Parte I – Dal Regno Delle Due Sicilie, all’Africa e la Spagna

OK, here goes:
Prima parte, molto lunga…
Discendiamo in linea retta da una famiglia arrivata in Sicilia nei secoli scorsi dalla Spagna, trasferitasi successivamente a Napoli e poi nel resto dell’Italia, e non solo. La storia ‘conosciuta’ della famiglia inizia in Sicilia, dove all’incirca nel 1769 nasceva il mio trisnonno, il Colonnello Francesco Flores, Francesco e la moglie Vita Montalbano ebbero dieci figli, sette maschi e tre femmine. I maschi, quasi tutti ufficiali borbonici, tranne il più giovane, Ferdinando (il mio bisnonno), che fu professore universitario a Napoli. Ferdinando sposò una donna Inglese, Sophia Louisa Oates, figlia del viceconsole inglese a Girgenti (Ora Agrigento), John Oates, originario dello Yorkshire. Mio nonno Eduardo nacque a Napoli e fu anche lui professore di lettere all’università’ di Napoli.
Nel 1905 nacque mio padre Federico a Bologna e visse la sua gioventù al Vomero, a Napoli, con la prima guerra mondiale, e ne subì le dure conseguenze come tanti italiani, gli spostamenti, le scarsità, e le insurrezioni politiche. Famiglia molto borghese, lungi da qualsiasi pensiero o inclinazione ‘comunista’, tantoché Federico, 15enne, scappò di casa per andare a partecipare alla marcia su Roma con Benito Mussolini, con altri compagni della sua ‘Squadra D’Azione’, nel 1920.
Nelle sue memorie (Compilata da zio Giovanni e mio fratello Edoardo, da appunti lasciati da mio padre), Federico racconta di come a Napoli girava con la sua squadra in cerca di risse, contro ‘comunisti’ e ‘anarchici’. Poi, fatto il servizio di leva, visse e lavorò in Albania per un anno, ritorna
ndo a Roma, dove ottenne un posto al ministero degli esteri (dove conobbe mia madre Agata), e, diventando corriere diplomatico, attraversò tutta l’Europa, vivendo brevemente a Londra e Parigi. Parlava perfettamente l’inglese, il francese, il tedesco e l’albanese, oltre l’italiano nativo. Col peggiorare degli eventi, con tre figli e moglie vissero a Bologna, dove papà lavorava per Il Resto Del Carlino dal 43 al 44, sino all’armistizio del 7 maggio 1945, quando cominciò a lavorare con gli alleati come interprete, presso il comando della Regione Emilia, a Senegaglia.
Io nacqui a Riccione nel 1946, l’anno dopo la fine della guerra, ero il quarto, i primi tre, nati prima e durante la guerra, e passammo i primi anni della mia vita tra Firenze, Foligno, e Roma. Nel 1949 mio padre trovò lavoro con la Sterling-Astaldi in Africa, ad Arusha, nel Kenya, allora protettorato inglese, e l’anno seguente lo raggiungemmo. Partimmo da Venezia, sulla nave Gerusalemme della Lloyd Triestino, e dopo tredici giorni, con tappe a Brindisi, Port Said, Suez, Massawa, Aden, Mogadiscio e Mombasa, arrivammo a Dar-es-Salaam, dove nostro padre ci venne ad accogliere. L’inizio di cinque anni della mia vita passati in Africa. Le memorie dei miei primi anni sono molto vaghe, so che restammo in Arusha fino al 1951, quando a mio padre fu offerta la direzione del Niali Beach Hotel. Un magnifico albergo sulla spiaggia, di fronte all’oceano India
no. Avevamo una bella casa all’interno del complesso alberghiero, con tanti lussi a cui non eravamo abituati, incluso macchina e servitù. I ‘Boy’, come li chiamavano gli inglesi, gli impiegati dell’albergo. Furono degli anni felici per tutta la famiglia, vivendo così vicino al mare, con delle sabbie bianche bellissime, palme dappertutto, e tanti animali. Le memorie sono poi rafforzate da tutte le vecchie foto in bianco e nero raccolte negli album di famiglia.
