Come andare in Thailandia e ritornarne vivi – 3
Cap.4 – Koh Phangam
Sono passati tre giorni dal mio arrivo a Koh Phangam. Il primo giorno ho affittato il motorino ed ho cominciato ad andare su e giù per l’isola come un pazzo. Appena l’ho preso, solo per andare a mettere la miscela sono arrivato fino ad Haad Rin, la spiaggia dei full moon party.
Prima delusione: esposta come è ai venti di sud-est c’era un bel mare forte, poco invitante per un bagno. Sulla spiaggia una fila di campi da beach-volley con tanti ragazzoni che saltavano e schiacciavano abbronzati e vigorosi.
Ma anche qui la cementificazione era avanzata rispetto a 30 anni fa, ora ricorda Riccione, con le file di ristoranti, agenzie di viaggio, albergoni.
Un tempo c’erano delle dune che arrivavano fino al mare ricoperte di palme da cocco, ora casermoni con centri commerciali. Certo era la spiaggia più famosa già da allora ed era logico che si sarebbe deteriorata per prima con l’afflusso massiccio dei turisti. Quindi me ne sono tornato indietro, alla ricerca di questo famoso “Pachamama”, localizzato nella foresta vicino a certe cascate.
Parto quindi in direzione delle cascate, Phaeng waterfall, individuate grazie al GPS, ma le buco in assenza totale di cartelli di segnalazione. Niente, vado dritto invece di girare a destra e mi ritrovo di nuovo sulla costa, ma stavolta all’estremo nord dell’isola.
Incontro in motorino anche il cinese con cui ho dormito all’ostello e ce ne andiamo su questa spiaggia bellissima, sabbia bianca, cocchi, bungalow molto graziosi che si affacciano sulla riva del mare, turisti tutti nord europei con l’aria un po’ spiaggiata lì. Ero convinto di trovarvi anche coralli e pesci perchè un ragazzetto che lavora in un ristorantino in cui mi ero fermato a prendere un delizioso stiky-rice con mango mi aveva detto che alla destra della spiaggia i fondali sono pieni di coralli. Mi sono buttato con maschera e boccaglio, ma i coralli che c’erano erano morti, mozziconi bianchi che sembrano ossa di defunti.
A dir la verità qualche pesciolino l’ho visto, perfino uno a strisce gialle e blu, ma tutti gli altri apparivano grigetti, anonimi, poco brillanti, forse per il fatto che era nuvolo e non c’era il sole a metterne in risalto il colore. Così me ne sono tornato a riva, anche perchè ha cominciato un po’ a piovigginare e il cinese era preoccupato che gli si bagnassero i vestiti. Effetto Corona virus, penso, di cui sento parlare da lui per la seconda volta. Che tipo, mentre facevo il bagno lui se n’è rimasto sulla spiaggia a fare esercizi di qualche dannata arte marziale, tutto tatuato, i capelli raccolti in un codino e serio come la morte. Poveraccio (per modo di dire), siccome era scoppiata l’epidemia di questo strano nuovo virus proprio in Cina, là gli aeroporti li avevano chiusi e lui non poteva tornare a casa ed era costretto a una prolungata vacanza, che cominciava però a vivere come un esilio forzato.
A quel punto ci siamo divisi: lui se n’è tornato verso l’ostello ed io ho continuato l’esplorazione per vedere se trovavo questo posto più ad est, dove in effetti ci sono altre baie e spiaggie, tra cui la più decantata è Bottle beach, la spiaggia della bottiglia, non si se perchè ha una forma a bottiglia o perchè ci si ubriaca a bestia. Volevo andare a verificare e son partito.
