La Gente di Strada e Carver Dan…
John Flores – 27 Giugno, 2021
Già dai tempi di On the Road, parlo del 1963, viaggiando alla scoperta dell’Italia in autostop con il sacco a pelo arrotolato in spalla, m’identificavo con l’immagine del barbone, chi volente o meno, si ritira dal ritmo logorante della vita ‘normale’ imposta dalla società, lavoro, famiglia, compromessi, tasse, il voto… e vive al di fuori delle norme. Come diceva Dylan in una canzone: “Per vivere al di fuori della legge, si deve essere onesti”…
Stile di vita ben lontano da me, che ho sempre lavorato per mantenere il mio grado di sicurezza minima, un tetto, un lavoro (o due, o tre), permettermi una vita comoda, che ti da anche possibilità di aiutare gli altri meno fortunati. Non ho mai avuto grandi aspirazioni di diventare ricco, il denaro è sempre stato un fine ai mezzi, guadagnare abbastanza da potersi permettere vacanze e viaggi per il mondo, cosa che amavo fare prima della pandemia.
Accenditi, Sintonizzati, Sganciati! (Turn on, Tune in, Drop Out!) – T. Leary.
Vivendo a San Francisco (e dintorni) per 45 anni, conobbi tanti tipi che vivevano ai limiti della società, dormendo in veicoli stradali diventati case ambulanti. Nel 76 quando arrivai, feci amicizia per primo con un tipo che conoscevo solo come “Duke”, ma non seppi mai il suo cognome. Alto e magro, capelli biondi lunghi con frange, pizzetto e baffi biondi, con piccoli occhiali rotondi, indossava un basco viola scuro, molto ‘beatnik’, frequentavamo le stesse amicizie allo Shady Grove e al Grand Piano. Gli piaceva la musica jazz, il rock, la poesia, ed anche interessato in arte psichedelica, fumetti ecc. Aveva in piccolo furgoncino postale (più grande del mio Harvester Scout), che aveva convertito in una stanza tuttofare, con scaffali per libri e altre possessioni, finestre con tendine, luce e fornello portatile. M’invitava a fumare con lui, e (nelle brevi soste prese dalla responsabilità di essere padre di una bimba di un anno), parcheggiati da qualche parte nel parco (Golden Gate Park), ci si faceva tante canne parlando.
Tramite lui conobbi John “Hook” (Gancio) Myers, mio coetaneo, un veterano del Vietnam, indossava sempre lo stesso vecchio cappello di feltro marrone, giacca e jeans sporchi. Mi diceva: “Non sono un hippie, sono un barbone (hobo)”. Aveva servito come Marine, e aveva perso la mano destra, oltre a subire ferite al dorso, e indossava una protesi con un gancio prensile metallico. Con capelli castani, e barba lunga e disordinata, appassionato del Blues, era nato a New Orleans, ma trasferitosi a SF da giovane con la famiglia negli anni 50. Si sosteneva unicamente di un sussidio di disabilità dal governo, e si avvaleva di servizi offerti ai veterani.
Viveva praticamente nel parco, il suo posto preferito era “Hippie Hill”, una collinetta diventata posto di raduno sin dagli anni 60. Ci si arrivava camminando dalla fine di Haight Street, entrando il parco e attraversando un piccolo tunnel sotto la strada, e percorrendo un breve tratto alberato, con una giostra e parco di giochi per tutta la famiglia alla sinistra, arrivando a un grande spiano verde aperto, con piste ciclabili, e con due o tre panchine, capeggiati dalla collina alberata a destra, oltre la collina dalla pista, si raggiungevano i campi da tennis pubblici, con gabinetti.