Fiorella e Edoardo erano stati iscritti alle scuole inglesi, lui a Kaptagat School for Boys, lei al Loreto Convent Girl School, e andavano imparando l’inglese. Erano ‘Boarding Schools’, cioè ‘collegi’, dove vivevano, venendo a casa per le feste. Mariella ed io invece passavamo il tempo con nostra madre, giocando sulla spiaggia e imparando a nuotare, e pian piano imparando l’inglese e il Swahili, lingua delle tribù Kikuyu locali. Ricordo che rimasi impresso dall’artigiania dei locali che producevano bellissime statuette scolpite di legno, di animali, di guerrieri, le frecce e archi, collane intricatamente coperte di perline coloratissime, gli scaccia mosca di coda d’elefante… Ricordo poi i costumi dei locali, le danze e i canti.
Nel 51 avendo compiuto 5 anni, venni iscritto alla stessa scuola di mio fratello per la prima elementare, e Mariella anche raggiunse Fiorella a suo tempo alla sua scuola. Avere una sorella o un fratello maggiore fece molto comodo e rese l’integrazione un po’ più facile. Presto, nostro padre aveva dei nomignoli per ognuno di noi, Fiorella divenne Flippit o Flip, Edoardo = Ed, Mariella = Mary, e Giancarlo = John.
Questa vita idillica, venne interrotta quando, per ragioni troppo lunghe da descrivere, papà fu’ improvvisamente licenziato, e ci trasferimmo a Limuru, vicino a Nairobi, dove a papà venne offerta la direzione del Brakenhurst Hotel nel 1953. Limuru faceva parte di quelle zone che venivano chiamate le ‘White Highlands’ (gli altipiani dei bianchi), una ricca terra agricola con piantagioni di caffè e tè, campi di cereali e allevamenti di bestiami. Il Brakenhurst Hotel era un albergo vecchio stile conosciuto in tutta l’africa orientale, per i suoi magnifici giardini e la sua posizione sulla collina, tra piantagioni di tè, e l’ottimo cibo. I clienti disponevano anche di un campo da golf a otto buche. Qui inoltre si svolgeva ogni anno una gara automobilistica chiamata Brakenhurst Hill Climb. Abitavamo in un bel bungalow grande che aveva perfino un cammino dato che di notte faceva freddo (2.500 m). Questa era l’epoca più critica della rivolta Mau Mau, e le misure di sicurezza erano molto severe. Nostro padre faceva parte della Kenya Police Reserve e aveva in dotazione una divisa, un revolver e un fucile. Queste armi erano custodite in casa e se qualcuno bussava alla porta, specialmente di sera, i miei genitori le tenevano a portata di mano. Anche le scuole avevano reparti militari di guardia. A partire dal 1952 la colonia del Kenya fu teatro di una violenta rivolta ad opera di una larga parte della popolazione che al grido di ‘Land and Freedom!’ insorse contro l’occupazione britannica. La rivolta affondava le sue radici nella prima parte del XX secolo, quando gli africani, principalmente di etnia Kikuyu, erano stati sistematicamente privati delle loro terre più fertili a favore del
nutrito numero di coloni inglesi, trasferitisi a vivere nella colonia gioiello del Kenya. Da vaste azioni militari contro i guerriglieri Mau Mau, alla creazione di campi di detenzione circondati da filo spinato chiamate Scuole di Riabilitazione… ci vollero ben tre anni per reprimere la rivolta, una delle repressioni più brutali della storia coloniale. Migliaia di Kikuyu vennero massacrati, i villaggi bruciati, intere tribù ricacciate nelle foreste. Nel 54 Mary ed io fummo rimpatriati con un volo SAS e finimmo a casa di parenti a Roma, per poi essere raggiunti dal resto della famiglia via mare, mio padre ancora in africa, e ci dividemmo tra le case delle due famiglie. Mamma, che aveva nascosto una sua nuova gravidanza per navigare, diede nascita a mia sorella Cristina, a casa di sua madre, mia nonna Nunzia (Annunziata), e due sorelle, Lia e Nina, una separata con una figlia, e l’altra zitella che si cura della madre anziana, assieme a Fiorella e Mariella, a via Arezzo 25, mentre Edoardo ed io eravamo a casa dei nonni paterni in via Santa Costanza 38. Nonno viveva con la moglie Gianna e la figlia zitella, mia zia Luisa. Un bell’appartamento, con stanze grandi, e soffitti alti, pieno di librerie, ritratti e quadri di famiglia, e mobili antichi, anche un grande orologio a muro che suonava ogni 15 minuti. Luisa era maestra di storia dell’arte, e aveva libri su ogni tipo di arte, che io mi leggevo avidamente. Infatti, già in africa avevo cominciato a fare dei disegni, con matite colorate o a penna stilografica. Ed ecco che, improvvisamente ci uniamo con nostro padre che aveva trovato lavoro alla GULF Italia, grazie a zio Giovanni che era allora geologo con la compagnia in Sicilia. Papà aveva ammobiliato una bella casetta con mobili nuovi, e mamma and company lo raggiungemmo, felici di essere tutti assieme di nuovo, e con l’aggiunta di Cristina di appena pochi mesi.
