembro’ strana.Come mi aspettavo il chillum passo’ di bocca in bocca e quando il rito fini’ e i partecipanti erano ben sballati il francese comincio’ a parlare di non so che e poi poco a poco comincio’ a raccogliere soldi da ognuno dei presenti. A quel punto andai via, avevo visto abbastanza, ma non avevo visto tutto.Chicken Street era piena di gente, afghani e stranieri, nell’aria un costante odore di kebab alla brace. I bracieri erano bellissimi, rettangoli lunghi e stretti che potevano accogliere molti spiedini alla volta e gli afghani giravano gli spiedi al ritmo di radio Kabul. C’erano diversi forni sulla Chicken Street e si trovavano dolci ottimi sopratutto il Banana Bread era il mio favorito. C’erano botteghe di tappeti e botteghe di gioielli. A Kabul cominciai a notare i lapislazzuli, pietre di un meraviglioso blu cobalto. Erano nei bracciali, nelle collane, negli anelli, ci facevano delle scatole di mosaico con altre pietre bellissime. Comincio’ a balenarmi l’idea di farmi fare un rubab decorato di lapislazzuli. Purtroppo rimase solo un’idea. Alla fine di Chicken Street trovammo una chai house tranquilla senza troppo traffico di gente e decidemmo di mangiare un palau. Ci accomodammo sui tappeti della piattaforma a bere te’ e fumare un po’ di hash e inaspettatamente dal nulla apparve NB, ci vide e cominciarono i saluti e i racconti. Credevo che fosse tornato in Italia invece la storia era diversa.Dopo esserci separati a Kirikkale, la mattina seguente prese il treno per Istambul. Ma una volta arrivato capi’ di aver commesso un errore e comincio’ a cercare un passaggio per Kabul. Trovo’ un pulmino con un posto a disposizione e riparti’ diretto in Afghanistan. Avevano viaggiato senza fermarsi, solo la notte, e era a Kabul da molto prima di noi che avevamo viaggiato fermandoci qua e la’ spesso per diversi giorni. Bevendo te’ gli chiesi scherzando se ancora beveva Romilar ma la risposta fu “No, qui si trova buona eroina”. Era la prima volta in questo viaggio che mi trovavo di fronte all’eroina e un po’ mi meraviglio’. Con tutto il buon hashish che si trova devi farti le pere di eroina? E lui la mise subito sul difensivo-fatalista e io lasciai cadere l’argomento. Passo’ un uomo vestito di stracci, il panciotto era praticamente una toppa sopra l’altra. NB lo fermo’ con un gesto e gli chiese di vendergli il panciotto per 10$, una somma favolosa e spropositata. L’afghano non ci penso’ due volte e l’affare si concluse. La mia stima di NB si abbasso’ ancora di piu’. Ci salutammo e non lorividi piu’.
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