5 marzo
Viva Peyote-3
Le due ragazzine in foto sono le figlie di Angel, il subgubernador, a casa del quale mi hanno sistemato. Si trovava un po’ fuori dal villaggio, in mezzo al bosco, senza luce nè acqua. Erano le ragazzine che si occupavano di andarla a prendere ad una fonte poco distante con grosse e pesanti taniche. Dopo poche ore dal mio arrivo ho già la fortuna di assistere alla prima cerimonia religiosa.
Cap.6 Tejuino
…Finalmente appare una grossa capanna dal tetto molto spiovente, dalla cui sommità fuoriescono sbuffi di fumo azzurrino. Il sentiero conduce dritto all’ingresso della costruzione e lì fuori siedono alcuni indios intenti a fumare grossi sigari avvolti in foglie secche di pannocchie di mais. Entro e all’inizio devo abituare gli occhi all’oscurità e al fumo che vela la vista, ma dopo qualche attimo metto a fuoco la situazione. Su di un lato, a destra della capanna dal perimetro circolare, un gruppo di donne sono alacremente al lavoro: chi pesta dentro i mortai, chi sgrana pannocchie, chi spezza legna per il fuoco. Ma le più imponenti, cariche di monili, sono tre matrone intorno a un nero calderone che gorgoglia sul fuoco, intente a rimescolare senza posa con mestoli lunghi come remi. Sulla sinistra un gruppetto di musici si esibisce in un ritmo ipnotico con i classici strumenti rituali huichol: il tamburo sciamanico, detto “tepo”, la chitarra e il violino di dimensioni molto ridotte, copiate dagli strumenti originali introdotti dagli spagnoli. Il suono è piuttosto stridulo accompagnato dal ritmo sordo del tamburo, un tronco cavo riempito d’acqua sulla cui pelle tesa battono con bacchette ricurve. Alcuni uomini danzano con aria estatica, saltellando e strisciando i piedi sula terra battuta del pavimento. Accanto ad un gran fuoco al centro, unica fonte di luce a parte il foro alto sul tetto attraverso cui fuoriesce il fumo, siede il “marakame”, lo sciamano, circondato da solerti assistenti. Mi accorgo subito che è lui il cerimoniere capo, sia per la posizione centrale rispetto agli altri, sia per l’espressione particolarmente intensa del suo sguardo: sembra che fissi un punto al suo interno, restando però in comunicazione diretta con tutto ciò che lo circonda. Gli altri uomini del villaggio siedono appoggiati alle pareti tutto intorno: c’è chi fuma grossi sigari, chi intona una nenia accompagnando i musicisti, chi osserva attento ciò che si svolge dinnanzi ai suoi occhi. Siedo, trovando spazio tra due indios che si scostano gentilmente per farmi posto. L’azione che si svolge è questa: alcuni prelevano con dei pentolini parte del contenuto ribollente del calderone e lo versano in un mastello che poi depongono ai piedi del gran “marakame”. Questo con un gesto indica qualcuno degli astanti che si alza, si avvicina, fa un inchino di saluto e riceve dallo sciamano una coppa tuffata nel mastello. Allora il prescelto intinge il dito nella pozione ricevuta, ne spruzza alcune gocce ai 4 punti cardinali e infine l’ingurgita. La scena si ripete con una certa monotonia poichè i partecipanti sono numerosi e tutti devono ricevere almeno una porzione della bevanda. Si tratta del “tejuino”, come mi aveva anticipato Eusebio, il segretario, ovvero una bevanda ricavata da mais fermentato, una specie di birra ad alta gradazione alcolica, resa ancora più micidiale dall’alta temperatura a cui è servita. Leggermente ipnotizzato dalla musica e i canti e dai fumi che mi avviluppano, mi distraggo dalla scena centrale vagando con lo sguardo sulle donne, che sembrano essere quelle che si divertono di meno, tutte impegnate come sono nell’alacre lavorìo. I bagliori del fuoco mi rendono i chiaroscuri guizzanti dei loro volti seri ed assorti nei loro gesti ritmici. Mi chiedo se non sia anche quella delle donne una sorta di danza o se invece preferirebbero associarsi al ballo degli uomini che, in costume sciamanico, con i larghi cappelli piumati, si agitano ondeggianti dinanzi al falò. Ad un tratto vengo riscosso dal mio meditare dal tocco brusco del mio vicino, che mi dà di gomito. Immediatamente temo che solo adesso si siano accorti che sono uno straniero e che vogliano buttarmi fuori. Invece mi indica verso il “marakame”. Guardo in quella direzione e con terrore vedo il suo indice puntato verso di me come una pistola. Mi volto a destra e sinistra sperando che ce l’ abbia con qualcuno accanto a me. E invece no, ce l’ha proprio con me: il mio vicino mi ridà di gomito e mi fa segno di alzarmi e di andare