Questa però fu una pausa molto breve, in una lunga serie di spostamenti che creò molte difficoltà per la famiglia. Zio Giovanni ebbe da dare scuse alla compagnia quando improvvisamente mio padre, senza preavvisi, sparì, e lo zio ci aiutò a tornare a Roma dalle due famiglie. Federico (Fred) si fece vivo dalla Spagna, dove a Siviglia aveva trovato impiego con le forze armate americane. Non so come fece a convincere mia madre a raggiungerlo con noi 5 figli, a questo punto c’era sangue amaro tra le due famiglie e quella di mamma non aveva Fred in molta stima. Nel 1956 avevo dieci anni, quando prendemmo un aereo da Ciampino a Madrid, poi trasferimmo su uno più piccolo per Siviglia. Fred aveva affittato casa a Casilleja de la Cuesta, una cittadina a circa 10 km da Siviglia. Una bella casa spaziosa, con piano superiore, e un grande giardino, avevamo anche la domestica, una giovane donna molto carina di nome Esmeralda. Quindi, ennesima sistemazione con acquisto di mobili (in stile Sivigliano, molto bello), ecc.
Fiorella allora sedicenne ottenne impiego come segretaria alla scuola americana, alla quale Mariella ed io fummo iscritti, mentre Edoardo frequentava il British Institute. Ho dei bei ricordi di quei tempi, feci amicizia con bambini americani, memorabili, la Semana Santa e le processioni, la Feria de Abril, l’influenza araba nell’architettura e nei costumi, la musica flamenco. Tutto sommato una bella esperienza culturale.
Dopo qualche mese nuovo colpo di scena. Ci trasferimmo tutti a Puerto de Santa Maria, vicino a Cadiz, dove Fred lavorò alla base navale americana di Rota. Avevamo una casa sul bordo del mare, piccola e ben modesta, a fianco di altre case occupate da Marines americani. Fiorella pure lavorava al PX (magazzino per militari) alla base navale. Facemmo appena a tempo a iscriverci alle scuole pubbliche spagnole, quando, Fred concluse drammaticamente questo capitolo, piantando lavoro e famiglia d’improvviso, e dovemmo rientrare in Italia con il rimpatrio consolare. Questa volta ci ospitarono gli zii materni.
Mia madre aveva perso il conto dei lavori di mio padre, dei nostri traslochi, del cambio di scuole, di lingue e di amicizie. So solo che Fred dopo qualche mese riapparve a Catania, dove aveva trovato impiego, e andammo a vivere ad Acitrezza. Ben lontana da una felice riunione, a un certo punto, probabilmente dopo una discussione, una mattina a nostra insaputa, mamma partì per Roma con Cristina, lasciando i quattro figli più grandi con il padre. Immagino non ce la facesse più con questa vita e voleva solo stabilità per lei e i figli. Poco dopo mamma chiedeva la separazione legale e si divisero definitivamente.

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