Seduti alle panchine, si alternavano durante tutto il giorno, i percussionisti con i loro tamburi di ogni tipo e dimensione, che mantenevano un ritmo, si aggiungevano strumenti di ogni tipo, flauti, armoniche, trombe, chitarre, mandolini e violini… Insomma, un concerto aperto, gratis per tutti quelli che si fermavano a fumarsi la pipa o la canna, prendendo il sole sdraiati sull’erba, clima permettendo. Gente che ballava, famiglie con bambini, picnic improvvisati, tiro di frisbee, partite di pallone, raduni di tribù familiari girovaganti con cani senza guinzaglio…
Anch’io ci andavo spesso e volentieri, quando volevo comprare dell’erba, era un posto sicuro, ma bisognava sempre stare accorti perché a quei tempi era ancora illegale in tutti gli stati uniti. Hook conosceva tutto il quartiere, ed era conosciuto a tutti. Per del tempo visse a casa con la madre e il fratello, casa popolare con un giardino a digiuno di vegetazione. Casa molto semplice, un po’ disordinata, dove lo andai a trovare varie volte per gli acquisti d’erba, fermandomi a fumare e chiacchierare in camera sua, ascoltando del blues che aveva appena registrato dalla radio… Quando ne ebbe abbastanza del fratello e della madre, prese in affitto una camera in un appartamento di amici comuni nel quartiere, poi vivendo con varie donne (Mi disse di essere padre di (almeno) un figlio maschio. Alla fine, si comprò un pulmino Volkswagen con cambio manuale, che applicava con il gancio, mentre con la mano sinistra teneva il volante, guidando molto normalmente. Invitato spesso a casa mia, si discuteva di politica o si guardava qualche show in televisione, e spesso approfittò della mia offerta di farsi una doccia, di condividere un pasto, o almeno un caffè. Unico tra tutti i miei conoscenti, che mi chiama Giancarlo, mentre io lo chiamo: Bub (Bubba). Spariva per lunghi periodi quando andava a trovare conoscenti (e concerti) in giro per la California, l’Oregon, l’Arizona e la Louisiana.
Altro personaggio del quartiere, era un certo Eugene Gurley, un nativo americano, magro, con capelli neri, lisci e lunghissimi. Era l’autore di un piccolo murale esterno, lungo un lato di un edificio, una scena di gazzelle in un paesaggio con laghi e alberi, molto bello, poi un altro simile all’interno dello Shady Grove, dietro il palco musicale. Lo vedevo per strada che dipingeva scritte sulle vetrine dei negozi, lo stesso lavoro che facevo io, e diventammo amici, in competizione per lavori… Anche lui viveva nel suo pulmino parcheggiato nel parco, e anche lui frequentava Hook e gli altri a Hippie Hill. L’unico problema era che quando si ubriacava diventava belligerante… Ogni volta che ci s’incontrava mi sfotteva “Eccolo! Il grande artista Italiano!”, poi sorridendomi tra i denti ingialliti, mi passava un joint. Mio coetaneo, anche lui Capricorno, il suo compleanno 7 giorni prima del mio, lui nato a Natale, io nato a Capodanno…
Dimitri invece era diverso, un giovane di ventidue anni, handicappato fisicamente, camminava con una gamba più corta dell’altra, e il braccio destro spasimante ritratto e incollato al dorso. Aveva problemi mentali e impedimenti di vocalizzazione… Faticando per costruire parole o brevi semplici frasi. La madre di famiglia di origini Polacche, lo teneva in un ospizio locale, dove riceveva supervisione e aiuto medico. Ma, abile e libero di andare in giro da solo, finiva anche lui alla collina a fumare con gli altri. Per quei pochi anni che cucinai alla griglia, era un cliente giornaliero, simpaticissimo, sempre con un grande sorriso, e una battuta. Anche lui conosciuto e ben trattato da tutti nel quartiere…
E poi c’era Dago. Nativo di San Diego, California. Dago era un nomignolo (dispregiativo) che i gringo davano ai messicani, e centroamericani, dato il comune uso del nome Diego, pronunziato all’americana: deigo. Meccanico e tuttofare, viveva nella cabina di un TIR senza rimorchio, che spostava quando si stancava di un posto o l’altro. Basso, scuro, capelli lunghi e incolti, come la barba, che portava separata in due, verso le basette lunghissime. Si cuciva i propri indumenti fatti di pelle, con tasche e cinte che riempiva di strumenti, pinze, cacciaviti, batterie, e un grande coltello inguainato, che portava alla cinta e legato alla coscia. In testa, un cappello a falde larghe scuro, sempre coperto di olio meccanico nero, sempre scalzo. Girava con una bicicletta o sullo skateboard, e si teneva molto in forma, sempre il primo ‘roadie’ per le bande che si esibivano nei locali, spostando strumenti e amplificatori, montando palchi, sistemando impianti e cavi elettrici.
