19 – VIAGGIO IN AFGHANISTAN Diciannovesima puntata

Il viaggio si svolse senza imprevisti, o meglio, qualcosa successe che avrebbe condizionato il soggiorno a Teheran. Il paesaggio non cambiava, stesso colore stesse pietre e ogni tanto nel deserto si vedevano moschee con le cupole turchesi, pensai che fosse una prerogativa dell’Iran, ma mi sbagliavo, le avrei viste anche in Afghanistan.Ci fermammo in un paese a bere te’ e mangiare qualcosa. Nella cucina del ristorante la cuoca mi fece vedere con soddisfazione il piatto del giorno: pollo con le mandorle e uvetta ed altre spezie e verdure. Una ricetta che ogni tanto ancora cucino con l’aggiunta di curry.In un angolo del ristorante c’era un vecchio seduto davanti ad un cilindro di metallo di circa un metro di circonferenza pieno di ghiaccio, sopra il ghiaccio era appoggiato un coperchio che conteneva bicchierini di metallo pieni di yogurt, mandorle tritate, pistacchi, cannella e miele. Il vecchio faceva ruotare il coperchio sul ghiaccio e lo yogurt andava raffreddandosi. Stava facendo il gelato persiano. La semplice genialita’ dell’invenzione mi fece pensare a come i paesi del terzo mondo per necessita’ abbiano sviluppato nel tempo una tecnologia parallela primitiva ma efficiente, anzi spesso migliore e certamente piu’ ecologica dei corrispondenti plastici dei paesi “sviluppati”.Il gelato era buonissimo ma ad un certo punto il freddo penetro’ in uno dei miei denti e provoco’ un dolore tagliente come una freccia. Non era un buon segno. Il dolore comincio’ piano piano ad aumentare e quando arrivammo a Teheran era chiaro che non sarebbe passato.Trovammo un campeggio in un parco dove si poteva anche, per lo stesso prezzo, prendere un bungalow di legno davanti ad una grande vasca con zampilli di acqua fresca. Dopo tante ore di deserto era un piacere sentire il suono dell’acqua. I letti del bungalow erano abbastanza comodi e YS ne approfitto’ per riposare. Io uscii a passeggiare intorno alla vasca pensando a che fare con il mio dente.Nel parco c’era molta gente, sopratutto famiglie sedute al fresco con i bambini che giocavano con l’acqua. Quasi tutte le donne erano vestite di nero, solo gli occhi e il naso apparivano da dietro i tessuti. Passeggiavo lungo la vasca proprio pensando alla condizione di sottomissione, mancanza di liberta’ e umiliazione della donna islamica, costretta dietro stoffe e veli neri quando una ragazza, anche lei vestita di nero ma con il viso libero ed aperto mi si avvicino’ sorridendo e disse: Do you speak English?. Cominciammo cosi’ una conversazione fatta piu’ che altro di sue domande sulla mia vita. Da dove venivo, il mio nome, se mi piaceva Teheran…Una vera sorpresa, io che stavo immaginando la donna islamica rinchiusa in casa da un marito o da genitori bigotti mi trovavo davanti esattamente l’opposto. Era giovane, carina, intelligente, nata a Teheran ed appena entrata all’Universita’ mi parlo’ della citta’ e mi consiglio’ di andare a vedere i lavori dell’arco di Azadi quasi finito di costruire. Mi invito’ a casa sua il giorno dopo a bere un te’. La cosa mi sorprese ma intanto avevo notato che un gruppo di gente ci stava seguendo. Mentre giravamo intorno alla vasca potei vedere che c’erano un paio di donne , due o tre uomini un po’ di bambini. La ragazza disse: “It’s my family”. A mia insaputa eravamo seguiti dall’intera famiglia che aveva acconsentito a che la ragazza facesse conversazione in inglese con me ma volevano essere sicuri che io mi comportassi bene. Questa cosa mi diverti’ molto e pensai che comunque aveva avuto l’intraprendenza di venire da me e cominciare a chiacchierare. Cosi’ facemmo un paio di vasche finche’ la conversazione cadde sul mio mal di denti e la necessita’ di un dentista, forse ne conosceva uno? Ando’ a chiedere al padre e il consiglio fu di andare dai dentisti all’American University e mi diede un indirizzo. Ci salutammo stringendoci la mano con molti auguri per gli studi e con il padre un’occhiata seria ma amichevole. La famiglia si allontano’ e io la osservai allontanarsi, davanti gli uomini e dietro le donne e i bambini.La mattina seguente decisi di seguire il consiglio e andare dal dentista dell’università. Era una seccatura ma non potevo continuare il viaggio con il mal di denti e Teheran era forse la mia ultima possibilita’ per chissa’ quanto tempo di metterlo a posto in modo piu’ o meno civilizzato. Non so come arrivai all’universita’, Teheran era una vera metropoli dal traffico intenso e polveroso comunque in qualche modo passai davanti alla Torre Azadi e poco dopo ero all’universita’. Dovetti riempire una formulario, lasciare numero di passaporto, aspettare una mezz’ora e poi fu il mio turno.Il giovane dentista comincio’ ad esplorare la mia bocca, tutti i suoi strumenti erano nuovi e moderni, parlava buon inglese ed anche lui faceva mille domande a cui rispondevo con grugniti e monosillabi mentre lavorava sul mio dente. In un paio d’ore ero fuori di la’, non mi era costato un Rial, tutto gratuito. Mentre tornavo al campeggio mi fermai alla Torre Azadi. Il monumento non era ancora stato inaugurato ma sembrava finito e stavano lavorando sopratutto alla piazza intorno. Un arco imponente di una cinquantina di metri, monumento alla grandiosita’ del petrodollaro e dello Shah di Persia. Il disegno pero’ mi piaceva perche’ anche se moderno era conseguente con tutta l’arte islamica che avevo visto finora. Anche questo arco era il risultato di geometrie rigide e divine come tutte le moschee che avevo visitato.

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