Restammo a Kavala un tempo indeterminato. Mi piaceva svegliarmi tardi e prendere il caffè al porto, seduto al sole greco. Il bar aveva sedie e tavoli dipinti di blu. Blu e’ il colore favorito dei greci, non so perche’ ma dipingono tutto di blu. Il caffè greco era un rito. Prima veniva un pentolino con un manico di legno con il caffè che chiamano Briki, poi la tazzina decorata a fiori e montagne di zucchero. Su un piattino un dolce al miele. Bisognava versare il caffè facendo attenzione a non fare cadere anche la polvere depositata sul fondo del briki. Una operazione che richiedeva attenzione e mano ferma. Kavala si rivelo’ una cittadina piu’ grande di quel che pensavo ma il porticciolo di pescatori dove eravamo non era il vero porto, il porto principale, quello dove arrivano e partono i ferry per le isole, era separato da un promontorio la citta’ era a circa mezz’ora a piedi. A volte dopo il caffè andavo ad aspettare il ritorno dei pescatori, mi sedevo in un angolo del porto quasi toccando l’acqua con i piedi con la musica che veniva dalla radio del ristorante vicino. L’arrivo dei pescatori era un evento, saranno state una ventina di barche sempre piene di pesci di tutti i tipi. Intorno ai camioncini dei ristoranti e dei commercianti c’erano sempre donne che venivano a comprare il pesce per il pranzo. Poi, dietro a tutti, le mogli dei pescatori che anche se erano le ultime in fila erano state le prime ad arrivare ad aspettare il ritorno dei mariti. Ho sempre avuto molto rispetto per le mogli dei pescatori. La loro e’ una societa’ matriarcale dove l’uomo e’ sempre in mare e sono loro che si occupano di tutto a terra. Anche di comprare e vendere la casa se necessario. Tutte le complicazioni della vita sono sulle loro spalle, l’uomo deve solo tornare vivo dalla pesca. Questo le mogli lo sanno, lo vivono giornalmente e si rilassano solo quando vedono le barche tornare in porto.I pesci grandi venivano venduti per primi e cosi’ via. Le ultime erano le sardine, uno dei miei pesci favoriti, ed il ristorante del porto le faceva sia alla brace che fritte.Dietro al nostro albergo c’era un negozio di alimentari che vendeva il retsina e facevano degli ottimi panini con dentro di tutto. Il consumo di retsina crebbe. Cominciavo a bere nel pomeriggio per continuare cenando a sardine alla brace al ristorante la sera e dopo cena seduto al porto guardando il riflesso delle luci fra le barche. Questo ando’ avanti un po’ di giorni. Una notte decisi che Kavala era una trappola dove si stava troppo bene. Era ora di andarsene.Prima di partire la mattina seguente andammo al caffè. Le barche erano tutte in porto e sulla banchina c’era grande attività. Stavano terminando la costruzione di un palco e anche di una specie di torretta dipinta di blu tipo quelle dei bagnini. La gente stava radunandosi. Il ristorante aveva esteso i tavoli sulla piazzetta e stavano sistemando le sedie. Ad un certo punto le barche cominciarono a muoversi e finirono per allinearsi davanti alla banchina formando una specie di piscina rettangolare multicolore. Questa operazione duro’ piu’ di un’ora fra le grida dei marinai che non si mettevano d’accordo . Nel frattempo sul palco era arrivata una banda. Il capo del gruppo era un ciccione con i baffoni e portava il cappello dei marinai greci. Lui era il clarinettista, poi c’era un suonatore di Bouzouki, un mandolino simile al Tambura del tipo incontrato a Pec, ma alla greca. Lo strumento era bellissimo decorato in madreperla e il musicista lo trattava con molta attenzione. E poi c’erano tamburi e tamburelli, un violino e chissa’ che altro che non ricordo forse una fisarmonica. Erano arrivati anche i banchetti di cose da mangiare con gli immancabili spiedini alla brace. Cominciava una festa e io non sarei piu’ partito.Finalmente la banda comincio’ a suonare, il clarinettista era bravissimo. Anche gli altri erano bravi, ogni tanto usciva il violino, poi il bouzouki…Questa musica ando’ avanti per un bel po’. A tratti era la stessa musica che avevo sentito nel caffè di Pec, aveva le stesse radici balcaniche , le stesse melodie gypsy, le stesse atmosfere, senza pero’ la pesantezza delle montagne del Montenegro. Era una musica gioiosa e la gente ballava, mangiava, beveva.Nel corso degli anni ho poi conosciuto un’altra musica con le stesse origini e la stessa gioia di vivere che allora non conoscevo, la musica Klezmer, degli ebrei Est Europei, Ungheresi, Romeni, Bugari, emigrata poi fino negli Stati Uniti per fondersi con il Jazz di Benny Goodman, figlio di una famiglia di poveri emigrati ebrei Polacchi a Chicago.Ad un certo punto la musica si fermo’ e sul palco sali’ una coppia vestita a festa. L’uomo si avvicino’ al microfono e parlo’ per un po’ e la gente ogni tanto applaudiva (anch’io). Poi indico’ un tipo che era salito sulla scaletta da bagnino e tutti si girarono a guardare e finalmente parlo’ indicando le barche su ognuna delle quali era apparso un pescatore in costume da bagno. I pescatori salutarono il pubblico a braccia alzate. Era una gara,. Le Olimpiadi di Kavala!, pensai. Ecco la Grecia!, il Monte Olimpo!, Atena e Zeus e tutti gli dei erano sicuramente li’ fra la gente a tifare per i loro preferiti, proteggerli, anche con gli inganni piu’ abietti, perche’ gli dei dell’Olimpo hanno tutti i difetti umani sono bugiardi, traditori, infedeli, vendicativi. L’uomo sulla scaletta da bagnino urlo’ qualcosa, alzo’ il braccio e sparo’ un colpo di pistola. I pescatori/nuotatori si tuffarono e fra una confusione totale comincio’ la gara.L’uomo sulla scaletta era il giudice e aveva un fischietto con cui pretendeva di dirigere la gara.I partecipanti dovevano nuotare tutta la piscina, toccare la barca di fronte e tornare indietro… ripetendo l’operazione diverse volte. Una vera prova di resistenza. Il pubblico partecipava e faceva il tifo e i ragazzini correvano su e giu’ per la banchina. Alcuni nuotavano dritto altri invadendo lo spazio del vicino, dopo qualche giro molti cominciarono a mostrare la fatica e alcuni avanzarono ma tutti finirono la corsa e i primi tre furono premiati. La musica duro’ fino alla sera. Grande festa. Grande popolo.La mattina seguente partimmo tardi. Salutandoci il ragazzo dell’hotel mi chiese dove andavamo. Istambul, risposi. Mi guardo’ e disse “Attento ai Turchi… sono tutti ladri.” Facendo l’inconfondibile gesto circolare con la mano.Nel pomeriggio eravamo alla frontiera con la Turchia. La musica stava per cambiare.
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