John Flores –
Ebbi il mio primo impiego ai quattordici anni, con la TWA, lavorando prima a Ciampino e poi al Leonardo Da Vinci dopo l’inaugurazione. Impiego che durò solo due anni, e me ne tornai a scuola molto volentieri. Brevi lavoretti per conoscenti a Roma, ma poi di lavoro non se ne parla fino al mio approdo agli SU. Ai ventisei anni, a NY, mi buttai nel campo della pubblicità con il primo lavoro per una compagnia su Madison Avenue, durato tre anni, poi dipinsi per uno studio tessile per altri due anni. Poi venne la California, dove fui tassista brevemente, poi cuoco per quindici anni, allo stesso tempo facendo la grafica come libero professionista. Prima dei computer, quando si faceva tutto a mano, usando lettere trasferibili per testi, vernici per le scritte fatte a mano sulle vetrine dei negozi, cartelli, etc., l’aerografo per fare le magliette, il coltellino X-acto per tagliare le separazioni di colori su Ruby Lytho per la stampa, e la gomma cemento per incollare… Insomma, tutte cose manuali. Poi arrivò il computer, e la grafica fece un gigantesco passo avanti, con le applicazioni… che davano modo di fare tante operazioni sul tuo tavolo da lavoro, senza dover correre dal fotografo, o dal tipografo…
Per tenermi al passo, mi comprai il computer, un Apple IIsi, con una memoria insignificante e inadeguata per i progetti che affrontavo, e presto mi aggiornai con un Mac G3, apparecchio fantastico che mi permise di intraprendere impaginazione, per vari giornali e riviste. Naturalmente il progetto preferito fu quello della Haight Ashbury Free Press. Un giornale del quartiere, molto psichedelico, nella vena del vecchio “San Francisco Oracle”, che mi tenne occupato per due anni, ma ci guadagnavo l’elemosina…
Finito il lavoro di cuoco nel 96, quando piantai in asso, non avevo idea sul da fare… M’iscrissi con un paio di compagnie che trovavano impieghi temporanei con uso del computer. Il primo lavoro venne con SoftBank Expos, una compagnia che organizzava spazi per esposizioni e riunioni, per vari gruppi, in diverse città, ed io producevo grafica di piante dettagliate di ogni spazio, a colori, con chiamate di testo. Noioso, ma mi tennero per qualche mese… io prendevo il treno e l’autobus per arrivarci, al sud della città, in Menlo Park. Mi tenevo una lista delle ore d’impiego, e alla fine del mese, la consegnavo ai miei datori di lavoro, e loro mi pagavano direttamente. Qualche altro salto a destra e a sinistra, con varie ditte sparse di qua e di la… arrivai nel 96 a una compagnia chiamata YES Entertainment, con sede generale in Giappone, gestita localmente da un gruppo grafico americano. La compagnia produceva giocattoli in Giappone per un mercato mondiale e multilingue. Il lavoro consisteva nel creare la grafica per l’impacchettamento, cioè le scatole dei vari prodotti… Ed io ero incaricato di produrre veri e propri campioni esemplari da mostrare ai clienti, cioè stampavo la grafica su carta, che poi incollavo su cartone, e lo tagliavo col coltellino, lo piegavo e lo incollavo, simulando il prodotto finale. La mia familiarità con il lavoro manuale (all’antica) con coltellino e adesivi, non erano in uso dagli altri ‘grafici’ più giovani abituati solo al computer, ed ero ben apprezzato. Feci delle nuove amicizie, e ottime connessioni e ci lavorai per quasi un anno, con il solito vai e vieni in autobus e metropolitana, o, BART – Bay Area Rapid Transit.