al centro della capanna. Mi alzo impacciato dalla mia postazione e avanzo lentamente verso lo sciamano. Sento gli sguardi degli indios posarsi su di me ma mi concentro sugli occhi semichiusi del “marakame” che scintillano e mi calamitano verso di sè. Gli arrivo di fronte e mi inchino leggermente, con le palme delle mani posate sulle cosce, come ho visto fare dagli altri. Lui mi scruta più a lungo di quanto ha fatto con gli altri, poi, senza battere ciglio, mi porge la piccola coppa ricolma. La prendo dalle sue mani, vi intingo l’indice, sentendo che scotta, e spruzzo alcune gocce nelle 4 direzioni, ostentando grande naturalezza. So che con questo gesto si sacralizza lo spazio ai 4 angoli dell’universo e si richiede la protezione degli spiriti che vi alloggiano. Mi raccomando anch’io a questi e butto giù senza indugio l’intruglio, buttandolo giù tutto di un fiato. Il “tejuino” mi penetra istantaneamente nella gola, nel naso, nelle orecchie e nei polmoni, dandomi la sensazione di aver ingerito polvere da sparo. Serro con forza occhi e bocca con l’intento disperato di non scoppiare a tossire addosso al “marakame” e sento come se mi uscisse fumo dal naso e dalle orecchie. Rapido come gli altri restituisco la coppa, giro sui tacchi e mi avvio verso il mio posto. Procedo con quell’espressione mista di contrizione ed estasi divina che assumono i fedeli cristiani quando prendono la comunione, ma in realtà lotto dentro di me per controllarmi e non svenire prima di raggiungere la mia postazione. Nel ritorno mi sembra di impiegare molto più tempo di quanto mi è stato necessario all’andata, ma forse è solo per il mio procedere a zig-zag. Incurante di quanto succede all’esterno ma cercando solo di contenere quell’effetto dirompente all’interno delle mie viscere, mi butto seduto infine tra due indios. Solo dopo alcuni attimi riapro lentamente gli occhi e, cercando con lo sguardo il mio vicino, gli lancio un occhiata complice, come a dire:” Fiuuuu…che botta!” Lui mi strizza gli occhi consapevole. La cerimonia prosegue senza grossi cambiamenti, col “marakame” che propina il “tejuino”, gruppi di danzatori che si susseguono davanti al fuoco, musica e canti che alternano ritmi cadenzati ed ipnotici a pezzi più vivaci e frenetici. Finalmente le donne cessano il loro costante lavorìo e, dopo una breve sosta, cominciano a riordinare e riporre i loro vari utensili. Anche la musica e le danze cessano ed il “marakame” se ne resta a parlottare con i suoi assistenti, seduto sul suo sgabello sciamanico, un robusto sedile di vimini ornato di piume, accanto al fuoco che, non più alimentato, si consuma lentamente. Ed io capisco che la cerimonia è terminata. Mi dirigo all’ingresso e quando esco il tuffo nell’aria fresca e frizzante della notte mi ritempra e fuga i fumi che mi stavano intossicando all’interno. Anche l’effetto del “tejuino” si va via via attenuando ed ora la fresca brezza mi rende di nuovo sveglio e pimpante. La luna piena è ormai alta nel cielo nero, in cui le stelle mi appaiono enormi come in certi notturni di Van Gogh.
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Commenti: 10
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Foto bellissima
Bello!
ti immagino nella parte del giovane antropologo. Era la prima volta in Messico o gia’ c’eri stato?
prima volta e il mio spagnolo era abbastanza rudimentale!
jajajaj me fai mori’…che trip!, o dovrei dire: que viaje!
i nostri indios invece fanno una specie di bevanda con la manioca che viene fatta bollire poi masticata dalle donne e sputata in contenitori di argilla e ribollita e poi lasciata a fermentare viene bevuta in riti religiosi e commemorativi vari, servita tiepida da un pentolone che deve essere sempre rimestato dalle donne.
gli uomini la bevono in un sorso unico, fino a venti “shottini”, mentre le donne devono berlo a piccoli sorsi.
la produzione del cauim , così si chiama questa bevanda, é affidata esclusivamente alle donne , dalla coltivazione della manioca alla sua masticazione e preparazione!
in lingua tupi si chiama Kaüi e ha il grado alcoolico della birra.
non l’ho mai bevuta ma dicono che sa di latte acido tipo kefir
Vedi, tutto il mondo è paese! Ma tu di quali in dios parli?
é si, tutto il mondo è paese! mi riferisco agli indios amazzonici, dalla parte brasiliana, appartenenti alla nazione Tupì
Tristi tropici, diceva un certo Claude!
in questo momento parole drammaticamente vere…
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