Ecco la terza parte della mia storia:
Parte III – Un nuovo mondo – 5 anni a New York.
Già guardando dal finestrino dell’aereo, New York era immensa. E arrivando a JFK la grandezza di tutto mi colpì. Barbara era venuta a prendermi e dopo un grande abbraccio salimmo nella sua macchina e guidammo verso Philadelphia, dove lei abitava. Un paio di ore di guida, con il tempo di parlare e di ritrovarsi, assorbendo il mondo esterno mentre passava… Tutto in scala gigantesca, energia elettrica sfrenata, sprecata, neon e vetro e cromo. Tanta, tantissima gente e macchine…
Venivo dall’Italia con un bagaglio di presupposti e con una conoscenza limitata di ciò che fosse la mentalità Americana. Avevo conosciuto gli ‘Ugly Americans’ attraverso il lavoro di papà. Tante volte da ragazzo andavo con lui in uno dei suoi viaggi con gruppi di turisti. Napoli, Capri, Firenze, Pisa, mangiando in ristoranti turistici, e dormendo in hotel di prima classe.
Avevo conosciuto gli Americani belli, gli artisti, hippies, gente della controcultura e avevo l’impressione infondata che la controcultura ‘underground’ fosse molto più stabilita. Mi piaceva la musica. Motown, Rythm and Blues, Rock and Roll… Attraverso Barbara m’immersi nel suo mondo, con il suo lavoro – Lavorava come commessa e modella per una boutique in città. Alta e magrissima con piccoli seni, il corpo perfetto per modellare. M’immersi anche nel mondo dei suoi amici e amiche.
Venuto con solo il visto turistico per tre mesi, ero venuto preparato a cercare del lavoro. Invece appena un mese dopo il mio arrivo fui colpito con la Mono Nucleosis, o ‘Mono’ come mi dissero i dottori. Cosa che non avevo mai sentito nominare ma che mi lascio’ a letto indisposto per un intero mese. Senza energie e totalmente dipendente da Barbara per il suo aiuto. Vivendo nel piccolo appartamento di 13th and Spruce, disegnando, appena mi ripresi, cominciai a girare per Philadelphia in cerca di lavoro. Naturalmente andai al ‘Different Drummer’ il giornale underground locale che pubblicava fumetti di Robert Crumb ma non ottenni nessun ingaggio. Il primo lavoro che feci fu di disegnare un logotipo per una compagnia che voleva le lettere fatte con la bandiera americana con strisce e stelle. Piccolo 8/9 centimetri, lavoro molto dettagliato che feci con il Rapidograph che mi ero portato da Roma come parte del mio misero bagaglio. Non mi pagò molto, anzi credo adesso che lo feci quasi per niente, ma mi sentii più positivo e sicuro di me, incoraggiato da Barbara e tutti gli amici. Barbara Teti e Sandy Long, le sue due amiche più vicine che avevo conosciuto inizialmente a Londra invece vivevano a New York, e le andavamo a trovare ogni tanto.