Vivevamo nel quartiere Castro, in cima a una collina sulla 20ima strada, con tutte quelle scale, ed io avevo il mio grande studio con tanto spazio, e presi a portarmi a casa il lavoro extra che non veniva risolto in sede… naturalmente mi dimisi dalla “Employment Agency” che si prendeva il suo taglio, e cominciai a sommettere le fatture direttamente, usando il mio titolo John Flores Graphics, registrato legalmente. Uno dei colleghi mi diede il nome di un’altra ditta dove lui collaborava, chiamata LeapFrog, una nascente compagnia Americana che produceva giocattoli elettronici assemblati in Cina, situata in Oakland… Li contattai con la raccomandazione e mi assunsero immediatamente. Quando dico ‘assunsero’, non come impiegato, con tasse, benefici etc., ma come libero professionista (Cunsultant), cioè io pagavo le tasse direttamente al governo. Per quel che riguarda benefici medici, sono sempre stato sotto l’assicurazione di mia moglie, che ci copre entrambi…
Pensare che da cuoco chiedevo $7 l’ora, nel 97 a LeapFrog chiedevo $30 l’ora… cifra che andò aumentando con gli anni. Lasciai YES e mi dedicai alla nuova compagnia che prometteva bene. Il prodotto che li aveva lanciati era il “LeapPad”, una versione semplice di un laptop per bambini di diverse età, con programmi educativi, caricati su cartucce separate, che si compravano separatamente.
Anche LeapFrog aveva il suo gruppo grafico, chiamato Creative Services, e il mio contributo al computer era quasi minimo, mentre ero sempre immerso nella produzione dei campioni, o, Comps, come li chiamavano. Accumulavo le stampe e per i prodotti più grandi mi toccava spiattellarli con lo scotch sul retro, poi li portavo all’esterno dell’edificio, dove li spruzzavo con la colla aerosol, poi incollandoli sul cartone… senza uso di maschera. Situata in un vecchio edificio industriale, dove Oakland diventa Emeryville, sulla baia a est di SF. Eventualmente il lavoro divenne tanto che cominciai a lavorare da casa. Loro mi mandavano le stampe con un messenger, ed io gli rispedivo i prodotti finiti in cambio. Loro provvedevano il cartone, la colla spray, e le lamette, che mi arrivavano allo studio.
Oltre a LeapPad, avevano 4/5 altri giochi elettronici meno acclamati, ma nessuno ebbe il successo del primo, che li catapultò al successo. Eventualmente si spostarono in un edificio nuovo, più grande, in Emeryville, zona non ancora gentrificata, con le strade quasi vuote, pochissimi i locali pubblici, caffè, bar, ristoranti, pochissimi gli appartamenti o loft vivibili.
Intanto YES era andata fallita in Giappone, chiudendo il gruppo americano, e improvvisamente vennero tutti assunti da LeapFrog, ed eccomi di nuovo con il vecchio gruppo di lavoro. Creative Services era cresciuto in numero e il lavoro abbondava per tutti. Io cominciai a frequentare il nuovo posto di lavoro, dove avevo la mia ‘stazione’ con computer, e lo spazio esterno (una porta che dava sul tetto), dove con la maschera spruzzavo e incollavo la grafica, poi all’interno avevo un grande spazio con tavoli enormi per tagliare. Le occasioni di contribuire con la mia grafica furono poche, qualche disegno qua e la, ma la mia attività principale era quella di produrre questi campioni, che aumentavano di giorno in giorno, tanto che cominciarono ad assumere altri aiutanti temporanei. La compagnia continuava a crescere, e licenziando la Disney con tutti i suoi caratteri, ingrandì il catalogo delle cartucce e dei prodotti. Il LeapPad aveva un mercato mondiale, con giochi che attiravano i piccoli a imparare giocando, in diverse lingue, incluso l’Italiano, e riuscivo a rimediare prodotti gratis, da inviare ai nipoti in Italia e Inghilterra… I prodotti erano interessanti e educativi, e rendevano il lavoro piacevole.
