41 – VIAGGIO IN AFGHANISTAN Quaratunesima puntata

Le notti alla chai house di Bamiyan si rivelarono interessanti e movimentate. Come tutte le chai house che avevamo frequentato ed usato come dormitorio, anche questa di Bamyan era uno stanzone rettangolare lungo e stretto sul ciglio della strada e era una fermata d’obbligo per i camion che passavano a tutte le ore della notte carichi di gente che andava e veniva dai villaggi sparsi fra le montagne. Uno di questi gruppi fu particolarmente vivace. Arrivarono a notte inoltrata ed entrarono rumorosamente svegliando tutti e ordinarono te’ verde e da mangiare. Saranno stati una trentina di uomini che sembravano piu’ dei briganti che non contadini. Turbanti in testa, giacconi colorati, grossi sandali con la suola di copertone d’auto, quasi tutti con un grosso fucile alla spalla.. La cena trascorse in silenzio al lume di candele, come sempre gli afghani non parlavano mangiando, ma appena finito di mangiare apparvero tamburi e trombette e cominciarono a suonare e fumare hashish. A turno qualcuno si alzava e ballava, altri cantavano ad alta voce come se nella chai house non ci fosse nessuno dormendo. La scena duro’ piu’ di mezzora dopo di che sparirono velocemente nella notte cosi’ come erano arrivati.Al mattino ci sedevamo di fronte alla chai house a bere te’ ammirando il Buddha gigante, scolpito nella montagna davanti a noi. A parte i Buddha che si trovavano ad una certa distanza uno dall’altro, c’erano una infinita’ di aperture di diversa grandezza, finestre e finestrelle che si rivelarono essere le abitazioni dei monaci scavate nella roccia e collegate fra loro da cunicoli e passaggi interni. Da quello che avevo potuto capire dalle poche informazioni prese al Museo Afghano di Kabul, Bamyan si trovava sulla Via della Seta, che attraversava i monti dell’Hindu Kush. La Via della Seta è stata storicamente una rotta di carovane che collegava i mercati della Cina con quelli del mondo occidentale. Era il sito di diversi monasteri buddisti e un centro di religione, filosofia e arte. I monaci dei monasteri vivevano nelle grotte scavate nel fianco della montagna. La maggior parte di questi monaci decorava le grotte con statue religiose ed affreschi. Fu un importante centro religioso buddista dal secondo secolo DC fino ai tempo dell’invasione islamica nella seconda metà del settimo secolo finche’ non fu completamente conquistata dai persiani musulmani nel nono secolo. Le due statue furono scolpite direttamente nella roccia di arenaria e rifinite con lo stucco di terra e paglia sostenuto da pali in legno di cui si potevano vedere i fori nei punti dove lo stucco era crollato. In origine le statue erano dipinte e qualche resto di quelle pitture poteva ancora vedersi nelle parti alte delle nicchie. Furono usati colori ad olio e queste pitture sono considerate uno dei primi esempi di quella tecnica. Non si e’ sicuri sul tipo di olio che fu usato, probabilmente olio di noce. Il primo Buddha, la donna, fu scolpito nel 507 DC e rappresentava Shamama, Dea Madre, ed era alto 35 metri. Il secondo, alto 53 metri, fu scolpito nel 554 DC e rappresentava Salsal, la Luce che attraversa l’Universo. Le mani, i visi ed i piedi erano stati distrutti nel passato a varie riprese da fanatici musulmani, i visi addirittura a cannonate nel 1800 durante una violenta repressione militare contro i ribelli Hazara. Purtroppo quindi quasi tutti i dettagli erano andati perduti, cio’ che ancora si poteva vedere erano le masse dei corpi scolpiti nella roccia che neanche le cannonate erano riuscite a distruggere ma i dettagli rifiniti con lo stucco di terra e paglia erano andati perduti. Solamente parte dei corpi era ancora “vestita” nel senso che si poteva vedere la tunica che dalle spalle cadeva fin sotto le ginocchia. Non era molto ma con quel dettaglio si poteva immaginare la perfezione del disegno classico e della realizzazione plastica di quelle sculture giganti. Un esempio del grande realismo scultoreo della figura umana importato in Asia centrale e susseguentemente in India dalla Grecia da Alessandro il Grande e che si sviluppo’ originalmente nella regione di Gandhara ad est di Kabul. Nella sua guerra di espansione verso l’India Alessandro non