Conobbi i genitori di Barbara, Jim S. e sua moglie Lee che abitavano in suburbia in un quartiere chiamato ‘Media’. Tipicamente medio americano, lui beveva whiskey e a lei piaceva la birra. Jim lavorava come sarto, dirigendo un reparto in una grande compagnia di nome. Lee era una casalinga e passava il tempo pulendo, bevendo e parlando ininterrottamente. Lui ex Sea-Bee della marina si sentiva un ‘rat packer’ alla Frank Sinatra/Dean Martin e pensava che tutti gli italiani fossero come i tipici Italo-Americani dei film di Gangster, che invece sono tutt’altra cosa dai veri italiani ma il prodotto della cultura italiana esportata e americanizzata. Simpatici suoceri, infondo, anche se molto conservatori, pro-guerra e pro-Nixon, Repubblicani. Ci coprivano di regali, mangiare, e aiuti finanziari. Ci sposammo a casa loro con un prete e due testimoni, Barbara incinta…
Tramite Barbara e il nostro nuovo rapporto, assimilai pian piano ciò che realmente e’ l’America e la cultura Americana. Non di seconda o terza mano in Europa, dai giornali e le riviste, i film Americani, i fumetti, la musica… ma dal vivo, in prima persona, come partecipe. L’Inglese che parlavo io a quel punto era un miscuglio di accento Inglese con intonazioni Americane, cose imparate dalla musica e dai fumetti, ma non suonava Americano. Tutti mi dicevano, “non hai nessun accento, ma che inglese parli?”… Capivo l’Americano abbastanza bene, ma mi sfuggivano molte referenze culturali che non conoscevo. La gente in questo paese assumeva che tutti fossero cresciuti guardando gli stessi show in televisione o ascoltando la stessa musica. Barbara era innamorata della musica di James Taylor e il suo nuovo disco pubblicato dalla Apple. A me piacevano sempre i Beatles e i Rolling Stones ma scoprii le radici vere e proprie del suono Americano. Il blues, gospel, R&B, acapella…. Il jazz e la musica pop in generale. Il ‘Country’ non mi e’ mai andato giù… anche che alcune canzoni e alcuni cantanti però mi sono piaciuti, come Johnny Cash e Willy Nelson per esempio. Poi tutti gli artisti della ‘SUN label’ con il miscuglio di country e rock, chiamato Rockabilly. Non c’era solo Elvis e Little Richard e Jerry Lee Lewis, ma un’intera galleria di altri nomi a me sconosciuti, altrettanto bravi, con tante canzoni che non avevo mai sentito prima. Allo Spectrum di Philadelphia andammo a vedere/sentire Crosby, Stills, Nash, & Young. Venne mia madre a trovarci e fu ospite dei miei suoceri, per il battesimo di Vanessa.
Da Philadelphia ci spostammo a New York perché Barbara aveva trovato un lavoro grazie ad una coppia di nostri amici benestanti, Ralph Solomon e sua moglie Iris. Lei lavorava come commessa in un grande magazzino esclusivo (Bendel’s) e trovò un lavoro per Barbara nel reparto calzature. Per me, trovarono un lavoro come magazziniere per la boutique di Yves Saint Laurent, dove aprivo casse provenienti dall’Europa e mettevo tutti i vestiti (e accessori) su stampelle e scaffali.
Barbara aveva deciso che voleva un cane, e finimmo per averne due. Asha, una piccola bastarda, e poi Red, un setter Irlandese. Abitavamo in un loft, un grande spazio vuoto, nel quale il proprietario aveva messo dei muri e fatto delle stanze. Una piccola cucina nel centro. Era sopra una lavanderia, sulla seconda strada e terza avenue. Midtown più’ o meno. Ma con i cani in città era impossibile. Io poi trovai un lavoro con un’agenzia di pubblicità su Madison Avenue che stava espandendo e cercavano qualcuno che cominciasse dal basso, imparando la professione. Decidemmo quindi di spostarci in campagna anche perché Barbara era incinta. Finimmo a Hopewell, NJ, vicino a Princeton. Lei lavorò fino che potette, poi rimase a casa mentre io facevo il pendolare col treno o con l’autobus, un’ora e mezza all’andata e al ritorno. Lei veniva con la macchina a prendermi alla stazione e andavamo a casa. Cucinava principalmente lei, ma anch’io cominciai a cucinare piatti Italiani. Sempre la pasta, lasagna, polpette etc. E introdussi la carbonara, cosa che nessuno conosceva. A Princeton andammo a sentire Pink Floyd in un grande teatro…
Il 28 Dicembre 1971 eravamo a New York a trovare degli amici per il Natale e Barbara fu trasportata all’ospedale, dove diede nascita alla nostra figlia Vanessa. Continuammo a vivere in campagna per un po’ (Dove ci venne a trovare Fred), ma eventualmente Barbara ottenne un nuovo lavoro con una società che produceva vestiti da donna, moderni, roba in maglia, e quindi tornammo a vivere a New York, questa volta finendo nel West Village nella bassa Manhattan. Un piccolo edificio di mattoni a due piani, il padrone viveva di sotto e noi affittammo il piano di sopra. Barrow Street, vicini di John e Yoko che vivevano pochi isolati più’ in giù (prima di andare a vivere al Dakota). Lavoravamo entrambi e Vanessa venne eventualmente messa in cura di una nanny, una donna nera di nome Berniece, la quale se la teneva con i suoi due figli, portandoli a spasso al parco, dandogli da mangiare. Vanessa aveva una culla nella nostra unica camera da letto, separata da una tenda scorrevole. Piccolo bagno accanto. Avevamo una cucina piccolissima e un living pure piccolo, dove avevamo un divano, tavolo da mangiare e un televisore.
