8 – VIAGGIO IN AFGHANISTAN Ottava puntata

Non so come ma un pomeriggio decidemmo di andare al Giardino Zoologico. Che animali ci saranno mai allo Zoo di Istambul? Gli orsi dell’Anatolia?Lo zoo si trovava dall’altra parte del Corno d’Oro e bisognava prendere uno dei traghetti che partivano dal Galata Bridge. Ci avviamo a piedi. Camminare per le stradine di Istambul era un’impresa, un labirinto con migliaia di negozi e commerci uno dopo l’altro di tutti i generi.Le strade si dividevano secondo i generi. La strada delle stoffe, la piu’ colorata, quella dei ferramenta, la piu’ grigia, quella dei i gioiellieri, la piu’ dorata e cosi’ via. Tutte la strade erano affollate. Ogni negozio, ogni caffè o ristorante, ogni venditore ambulante aveva la radio accesa a tutto volume ognuno con musica diversa. Dalla velocita’ del tuo passo dipendeva il ritmo e il susseguirsi dei pezzi, stava a te unirli in una sinfonia unica.Prendendo il caffè quella mattina, avevo imparato una cosa importantissima. Seduti ad un tavolo c’erano degli uomini che fumavano sigarette e narghilè. Passo’ un loro amico che senza sorrisi si fermo’ a salutare. Subito gli fu offerta una sigaretta ma il tipo rifiuto’ mettendosi una mano sul cuore. Nessuno insistette tutti accettarono il rifiuto con normalita’ e la cosa fini’ li. Quello era il segreto per bloccare le insistenze sul nascere! La mano sul cuore.Il traghetto era pieno di gente che traversava il Corno d’Oro portando di tutto di tutte le dimensioni. Trovai uno spazio dove sedermi, accanto a due donne che stavano bevendo caffè.Alla fine girarono le tazze e fecero cadere i fondi sul piattino e si misero a scrutare i disegni lasciati dal caffè. Serissime stavano leggendo fortuna, amore, soldi, futuro. Seppi in seguito che in Turchia leggere il caffe’ e’ un’arte millenaria. La mia curiosita’ fece si che una mi chiedesse se volevo aver letto il caffe’, per qualche lira turca. Dissi di no mettendomi la mano sul cuore. Funziono’, nessuna resistenza. Non volevo sapere nulla del mio futuro.Con un taxi arrivammo allo zoo che si rivelo’ una delusione. Niente animali esotici, oltre ad un paio di orsi bruni, un leone di montagna e qualche scimmia il resto erano animali domestici. Un maiale, quattro pecore e capre, qualche oca. Il comune denominatore pero’ era una gran fame. Questi animali soffrivano la prigionia peggio dei carcerati che avevo visto al Sultan Ahmet. Una magrezza disperata e molta sete, l’acqua era poca e sporca. Erano li’ abbandonati a se stessi. Girando per il parco arrivai ad un gabbione pieno di polli e galline. Osservando notai una cosa strana, tutte avevano il culo spennato. A tutte mancavano le penne sul di dietro. Una malattia? Pensai. Mentre guardavo qualcuno butto’ un pezzo di pane nella gabbia scatenando una incredibile reazione a catena. Appena il pane tocco’ il suolo una gallina lo prese ma immediatamente la gallina piu’ vicina le diede una gran beccata sul di dietro obbligandola a mollare il pane che fu raccolto da un’altra gallina che subito ricevette una tremenda beccata sul di dietro che la forzo’ ad abbandonare il pezzo di pane che fu raccolto da un’altra gallina che anche fu beccata sul di dietro… e cosi’ via per sempre o finche’ una gallina resistera’ tutte le beccate e riuscira’ a mangiare. La lotta per la sopravvivenza in quella gabbia era feroce e all’ultima penna.Tornando verso il Ferry decidemmo che era arrivata l’ora di partire. Istambul era affascinante, ma pur sempre una citta’, i giorni volavano e la strada chiamava e con la strada la voglia di perdersi in spazi piu’ ampli. Si sarebbe partiti il giorno dopo.Un po’ mi dispiaceva lasciare la stanza dell’Hotel Sultan Ahmet che era una specie di nuvola isolata dal mondo. Sdraiato sul letto vedevo solo il minareto ed il cielo e quella sera mi ero anche goduto l’ultima chiamata alla preghiera del muezzin, che ormai chiamavo Frank (da Frank Sinatra).Rimasi in quella apnea mentale guardando il minareto osservando il cielo turco diventare rosa pensando al viaggio. Non avevo intenzione di fermarmi ad Ankara ma di proseguire fermandomi in paesi o campeggiando dove era possibile e rimanendo anche piu’ giorni nei posti che mi piacevano, non c’era fretta. Il tempo sarebbe stata la rivelazione.

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