Contando tutte le ore di straordinario per le quali fatturavo una volta e mezzo il prezzo normale, finalmente ai cinquantuno anni cominciavo a guadagnare uno stipendio decente, facendo qualcosa che mi piaceva, allo stesso tempo imparando sempre di più l’uso del computer, sia Mac sia Windows, e mi tenevo al corrente di tutte le applicazioni di grafica. Allo stesso tempo formando amicizie con tante nuove persone che ingigantivano la compagnia. Un altro trasferimento di poche quadre, a un edificio ancora più grande, appena finito, la compagnia si prese tutto il lato sinistro, mentre lo spazio a destra rimase vuoto fino a che la compagnia ne prese possesso, occupando tutto l’edificio di un piano con mezzania. Un bel cortile e garage multi-piani, dove noi fumatori, ci si radunava attorno ai portacenere, a fumarsi le sigarette…
Un certo Aaron Paoli, un giovane di vent’anni, venne assunto permanentemente dalla ditta come apprendista del mio mestiere, del quale gli insegnai ogni trucco. Divertente, aveva prima lavorato come buttafuori in un club in SF, ed era stato assunto dietro raccomandazione della giovane moglie Giuliana Di Censo, che già lavorava con la compagnia come disegnatrice…
Mi alzavo la mattina presto, nella mia stanza da letto al terzo piano, con una veduta della baia e Oakland nello sfondo, sulla ventesima strada in SF, in cima alla collina, vecchia casa costruita su una strada inclinata. Fatto il primo caffè, prendevo un autobus brevemente per arrivare downtown, dove mi trasferivo alla metro della BART, che mi portava sotto la baia attraversando un tubo subacqueo, e scendevo in Oakland dopo mezz’ora. Da lì un altro autobus per una quindicina di minuti e arrivavo al lavoro in Emeryville, per le nove… La tappa obbligatoria da Starbucks, dove tutti facevano la fila per i loro vari drink che impiegavano tanto tempo, mentre io volevo solo il secondo espresso e magari qualche croissant o dolcetto. Per pranzo avevamo un’ora e si andava al ristorante più vicino, un bar dove servivano alcolici, birra ecc., con un paio di tavoli da quattro posti, dove si poteva ordinare dalla cucina nel retro, che serviva un menu tipicamente americano, di hamburger e patatine, e insalate e panini, ma anche pasta e polpette al sugo, e si poteva mangiare anche seduti al bar… Molte volte l’alternativa consisteva nell’andare a farsi il Whopper da Burger King, o trovare posti altrove scelti online, e arrivandoci in macchina.
Succedeva molte volte che assieme a Aaron e altri giovani amici, si riportasse il magiare al lavoro, e lo si consumava lavoricchiando o ascoltando musica sul computer. Come favore a me, Aaron compilò una lista di canzoni dei Beatles, fino a comprendere ogni canzone immaginabile… piacevano anche a lui tanto, e s’innamoro’ delle mie canzoni illustrate che avevo disegnato negli anni ottanta, e poi colorate nel 1995 e dopo… e si parlava apertamente di marijuana medicinale, che si stava innescando nel discorso nazionale.
Ogni gioco aveva un suo dipartimento, i disegnatori del prodotto, i tecnici per il software, i venditori che mantenevano i contatti con i compratori, il marketing, ecc. Ma oltre a quei pochi prodotti, c’era il loro gioiello, Il LeapPad, che cresceva e diventava un mostro nel mercato, e impiegava decine e decine di team per ogni aspetto creativo, creare il materiale educativo, con esperti in ogni soggetto, dall’ABC alla matematica. Insegnamento, reso palpabile e comprensibile alle diverse tappe dello sviluppo dell’infanzia, con la geografia, e anche delle scienze, per i più grandi.
Per Me e Aaron, la compagnia installò un tavolo meccanizzato che, guidato da un computer, tagliava il cartone con delle lamette x-acto, precise al millimetro, e velocissimo. Cambiando notevolmente il ritmo al quale si poteva produrre, e la richiesta di campioni aumentava col passare del tempo. Anche, e, finalmente, mettemmo fine all’iso degli adesivi spray, sostituendoli con un sistema di grandi rotoli che trasferivano strati continui di adesivo. Sistema complicato, montando due rotoli, uno con l’adesivo trattenuto da uno strato di carta oleosa, e un altro rotolo di cellofan trasparente, in una macchina nella quale s’inseriva la stampa da incollare, e con il tocco di un bottone, se la mangiava, sputandola dal dietro. Si levava lo strato trasparente che aveva assorbito la colla eccessiva, si pelava lo strato di carta oleosa e la stampa rimanente ora pronta da incollare al cartone, a mano, attentamente, cercando di evitare le bolle o pieghe.