Io intanto dopo essere arrivato a essere Art Director in quattro anni nell’agenzia dove lavoravo, guadagnavo bene ma non ero contento. La pubblicità non mi interessava proprio. Ricordo che lavorando all’agenzia pubblicitaria, non solo avevo il portacenere sul tavolo da lavoro con la sigaretta accesa, ma anche ascoltavo su una radiolina portatile, lo svolgersi del caso ‘Watergate’ e i dibattiti sui fatti commessi dai colpevoli (l’irruzione clandestina della sede del partito democratico, lo spionaggio da parte della squadra di Nixon e la seguente copertura dei fatti per cercare di tenerlo nascosto).
Lasciai il lavoro sperando di riuscire a farcela da solo come libero professionista … Feci un paio di copertine per riviste, un fumetto, qualche disegno pubblicitario … Poi trovai un lavoro con uno studio che faceva disegni per tessuti. Finalmente ero pagato per fare ciò che mi piaceva fare di più’, disegnare e dipingere. Ero pagato all’ora per stare seduto e dipingere roba da tessuti … che ne so, da fiori e uccelli e paesaggi, ad astratti geometrici, paisley, e primitivi … divertente. In più’ oltre il salario orario, se uno dei miei disegni vendeva, prendevo una bella commissione, e i miei disegni piacevano. Imparai a fare il batik, e l’uso dell’aerografo, attrezzo che mi comprai con un piccolo compressore elettrico.
Fin dall’inizio del nostro rapporto, non fummo mai una coppia monogama, rapporto aperto, avemmo amanti… Barbara era una donna bellissima, alta e magra con dei capelli rossi ricci ricci… attirava molti occhi e le piaceva flirtare, ed io avevo occhi per tante bellissime donne. Erano i tempi della rivoluzione sessuale, prima dell’epidemia dell’AIDS, sex & drugs & rock and roll… Max’s Kansas City, studio 54, il Fillmore East, CBGBs…
Dal West Village, ci spostammo a est, St. Marks Place, dove trovammo un posto incredibile, un negozio con vetrina sulla strada, con dietro una lungo susseguirsi di camere (bagno, letto, cucina) e un piccolo giardino posteriore. Tutto come un lungo corridoio, con luci al neon, porte francesi con vetro colorato, la doccia come una piccola grotta coperta di tasselle di mosaico bianche e nere…
Vanessa era un asilo/nido proprio accanto a casa e quindi molto conveniente. Mantenuto da una suora Cristiana Filippina. Barbara seguiva col suo lavoro alla compagnia ‘BAGO’ ed io con il mio di disegno per tessuti. Nel 1974 andammo a Roma per Natale e fu un bel viaggio. Restammo a casa di mamma e Mary, a Lungotevere Dante, ma facemmo il pranzo di Natale a casa di Fiorella e Toni, a Casal Lumbroso, dove venne pure papà. Tutti i familiari s’innamorarono di Vanessa, la bionda Americana, e anche di Barbara …. Un’altra volta viaggiammo in macchina con Vanessa fino a Montreal Canada, fermandoci facendo il campeggio, con tenda e fornelli all’aperto. Fu un bel viaggio e facemmo tante foto. Barbara guidava, io non avevo ancora preso la patente e facevo solo il passeggero. Tornati a casa a NY, mi disse che voleva separarsi perché si era innamorata di un altro.
Stranamente allo stesso tempo, avevo ri-stabilito contatto con gente dalla mia passata vita a Roma. Halma P. e suo marito Steve, che ora avevano due figli. I l’avevo lasciata a Roma ancora incinta del suo primo figlio che chiamò Star, nato dopo la mia partenza. Ed eccoli ora, con una bambina piccola di due o tre anni, Midnight, un amore di bimba, bellissima e buona mentre il fratello Star era una peste e molto viziato … beh, viziati tutt’e due direi. L’anno prima ci ri-incontrammo con Ovidio Federici, e lui finì per sposarsi con la nostra amica Barbara Teti.
