Morte e cornetti caldi

Vado a fare colazione, ancora rimbambito dal sonnifero che mi spetta ogni sera. Poi caffè al piano terra.
Poi sigaro seduto all’ombra in un’aria ancora rispettabile. Due chiacchiere con un tizio che è qui perché nella notte gli è morto il padre.
Capisco di chi fosse la bara che occupava l’ascensore quando è giunto al mio primo piano, sollevata la saracinesca mi sono reso conto che era occupato e ho forzato le mie gambe con arterie occluse a farmi discendere un piano, aiutato da bastone e mancorrente, per arrivare a un caffè sperando mi svegliasse.
Al piano terra fumando il mio sigaro si è avvicinato questo signore sui 40 che avevo già incrociato in corridoio fuori alla camera adiacente alla mia. Lui, una bella signora, sui 40 e la loro madre: tutti vistosamente tatuati. Due chiacchiere quella volta e due oggi.
Mi dice che il padre se n’è andato nella notte. Le condoglianze poi domando quanti anni avesse. 74.
“L’hai conosciuto certamente; faceva i cornetti di notte, aveva il forno dietro piazza Cavour.”
Certo che l’ho conosciuto. Ogni notte uscendo dal Piper, o dopo canne e risate in qualche casa ospitale si andava in direzione cornetti caldi. Boni. Un paio o tre ce li facevamo e adesso mi trovo in questa anticamera dell’inferno, a chi tocca, e rifletto sulla magia insondabile del fato. Come immaginare che mi ricondusse a quei cornetti e quelle notti degli anni sessanta.
Veramente imprescrutabile come vada la vita.

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