E così via, lavorando per quattordici anni… a tempo pieno, concedendomi vacanze liberamente, permettendomi di viaggiare per i Caraibi facendo tuffi… Nel frattempo, fummo sfrattati dalla casa che avevamo occupato per vent’anni, e andammo a vivere in una casetta minuscola a Pacifica, sulla costa, al sud di SF. Il mio viaggio al lavoro divenne un po’ più lungo, ma i mezzi pubblici funzionavano benissimo e mi ci abituai. Emeryville diventava sempre più gentrificata, con loft abitabili, e nuovi appartamenti, nuovi caffè e ristoranti… e tanta gente.
Poi venne la ristruttura, la compagnia si restrinse, licenziando tanta gente, riducendo tutto al minimo. E anch’io dopo un po’ fui ritenuto solo per un giorno a settimana, per quasi un anno intero… Dopo mi ripresero a tempo limitato, lavorando tre o quattro giorni a settimana, passavo molto più tempo al computer ma usando nuovi programmi che mi cominciavano a pesare mentalmente. Riuscii comunque a cavalcare quest’onda fino ai sessanta nove anni, quando alla fine mi lasciarono andare, giusto in tempo per la pensione, nel 2015. Sedici anni di carriera in un nuovo ramo, batteva il mio record di quindici anni come cuoco… Un bel lavoro, che m’insegnò tante cose nuove, lavorando con gente di tutti i colori, bianchi, neri, asiatici e latini… molti più giovani di me.
Potrei parlare di una certa Michelle, una (ragazza quando la conobbi all’inizio) donna Giapponese-Americana, singola, troppo carina e simpatica, che lavorava nel reparto vendite. Piccola piccola, con capelli neri lunghi e lisci, una frangetta che le copriva gli occhi, atletica, molto attraente… tanto che dovevo forzarmi per non essere troppo ovvio nel guardarla. Si scherzava e si passava tempo assieme ai pasti, o in cortile… Mi raccontò che il padre Giapponese l’aveva chiamata Michelle, proprio dopo la canzone dei Beatles… Prima di questo impiego, aveva fatto parte delle “Raiderettes”, il gruppo delle ragazze pompon che saltellano alle partite della squadra Oakland Raiders. Ma quella è un’altra storia.
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Fiammetta Doria Colonnaassunto a 14 anni in italia? con quale mansione?
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John FloresFiammetta, ci chiamavano Air Cadets (o Apprendisti), ma eravamo dei messenger tuttofare…. Il mio lavoro con la TWA consisteva nel fare il corriere. Avevo accesso all’intero aeroporto, la sala partenze internazionali e la pista e gli aerei stessi. Per l’arrivo di ogni volo dovevo entrare l’aereo, andare alla cabina di pilotaggio e prelevare una borsa di pelle nera con i documenti di bordo, portarla in ufficio di corsa, aggiornare la lista dei passeggeri con i nomi dei disimbarcanti e imbarcanti, farne copie al ciclostile, rimettere tutti i documenti di volo in ordine e riportarli alla cabina per la partenza del prossimo volo. Avendo accesso all’aereo vuoto (solo con le crew che facevano pulizie e rifornivano bibite, sigarette e cibi) trovavo di tutto. A quei tempi si poteva fumare sugli aerei, e le compagnie regalavano pacchettini complementari di cinque sigaretti di varie marche, e ne rimediavo tanti gratis oltre alla gomma da masticare.Lavorai per due anni solamente. Il mio assegno stipendio lo davo direttamente a mia madre che mi dava soldi da spendere.
Fiammetta Doria Colonnapiccini!John FloresPassai dalla marina all’aeronautica (sic)… finendo con la naia nell’esercito. Tre fa perfetto…Abigail GarfagnoliI remember Leapfrog – maybe my son had one -
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2 risposte
è vero. ero io che non l’avevo visto su Fb. Ciao John
bravo. invece di rompere le scatole…
ps: e su FB? ce lo metterò io