Vivere a New York fu una grande esperienza, con la mia prima moglie Barbara vivemmo in Philadelphia e in New York, esplorando tutta la costa, il Vermont, il Connecticut, New Jersey etc., dal 1970 al 1975. La terra in se stessa è bellissima, alberi di tutti i tipi e colori, montagne e spiagge di rocce sull’oceano.
Appena arrivato dall’Italia, rimasi molto colpito dalla grandezza di tutto, dagli edifici, le macchine, le autostrade… Tutto sembrava così moderno e futuristico. Gli abitanti sono molto diversi da, per esempio, gli abitanti degli stati del sud, Alabama, Mississippi, Texas, etc. I Newyorkesi sono intellettuali, liberali e cosmopoliti. New York è il centro economico della nazione, il cuore del sistema finanziario capitalista in Wall Street. La grandiosità di Broadway, i teatri, Times Square, la statua della libertà e le torri gemelle (che visitai il giorno dell’apertura al pubblico), gli studi degli artisti e le gallerie d’arte in SOHO, con Andy Warhol e compagnia, i grandi alberghi e negozi per i super ricchi. Aldilà di tutta la grandezza, esisteva anche l’altro lato, la povertà dei ghetti pieni di edifici dilapidati, bruciati, con finestre rotte, cancellate di ferro, sporcizia, sorci e cucaracha, ignoranza, fame, e droghe e sofferenza, e povera gente disperata che moriva.
Gli unici buchi che ho mai fatto, furono, il mio primo tatuaggio (Poi i tatuaggi si moltiplicarono negli anni seguenti), fattomi fare a Jersey City, al mare… una pantera nera sull’avambraccio sinistro (allo stesso tempo Barbara si fece fare una testa di serpente che usciva da una apertura, all’interno della coscia destra), e il mio primo buco all’orecchio, seguito da un secondo e un terzo. Tatuaggi a sinistra, orecchini (3) a destra, per bilanciare ovviamente… Il secondo tatuaggio lo feci in Philadelphia, un drago stile cinese, e lo misi faccia a faccia con la pantera, come a confronto. Il terzo lo disegnai io, e chiesi a un conoscente che andava tatuando ambulantemente, di eseguirlo nel mio studio dove vivevo a 99 St. Marks Place, messo sopra le due teste dei primi tatuaggi, come corona… Una mezza luna e stella, con fondo nero delineato da nubi.
Rimasi molto deluso dalla scelta di Barbara di lasciarmi, di costringermi a diventare un padre part-time, e poter vedere mia figlia solo in certi giorni della settimana, di terminare unilateralmente un rapporto al quale io mi ero dedicato pienamente. Le volevo veramente bene… ma, mi aveva sconvolto la vita, e il mio rapporto con mia figlia… e mi sentivo veramente tradito.
Oltre ai vari lavori commerciali, nel mio studio disegnavo e dipingevo in continuazione. Feci una serie di tele di varie dimensioni, una delle quali ho rivisitato e rifatto, e molti disegni a penna e inchiostro. Avevo due portfolio piene del materiale che avevo prodotto in quei 4/5 anni a New York. Con Barbara avevamo poche possessioni in comune, piatti, posate, lenzuola, asciugamani, ecc., che lei mi lasciò…
Un mio vicino di casa, un nero di nome Dolphy, che lavorava il legno e aveva una fidanzata portoricana con una bimba dell’età di Vanessa, e giocavano assieme quando possibile, mi regalò un libro chiamato URANTIA, che passai le ore leggendo. Libro che presi a leggere pensando alla collana scifi Urania, che leggevo a Roma. Un libro che sostiene di essere una compilazione di documenti scritti seguendo le rivelazioni di una persona in trance che riceve questi messaggi da esseri spirituali superiori, ‘documenti’ che includono la creazione dei superuniversi, lo sviluppo delle religioni, e legano il tutto con la vita di Gesù e la tradizione giudeo-cristiana…
Leggevo sta roba proprio come fantascienza, la notte a letto da solo, finendo per addormentarmi…
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Artista – Marito – Padre – Nonno
Una risposta
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