In Israele – Seconda parte

Sergio Torrini

8 dicembre 2020

 

Seconda parte

Qualcuno ci da un passaggio fino ad Ashkelon; da lì prendiamo un autobus per Tel Aviv. Qual è il problema?! Andremo agli uffici dell’organizzazione e chiederemo di essere assegnati ad un altro kibbutz. Semplice. Poveri illusi! Neanche immaginiamo che mentre siamo in viaggio quelli di Zikim hanno verificato l’entità dei danni e stanno parlando al telefono con gli organizzatori del programma volontari, a Tel Aviv. Lo realizziamo abbastanza presto, però, anzi subito, appena mettiamo piede nell’ufficio preposto: espulsi per sempre da tutti i kibbutz di Israele! Brutta storia. Il biglietto aereo è chiuso, non ho abbastanza soldi per il cambio data ed in ogni caso, tornare a casa due mesi e mezzo prima del previsto, sarebbe per me un grosso smacco. Stanchi e demoralizzati andiamo a farci una birra in un bar lì vicino; Leon pensa di tornarsene in Argentina, io sto cercando una soluzione. E siccome il karma aiuta chi non si arrende, per caso, un altro volontario presente nel bar mi dà una preziosa informazione. Ci sarebbe un kibbutz nel profondo nord di Israele, in Upper Galilee, dove accettano volontari senza fare troppe domande. Si chiama Misghav Am ed è vicino alla città di Kiryat Shmona. È un kibbutz di frontiera, che ha già ricevuto un’incursione dell’ALF (Arab Liberation Front) e dove, si dice, ogni tanto piovano i razzi degli Hezbollah. Ciao Leon, io vado, ti auguro tutto il bene del mondo. Le distanze, in Israele, sono relative e così, in serata, sono davanti al portone di Misghav Am. Quando viaggi in questo paese ti rendi conto che è un paese eternamente in guerra, dove tutti sono soldati, uomini e donne, e che se non hanno divisa è semplicemente perché sono riservisti. La divisa magari no, ma una uzi, sì. Le vedi dappertutto, queste mitragliette di fabbricazione israeliana, ovunque ci sia qualcuno o qualcosa da proteggere. Solo in Yemen ho visto più armi in mano a persone comuni, ma là erano kalashnikov. Subito accettato dai capi del kibbutz, senza nessuna domanda o tantomeno inchiesta, sono ufficialmente l’unico volontario di Misghav Am! Se Zikim era un kibbutz ricco, dove un po’ tutti se la tiravano, specialmente i volontari americani, Misghav Am è un kibbutz di persone semplici ma con le palle di ferro zincato. Ancora oggi non ho parole per descrivere l’umanità, l’integrità e la forza di quei kibbutzniks. L’economo ha bisogno di una mano e così, per quei due mesi e mezzo, sarò l’aiuto economo, una mansione decisamente importante, visto che ho le chiavi delle dispense, una mansione che mi permette di interagire e rapportarmi con tutti i membri, dato che vengono a chiedermi di dar loro questo o quello (in un kibbutz le risorse appartengono a tutti i membri). Non bevo più e mi sono fatto anche la ragazza, un’israeliana dolce e premurosa. Fanno persino una festa in mio onore, la sera prima della mia partenza, vorrebbero che resti ancora ed è difficile far loro capire che è stato bello ma che la mia vita è in Italia. E sì, i sei mesi sono passati, torno a casa con un’esperienza in più ed una maggiore consapevolezza.

ps: per l’autobiografia: ho sconfitto il bipolarismo con anni di sali di litio e non tocco droga pesante dal 1* settembre 1983. Per l’alcol ci è voluto un po di più, ma adesso è out anche lui.

 

 

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Commenti: 4

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Pino Cino

come di’: je l’avemo fatta. Bravo

 

Paolo Paci

complimenti

 

Alessandra Belloni

bellissima storia!

 

Gippi Rondinella

 

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