La strada aveva il suo flusso di gente proveniente da ovunque, per lo più giovani, che si sedevano per terra sul marciapiede, e con cartelli improvvisati, chiedevano donazioni monetarie, oppure discretamente (+ o -) offrivano droghe: “Buds, Doses, Shrooms!”. Immancabili, i confronti con i negozianti, e gli interventi della polizia, in bici, o moto, o macchina… sulla strada e anche nel parco. Lavorando e vivendo nel quartiere per anni, conobbi tanti personaggi ‘transienti’, e imparai a riconoscere i più longevi, fino a impararne il nome. Un giorno (verso la fine degli anni ottanta, primi anni novanta) apparve sulla scena, una donna veramente unica. Alta e magra, con un taglio di capelli alla mohawk, color rosso sangue. Pantaloni e giacca di pelle fatti a mano, ma anziché attrezzi, si caricava di braccialetti, collane, orecchini, piercing e tatuaggi, e anche lei portava un coltello. Con un’aria nativo-americana, medaglioni con intricati disegni di perline colorate, grandi bracciali di pelle, e anche l’occasionale penna d’uccello. Venni a sapere che era Tedesca, e si chiamava Ester, ogni volta che la passavo per strada, le sorridevo amichevolmente, come in approvazione, e nonostante il suo atteggiamento ‘duro’, mi sorrideva vagamente in risposta. Quasi subito l’amazzone Tedesca divenne la partner di Dago, tanto erano simili che assieme sembravano la coppia perfetta in un mondo alla Mad Max Road Warrior. Inversamente, tutt’e due erano anime molto miti, pacifiche e amichevoli. Il rapporto durò forse cinque o sei anni, forse più, poi lei scomparve e lui ritornò alla sua vita da singolo.
Con gli anni e il cambiare di domicilio dovuto agli aumenti degli affitti, mi allontanai dal quartiere andando a vivere prima a Pacifica, appena al sud sulla costa, per otto anni, e finalmente in Pleasant Hill nell’entroterra, per tre, prima di trasferirmi in Florida… Ambi località ben collegate dai mezzi pubblici, che io utilizzavo per andare al lavoro in Emeryville (con LeapFrog Toys, capitolo a parte), finché lavoravo, poi andato in pensione, per andare alle visite mediche in San Francisco, approfittavo di ogni occasione per fare una visita nel quartiere, dove ancora mantenevo rapporti con certi negozianti clienti da anni, e una tappa alla collina sempre alla ricerca della Medicina, come la chiama John “Hook”. Lo trovavo inevitabilmente li seduto sull’erba a fumarsi la sua amata pipa, lo intravedevo in lontananza cercando la sagoma del cappello, e avvicinandomi mi vedeva e ci si salutava. Poi, mi disse che d’ora in avanti, lo dovevo andare a trovare in un’altra località, vicino alla serra del Conservatorio, che “Questo posto ormai è pieno di gentaccia, criminali e spie della polizia…”… Finalmente si fece il telefonino, e riuscii a tenermi in contatto e visitarlo regolarmente, preferivo dare i soldi a lui per l’erba che consumavo, benché col passare degli anni, diventava sempre più accessibile e a buon mercato, con l’apertura delle dispenserie mediche. Ci siamo tenuti in contatto anche dopo il mio trasloco in Florida, e ho saputo recentemente che é stato sottoposto a un intervento chirurgico, uguale a quello che feci io prima di lasciare la California, un intervento per riparare un Aneurisma Aortico Addominale: AAA, un A Triplo… che era in cura e che si stava riprendendo. La settimana scorsa mi disse che era ritornato alla sua vita normale, vivendo nel pulmino.
Dago invece è riaffiorato grazie proprio a FB (Cosa che nessuna di queste persone usa mai), un amico in comune scrisse che aveva sentito da un altro conoscente, che lo aveva visto a terra caduto dalla bicicletta e privo di vita, circondato da ambulanza e polizia… siamo riusciti a scoprire il suo vero nome e rintracciarlo a un ospedale, dove lo avevano rianimato. Aveva subito un infarto mentre pedalava, sbattuto contro un albero e caduto a terra…. Molto sorpreso e riconoscente dall’interesse generato da vecchi conoscenti, io incluso… tra tutti, con lui non si era poi così vicini. L’ho anche immortalato però in uno dei miei poster, tanto lo consideravo una icone del quartiere.
Dimitri, sentii, era morto di un infarto nel 2005. Non ho notizie di Eugene, “Cavallo Pazzo”, immagino che anche lui stia sopravvivendo, affrontando il passare degli anni, a modo suo.