aveva mire sull’Hindu Kush. Troppe montagne per muovere un esercito di centinaia di migliaia di uomini che tutti i giorni dovevano mangiare. Ma le sorti della guerra lo spinsero a cambiare rotta.Dopo avere vinto la definitiva battaglia di Guagamela in Kurdistan contro le forze persiane di Darius III nel 331 AC, Alessandro insegui’ Darius III in fuga per ucciderlo ma fu preceduto da Bassus, un generale dell’esercito persiano e governatore di Bactria, la regione fra Afghanistan e Uzbekistan il quale assassino’ Darius III e si auto proclamo’ Re dei Re della Persia assumendo il nome di Artaserse e ritorno’ a Bactria. Se non si fosse dichiarato re della Persia Alessandro lo avrebbe probabilmente ignorato ma non poteva permettersi di ignorare chi si era dichiarato re di terre da lui appena conquistate e quindi si diede all’inseguimento invadendo l’Afghanistan. Quasi subito Alessandro capi’ la difficolta’ dell’impresa in cui si era lanciato. Gia’ nel 300 AC l’Afghanistan era una regione che non si lasciava conquistare facilmente e le tecniche di guerriglia afghane erano gia’ allora avanzate e collaudate. Il grande esercito Macedone non poteva difendersi dagli attacchi improvvisi che arrivavano da ogni direzione e per non perdere i contatti con le retrovie Alessandro si vide forzato a costruire lungo il cammino fortezze militari dove lasciare contingenti militari e civili. Nacquero cosi’ le fortezze di Herat, che avevo visitato il mio secondo giorno in Afganistan, viene fondata quella di Kandahar e poi quella di Kabul e Kunduz. Artaserse fu finalmente tradito anche lui e consegnato ad Alessandro e condannato a morte nel 329 AC. Ci sono varie versioni della sua morte che rimane ancora velata di mistero. Alessandro lascio’ Gandhara e scese lungo il fiume Indus verso l’odierna Karachi rinunciando ad invadere l’India. Nelle fortezze citta’ che aveva fondato si sviluppo’ e si fuse con la cultura locale l’arte classica greca di cui i Buddha di Bamyan erano uno degli esempi classici, uno stile oggi chiamato Greco-Buddista di Gandhara, .Questi erano i Buddha davanti ai quali bevevo te’ verde tutte le mattine e che purtroppo saranno distrutti completamente con la dinamite, cannonate e perfino con un missile terra terra dai fanatici Islamici Talibani nel 2001.Dal punto di vista religioso fu un atto inutile visto che in Afghanistan non esisteva piu’ una cultura buddista, dal punto di vista politico la cosa e’ diversa.Il leader supremo talebano Mullah Omar forni’ una spiegazione apparente per il suo ordine di distruggere le statue. In una intervista disse:“Non volevo distruggere il Buddha di Bamiyan. In effetti, molti stranieri occidentali ed orientali sono venuti da me chiedendomi di lasciarli condurre i lavori di riparazione del Buddha di Bamiyan che era stato leggermente danneggiato a causa delle piogge. Questo mi ha scioccato. Ho pensato: questa gente insensibile non ha alcun riguardo per migliaia di esseri umani viventi – gli afgani che muoiono di fame- ma sono così preoccupati per oggetti morti come la statua del Buddha. Questo mi sembro’ estremamente deplorevole. Ecco perché ho ordinato la sua distruzione. Se fossero venuti per lavoro umanitario, non avrei mai ordinato la distruzione del Buddha.” Non so perche’ ma in qualche modo ha una sua logica.Davanti alla statua di Salsal, la piu’ grande, c’era uno spazio in cui tutti i pomeriggi arrivavano i ragazzini a giocare a pallone e ogni tanto mi fermavo a guardare le partitelle che organizzavano oppure le guardavo dall’alto della testa del Buddha dove si accedeva attraverso cunicoli e scalette scavate all’interno della montagna. Anche a volte andavo in una delle celle dei monaci a fumare un po’ di hashish e guardare la valle bellissima attraversata dal Bamyan River con le rive piene di alberi di gelso, pioppi e betulle. Oltre il fiume il paese di Bamyan, color terra con le tende colorate delle botteghe ed i fumi delle cucine che si disperdevano nell’aria. Non avrei lasciato mai la tranquilla bellezza di quella valle se non fosse stato il desiderio di vedere i laghi di Band-e-Amir. Qualche settimana dopo con YS decidemmo che era ora di rimettersi in moto









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