44 – VIAGGIO IN AFGHANISTAN Quarantaquattresimo episodio

La mattina della nostra partenza una Land Rover pick up apparve sulla mulattiera circondata da un gran polverone. Veniva giu’ veloce e in un attimo arrivo’ alla baracca. Alla guida c’era un giovane afghano con turbante e occhiali da sole. Seduta davanti una donna bionda anche con occhiali da sole e dietro, nel pick up in piedi, vestito di bianco con il turbante al vento, un tipo a meta’ fra Lawrence d’Arabia e lo Sceicco Bianco. Era una coppia di inglesi e loro presero il nostro posto nella baracca cosi’ che Jafar non perse denaro con la nostra partenza e noi ci mettemmo d’accordo con l’autista del Land Rover per tornare a Bamyan con lui. Il Land Rover non ebbe incidenti e nel pomeriggio eravamo a Bamyan. La 2CV era coperta di polvere ma intatta, la portammo al fiume per lavarla e decidemmo di passare la notte alla chai house. Verso il tramonto bevendo te’ davamo gli ultimi sguardi ai Buddha sfregiati ma non umiliati, una furia inutile che servi’ solamente a soddisfare, non completamente, la sete di vendetta ma non a sottomettere gli Hazara. I Buddha erano ancora li’ e continuavano a sorridere sotto gli sfregi delle cannonate. L’opera sara’ finalmente compiuta da altri sempre nel tentativo di sottomettere gli Hazara, i Taliban. La polemica in corso in questi giorni e’: ricostruirli o lasciare le nicchie vuote come monito per le future generazioni? Nel 2015 una coppia di artisti cinesi Zhang Xinyu e Liang Hong disegnarono un ologramma che riproduceva Salsal, il Buddha piu’ alto, la Luce che traversa l’Universo, proiettato nella nicchia originale. Un esperimento interessante che pero’ si realizzo’ solamente una volta.La strada del ritorno era tutta in discesa e bisognava farla in seconda e dargli parecchio di freni per evitare buche e pietre e non prendere colpi sotto la chassis ma per quanto stessi attento prendemmo diversi colpi piuttosto duri. Quando arrivammo al bivio di Charikar e la strada era asfaltata la 2CV aveva difficolta’ nel far entrare la terza e a un certo punto divento’ impossibile. All’inizio pensai che fosse la frizione ma non era cosi’. Una ispezione rivelo’ che lo chassis davanti aveva ceduto ed il motore era sceso di qualche centimetro. Piano piano, in seconda ci facemmo gli ultimi 80 chilometri per Kabul. Non ero molto preoccupato, tutto riparano gli afghani, quindi ero sicuro che non sarebbe stato un grosso problema e la 2CV ci avrebbe portato comunque in India. Nel cortile del Band e Amir Hotel poco era cambiato, gli ospiti chiacchieravano davanti alle loro camere, alcuni con i letti all’aperto. Il guru francese era sempre nella sua stanza da cui uscivano i fumi dolciastri degli incensi. Era sera e nell’aria c’erano odori di cucine e carbonelle accese, Radio Kabul trasmetteva musica da qualche radio non distante. Tutto tranquillo.Un giorno dovemmo andare all’ufficio della polizia a rinnovare il visto di soggiorno scaduto da qualche settimana. Era gia’ stato rinnovato un paio di volte quindi non ci aspettavamo sorprese. Invece alla scrivania non c’era il solito ufficiale ma un altro. Era un pashtun con la faccia a luna piena, senza barba, sopracciglia pelose, in giacca e cravatta . Somigliava vagamente a Ugo Tognazzi ma con gli occhi cattivi, da poliziotto. Parlava inglese e ci fece sedere mentre sfogliava i passaporti curiosando fra le pagine. Poi comincio’ una diatriba di mezz’ora contro i giovani occidentali che andavano in Afganistan solo per fumare hashish. Ricomicio’ con la storia che l’hashish fa male, fa diventare fannulloni e alla fine fa diventare matti. A quel punto tiro’ fuori dalla scrivania una bottiglia di Brandy e disse che quello andava bene, anche se proibito dal Corano mentre l’hashish no, e che comunque lui lo preferiva. Un ubriacone doveva capitarci! Ficco’ letteralmente il suo naso nel mio passaporto e con occhi da furbo mi disse che io fumavo e che il passaporto odorava ad hashish. Tirava a indovinare, a fare colpo con un acume non aveva. Molti hippies facevano i loro joint mischiando hash e tabacco nel passaporto. Non io. Io non fumavo tabacco, mai usato il passaporto per fare i joint. A me l’hash piaceva puro nella mia pipetta turca. Era inutile insistere o cercare di controbattere e veramente non ci importava quindi quando ci disse che il permesso non ce lo rinnovava e che saremmo dovuti partire entro una settimana prendemmo i passaporti e ce ne andammo senza salutare. Il pomeriggio lo dedicai all’American Express. Dovevo mandare i rullini fatti fino ad allora alla redazione di Gandalf, una rivista alternativa olandese che il avrebbe sviluppati e usati, e da cui ricevevo un po’ di soldi ogni tanto. Infatti c’erano 200 dollari che mi aspettavano ma ne spesi 50 per mandare i rullini. I prossimi soldi sarebbero arrivati a New Dehli.Quella sera andammo a cena al ristorante alla fine di Chicken Street e mangiando facevamo progetti sui giorni seguenti. Bisognava riparare la 2CV e pensavo di portarla al garage di camionisti che avevo visitato tempo prima. Loro avrebbero saputo come fare. Poi c’era da visitare i consolati di India e Pakistan per visti e permessi per la macchina. Forse un’altra settimana, giusto in tempo prima dell’inverno afghano ormai alle porte. Gia’ ci vedevamo al caldo dell’India misteriosa. Ma le cose dovevano andare diversamente e subito gli eventi presero un’altra piega.

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