La prima deviazione che ho visto sulla strada principale che scendeva verso il mare l’ho presa, mi sono fermato in alto, dove ho visto alcuni motorini parcheggiati e ho cominciato a scendere per un viottolo scosceso tra banani e palme da cocco. E sono arrivato su una spiaggia fantastica: il mare calmo a specchio, i colori del tramonto, levigati massi di granito nero emergevano come teste di capodoglio davanti alla riva, un orlo di palme e subito dietro la foresta che s’inerpica verso la montagna fitta di vegetazione. Bella ragazze, bella gente, chi sull’amaca, chi nel patio dei bungalow, molto tranquilli, rilassati, non si sentiva volare una mosca, solo il canto degli uccelletti, non c’erano manco bimbetti, che in genere rompono i coglioni. Devo dire un posto che mi ha impressionato parecchio. Tanto è vero che mi sono preso il nome dei bungalow proponendomi di cercarli su internet per conoscere i costi per un eventuale cambio d’alloggio. Sempre tenendo conto del rapporto qualità-prezzo! Anche se il secondo giorno avevo ottenuto una stanza single, nell’ostello dove stavo c’era un grosso inconveniente: le camere si trovavano al di là della strada rispetto alla spiaggia e ogni volta che si voleva andare al mare si rischiava di venire travolti dal flusso continuo dei veicoli, che per di più si muovevano con la guida a sinistra, bloody British!
Ma purtroppo su internet ho visto che i bungalow che mi avevano tanto attirato costavano un occhio e allora ho trovato una soluzione più economica proprio a Bottle beach, sui 15 dollari a notte.
Ma a Bottle beach il giorno dopo non sono riuscito ad arrivare. Perchè?
La mattina, in seguito ad una accurata ricognizione su Google maps, ho individuato la strada per la suddetta spiaggia, ma malgrado ciò mi sono perso diverse volte perchè la strada è tortuosa e sale tantissimo in mezzo alla foresta fluviale. Attraverso nuvole nere gonfie di pioggia e scendo per curve a gomito alla ricerca sia del Pachamama che di Bottle beach. Le waterfall ormai non le cerco più, perchè il giorno prima, quando finalmente le avevo localizzate e sono arrivato al botteghino dei biglietti per l’ingresso, la ragazza alla cassa con una mazzetta di biglietti pronti per la vendita ha avuto l’onestà di dirmi desolata che le cascate non c’erano più: “Dry season, no water!” E sono rimasto all’asciutto!
Quindi ora, mentre guido, non mi lascio attrarre dai cartelli che mi segnalano varie cascate lungo il percorso, e dopo quasi un’ora di cammino penso di essere arrivato nei pressi di Bottle beach. Vado ancora un po’ avanti e indietro col GPS impazzito: “Gira a destra, torna a sinistra, ripassa a destra, torna indietro”, stavo diventando isterico con questo telefonino in mano, quando finalmente vedo una coppia in motorino, fermi davanti a uno sterrato che deviava dalla strada principale, anche loro col telefonino in mano e con tutta l’aria di chi sta cercando proprio Bottle beach. Quando chiedo a lui in inglese se anche loro stanno cercando quella spiaggia, mi fa vaghi cenni come per dire che non capisce una minchia. Interviene lei, in francese, per dirmi che sul loro navigatore il percorso per Bottle beach parte prpprio da lì. Parlottano tra loro e capisco che sono russi. Nonostante ciò mi fido e li seguo. Sembra proprio che sia questo il viottolo che ci debba portare giù alla spiaggia e loro l’imboccano decisi. La strada è uno sterrato tutto sali e scendi, sconnesso e pieno di buche, ma penso che se ci vanno loro che sono in due posso farcela anch’io che sono da solo.
Ma la strada diventa sempre più ripida, con curve e controcurve in discesa, molto pericolosa.
L’avevo capito subito che non dovevo fidarmi del russo, ma ormai stavo in gioco e volevo proprio vedere dov’era ficcata questa fottuta Bottle beach. A un certo punto si finisce in un falsopiano dove erano parcheggiate alcune motorette e un grosso cartello avverte: “ATTENZIONE! Non proseguite su questa strada a meno che non abbiate un mezzo 4×4. PERICOLO!” Scritto in rosso bello grande. Ma voi pensate che questo avvertimento abbia minimamente influenzato la determinazione cieca del russo? Naaa! Il kamikaze si butta a capofitto giù per la discesa mostruosa piena di buche e di solchi lasciati dallo scorrere delle piogge, ed io, come un idiota, lo seguo.
