Primavera 1976, Isla Mujeres, Messico

Pino, dopo quelle di India ed Afghanistan, ha aperto la porta dei traffici illeciti ed anch’io ho le mie piccole storie da raccontare:
Primavera 1976, Isla Mujeres, Messico. Con V. avevamo deciso di passare una vacanza in quella incantevole isola, o almeno così era allora. Il mar dei Caraibi, la spiaggia bianca ed i cocchi, cosa potevi volere di più? Un po’ d’erba, naturalmente, tanto per apprezzare il tutto nel modo migliore. A quei tempi, sull’isola c’erano anche parecchi fricchettoni, per lo più americani, gringos, come li chiamavano i messicani, e così si finiva spesso seduti sotto i cocchi a fumare a cazzarare. L’erba era locale e non aveva niente da invidiare ad altre nel mondo. Durante uno dei miei abboccamenti coi pusher del posto me ne venne offerta mezzo chilo ad un prezzo decisamente buono e ne approfittai immediatamente, visto che ovunque andassi nel mondo cercavo sempre di portare poi a casa qualche souvenir. Un’immagine che ricordo sempre con grande piacere è di me, seduto su uno sdraio fatto di canne, che, al suono delle onde e su un’onda di pace e serenità, separo le foglioline ed i fiori dai rametti. Ma la vacanza era agli sgoccioli e bisognava organizzarsi per portare a Roma quel bendiddio: i rametti erano andati, restavano solo 4 etti di erba pura, buonissima, da dividere in 4 salamini avvolti, prima nella velina, poi in una garza intrisa di profumo, e poi in un’altra velina. Contavo di metterli nei calzini al ginocchio che avrei indossato, due per gamba. Il problema era New York JFK airport, e sì perché la nostra rotta di ritorno faceva scalo proprio a New York, una notte in hotel e poi il volo per Roma. Mi ricordo di un fricchettone gringo, venuto a trovarmi mentre preparavo l’erba, che, saputo della mia intenzione di passare con essa la dogana americana, sgranò gli occhi e disse solo: you must be crazy!. E così siamo al check-in, in tarda serata, e dopo poco ci rendiamo conto che sul volo saremo pochissimi, noi due, pochi altri individuali e……..un’intera orchestra di mariachi! Avevano un sacco di bagaglio: enormi contenitori per i loro ricchissimi sombreros, ricamati a mano, portavioloncelli e chitarroni, bauli per i costumi e chi più ne ha più ne metta. Il volo è regolare ed atterriamo a New York nel cuore della notte, unico volo di quello slot. Al nastro bagagli faccio in modo di restare dietro al gruppo folk e poi ci dirigiamo tutti verso i banchi della dogana. Ci sono un paio di ispettori che quando vedono tutti gli scatoloni dei suonatori rimangono un attimo sbigottiti ma poi hanno un’idea unica ed incredibile: chiedono ai mariachi di aprire tutto, indossare i sombreros, tirar fuori gli strumenti e far loro vedere di cosa sono capaci. E così siamo in questa enorme, deserta arrival hall, seduti sui banchi della dogana, ad ascoltare un’intera orchestra di mariachi che suona e canta come in una concert hall. Incredibile, mitico! Sono talmente preso dal tutto che mi scordo persino di avere 4 etti di maria nei calzini, ma non è un problema perché, finita l’esibizione, ce ne usciamo tutti, senza controlli e con l’anima rallegrata dalla fantasmagorica musica messicana. Salamini in un locker dell’aeroporto, qualche ora in albergo e poi volo per Roma. All’arrivo a Fiumicino, chiedo subito al doganiere di poter andare a prendere la macchina (altri tempi) e di poter rientrare a prendere i bagagli. Nessun problema, dice. Quando rientro, dopo aver lasciato l’erba in macchina, ci sono due finanzieri coi cani: mi è andata proprio bene, perché non so quanto avrei potuto contare sul profumo. Nello stesso viaggio ho portato anche un kilo di peyote, o almeno per peyote mi era stato venduto al mercato di San Luis Potosì, nel nord, dov’ero andato espressamente per acquistarlo. Era amarissimo e non sono riuscito a mangiarne abbastanza da sentire qualche effetto, o, più probabilmente, mi avevano solato. Il peyote, per la dogana, non era un problema, in quanto nessuno sapeva esattamente che aspetto avesse (neanche io). Una deliziosa scodella, fatta con una mezza zucca secca, riccamente decorata con colori e disegni tipici messicani e piena di erba di prima qualità è stata al centro del nostro letto per moltissimi giorni, e per il piacere degli amici che ci venivano a trovare.
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