Infine, aggiungo un personaggio con il quale divenni grande amico dal 1983 in poi, Daniel Rathbun, nativo di Ann Arbor, nel Michigan, ma adottato e allevato nel New Mexico, dove aveva frequentato la scuola d’arte. Piccolo piccolino, con barba e grandi basettoni, si vestiva d’indumenti centro-americani, o con il tipico tie-dye predominante… Anche se veramente non era una ‘persona di strada’, aveva una cameretta minuscola che affittava nell’appartamento di Waterfall (Il più noto tra i dealer del quartiere). Aveva un lavoro fisso in un negozio con una gioielleria chiamata “Bones of our ancestors”, un bravissimo intagliatore, creava delle bellissime mini-sculture di dente di tricheco preistorico, che firmava C-D (Carver Dan). La sua specialità erano i teschi, grande amante della musica dei Grateful Dead, ma anche altre figure come draghi, funghi, piume ecc. Di suo ho tre o più orecchini, una piuma, un teschio, dove la punta del dente forma la parte posteriore del cranio deformato, poco più grande di un fagiolo, e un altro teschio d’argento con un cristallo di ametista. Il mio pezzo preferito è un pendente di avorio preistorico circa 4 centimetri, un teschio a tre facce, come una divinità Indù, che porto sulla giacca da sempre… e vari altri pendenti di varie grandezze, anche teschi in varie forme. Mia moglie ha invece un assortimento di draghi e di cristalli… Dan era sempre benvenuto a casa, e nel tempo libero, veniva a trovarmi e nello studio io lavoravo, si parlava, e ascoltando musica si fumava, diventando grande amico di Beth. Per del tempo, aveva avuto una relazione con una donna Francese, una certa Dominique, ma il rapporto durò forse tre anni, lei tornò in Europa, e lui tornò ad essere singolo come Dago.
Come gli altri sopra menzionati, Dan conosceva tutti e tutti lo conoscevano, frequentava anche giri dai quali mi tenevo lontano. E sapeva tutti i pettegolezzi su tutti. Creativo, cordiale e simpatico, poteva anche essere acido e scorbutico se qualcosa non gli stava bene. Fu felicissimo quando nel 96, con l’approvazione della Proposta 19, poi Proposta 215, ottenni una delle prime tessere per la prima grande dispenseria legale, aperta downtown da Dennis Peron, e io ne feci una copia alterando il numero seriale e stampandola proprio per lui…
Poi le cose cambiarono, lui finì per andare a vivere in un ‘albergo’ residenziale, al sesto piano, un una stanzetta 4 metri per 4, con una finestra, bagno nel corridoio, che lui evita tenendo una sedia cesso portile che svuota regolarmente… televisore, letto, banco di lavoro, frigo, un fornello per cucinare, sulla 6° strada/Market, zona ben nota per il viavai di junkie, malati mentali e senzatetto. Finì per coprirsi di tatuaggi sulle braccia, sul petto e la gola, molti ricevuti in cambio di lavori suoi, e piercing alle orecchie, alle quali ha messo grandi dischi che va ingrandendo col passare degli anni. Lo andai a visitare un paio di volte, e fummo in contatto sporadicamente. Poi anche se lontani, abbiamo mantenuto un contatto con FB, dove posta foto dei suoi prodotti culinari, ed del suo gatto Ruben. Ormai i dolori fisici gli impediscono di continuare a intagliare, abbiamo avuto la fortuna di poter acquistare un pezzo che considero uno dei suoi migliori, un drago che tiene in mano un fulmine, e non so quanti pezzi riuscirà a finire prima che non ce la fa più.
Gira con un seggiolino a rotelle motorizzato, e prima della pandemia, andava a prendersi il caffè e salutare gli amici al suo bar preferito di Haight Street, davanti al Farmer’s Market, che anch’io continuavo a frequentare come punto di ritrovo, benché vivendo altrove. Esce di rado ormai eccetto per le spese per lui e il gatto, e con il mercato libero della California, consuma e usa estratti, tinture, oli, e ingerisce commestibili di cannabis, come mai prima “Solo il più alto contenuto di THC!”, per alleviare i dolori…
Dopo aver fumato ininterrottamente per + di 50 anni, la cannabis non fa più l’effetto di una volta. Una forma di assuefazione, dove devi sempre alzare la dose per il desiderato effetto, che diviene la norma, o, devi smettere di fumare per del tempo, anche pochi giorni e purificarti. Sono uno tra i pochi che ancora fuma il joint (5/6 almeno) di erba giornaliero(i), come sacramento medicinale, la pipa non mi soddisfa, e nemmeno il vaporizzatore, sono Old Style.
Sento la nostalgia per il vecchio quartiere, come dice la canzone “I left my heart, in San Francisco”, i vecchi amici/conoscenti di tanti anni, ancora in vita. Per non parlare dei tanti rilocati e dispersi…
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Artista – Marito – Padre – Nonno
4 risposte
grazie per questo giro nostalgico a SF
Un volta andammo insieme a fumare con i compagni della Hippie Hill dopo aver girato per Haight Street. In Agosto andrò’ a SF per un po’ di giorni, pensavo di andare a trovare Daniel, di suo comprai una piuma.
Dagli un colpo di telefono, sono sicuro gli fara’ piacere!
415-240-6319
mi ci vorra’ un po’ ma lo voglio leggere tutto, la tua vita è un poema