Facciamo un centinaio di metri ed io, cercando di frenare per rallentare al massimo la corsa, slitto sul brecciolino misto a sabbia e… bum, barabum, barabum bum bum, tra un fragore di cocci, perchè mi si rompe pure lo specchietto retrovisore, mi ritrovo incastrato sotto il motorino che rimane acceso col motore su di giri, ed io sotto, tutto bello scartavetrato sul terriccio. Il russo finalmente si ferma e risale a piedi ad aiutarmi a scastrarmi dal mezzo, che nel frattempo sono riuscito a spegnere. Faccio una rapida ricognizione, mi sembra di non avere nulla di rotto, a parte un po’ di escoriazioni su spalla, gomito e ginocchio. Un rivolo di sangue mi scende sull’avanbraccio, ma tutto sommato me la sono cavata con lievi danni. Meno male che mi ero messo pantaloni lunghi e camicia a maniche lunghe che mi hanno protetto, sbrindellandosi loro più della mia pelle.
Anche il motorino è malconcio: lo specchietto in frantumi, un liquido oleoso cola fuori dal motore ed è tutto graffiato da un lato. Mi aiutano a rimettere in piedi il mezzo e il russo me lo riporta sù, fino ad un punto meno scosceso perchè possa ritornarmene indietro, perchè io col cazzo che proseguo su quella maledettissima strada!
Me ne torno mesto verso l’ostello, che non è proprio dietro l’angolo, e , forse ancora confuso dalla botta, sbaglio due o tre volte strada. Mi sento rincoglionito e non capisco più nulla delle indicazioni della vocina del navigatore: gira a destra, torna indietro, gira a sinistra… ma vaffanculo brutta troia!
Alla fine riesco a tornare, do una pulitina e una sistemata alla moto, così che non sembri troppo acciaccata e gliela riporto alla donnina che me l’ aveva affittata.
100 dollari di danno, tra specchietto e manopola del freno, e per fortuna che non si è accorta dell’olio che sgocciolava dal motore! Ho protestato un po’ per il costo elevato del freno che si era storto appena, ma lei mi ha detto che non ne vendevano uno singolo ma bisognava ricomprarli in coppia. Vabbè, pigliamoci ‘sta sola, del resto me la sono cercata io, per seguire quei due kamikaze russi come un coglione.
Me ne torno in ostello, incontro l’indiano ex compagno di stanza che è molto carino e gentile e si premura di andarmi a prendere un po’ di penicillina in farmacia. Me la porta e mi fa con grande rispetto: “Certo dovevi essere più prudente, non hai più l’età per andare in motorino”
Vorrei mandarlo affanculo, ma siccome sono molto educato mi astengo.
Mi curo, mangio una cosina, un’insalata di frutta, e me ne torno in camera a riposare e a leccarmi le ferite. Verso il tramonto me ne vado a fare una bella passeggiate sulla spiaggia di fronte (rischiando sempre la vita con l’attraversamento della strada, che con la guida a sinistra non sai mai dove guardare), e incontro il cinese karateka. Gli racconto della disavventura che mi è capitata dopo che ci eravamo lasciati, e lui mi fa: “Dovevi stare attento, io lo sapevo che la strada per Bottle beach è pericolosa!” Ma brutto cinese che non sei altro, non me lo potevi dire prima! E io che rischio pure il Corona virus per venire con te!
Constato che i miei due compagni potrebbero anagraficamente essere miei figli, se non miei nipoti, eppure sono loro a dare consigli a me. Così va la vita.
Alla fine ce ne siamo andati tutti e tre a mangiare del pesce, io, l’indiano e il cinese.
Io lo volevo al barbecue perchè da due giorni avevo una diarrea tremenda e pensavo che un pescetto arrostito mi avrebbe fatto bene, ma il cinese ha spinto per un ristorantino più economico dove il pesce lo facevano solo fritto. Del resto, poveraccio, doveva per forza essere sparagnino, dio solo sapeva quando sarebbe potuto tornare a casa!
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3 risposte
1 se li pubblicassi da solo questi inconvenienti non capiterebbero.
2 andiamo avanti? ci pubblichi il 4?
Caro Pino, è possibile conoscere il nome dell’autore di questo stupendo racconto?
Non hai l’eta’… troppo divertente. non sanno con chi stanno parlando…