Viaggio ad ovest

Il Decameronesocial è zeppo di memorie anche dei miei viaggi in oriente ma non credo di aver fatto cenno della volta in cui Sidney passò da me una mattina dicendomi che tempo tre giorni sarebbe andato in California per vedere Giorgio.

“Perché no?”, mi dissi e ne nacque il mio solo viaggio a occidente.

Vivevo un periodo ben carico di soldi e libero da impegni.

Con indossano uno degli abiti eleganti che usavo al tempo, mi presento la mattina dopo all’Ambasciata Americana di via Veneto e ne esco in breve con un Business Visa stampato sul passaaporto.

Quelle stessa sera capita che parlando con Villella, un amico calabrese, quello mi dice che in tal caso avrei dovuto fargli un piacere e portare un pacchetto a suo cugino a New York.

“Niente traffici, Gianni.” Premisi subito.

Il periodo che vivevamo era quello degli scambi di hashish o Lsd che fosse.

“No. No.” Mi rassicurò Gianni: erano solo foto di famiglia che voleva far avere al cugino.

Qualche giorno dopo mi svegliai in quel di Manhattan, dopo un viaggio in compagnia dello zio di Giorgio e Sidney che ci fece omaggio del personale di bordo del TWA che passando affannati tra le file inseguiva il puzzo di bruciato che si avvertiva. Mi accorsi che il buon Sidney, al tempo affezionato all’eroina, si era appisolato con la sigaretta accesa sul bracciolo del sedile. Lo riscossi, spegnendo la cicca e tutto finì lì.

Come detto mi risvegliai in un albergo del centro a Manhattan e uscito per farmi un giretto, fermo al semaforo subito fuori aspettando il verde mi accorsi che dal lato opposto dell’incrocio ad aspettare il verde c’erano due ebrei vestiti di nero con relative treccine  a penzoloni e cappello. Accanto a loro un nero enorme con l’orecchio poggiato ad un grosso stereo.

Mi incuriosii di che tipo di viandanti stessero dal mio lato e qui contai una donna in chador, un paio di minigonne frammiste ad abiti normali di neri, bianchi e qualche asiatico. “Cazzo!” Riflettei: “Il centro del mondo, New York.”

Dopo una piacevole passeggiata tornai in albergo dove chiamai il numero che Gianni mi aveva dato per dire al cugino che avevo con me il plico che avevo portato.

“lo mando a prendere. Grazie.”

Infatti di lì a poco apparve un tizio in divisa da autista che ringraziando ritirò il bustone con le foto.

“Sono le fotografie dei nonni. Mi disse poco dopo una voce con forte accento calabrese al telefono. “Non sai che regalo mi hai fatto. Voglio conoscerti. Sei ospite ‘stasera al mio ristorante. Sei solo di passaggio a New York? Siete in tre? Vi voglio ospiti questa sera e vi mando a prendere.”

Scaricati da una Limousine nera guidata dallo stesso autista visto la mattina ci ritrovammo in un ristorane molto elegante e parecchio affollato.

Il signore che ci venne incontro aveva più o meno la mia età e stringendomi la mano indicò la mia camicia di seta nera: “Vedo che la pensiamo allo stesso modo.” sorrise.

Di lui non ricordo più il nome ma il cognome “Gambrino” lo ricordo ancora.

Era indaffaratissimo tra i tavoli ma trovò il tempo di venire a parlare per dire di quanto fosse contento di aver ricevuto quelle foto di famiglia e chiederci cosa facevamo lì a New York e cosa andavamo a fare a Mill Valley.

Ci salutammo finita la cena e ci fece riaccompagnare in albergo dopo avergli promesso di tornare a trovarlo al ritorno dalla California.

Il giorno dopo eravamo a Mill Valley ospiti di Giorgio e non erano trascorsi due giorni che Giorgio, il padrone di casa mi porse il telefono e con aria stupita mi disse: “Uno che chiede di te.”

“Sono -altro nome perso nella memoria – Gambrino, il fratello di …. Mi ha detto del bel regalo che ci avete portato dall’Italia e voglio ringraziarvi anche io. Questa sera do’ una festa a casa mia e gradirei avervi ospiti. Vi mando a prendere.!

Tanto sorpreso quanto incuriosito dissi di si e non ebbi bisogno di dargli l’indirizzo perché già lo sapeva come il telefono di casa del mio amico, mi ribatté ridendo.

Il macchinose dai vetri oscurati, l’autista impeccabile in divisa, lunga strada da Mill Valley fino ad una Frisc chissà dove, poi entrammo in un film.

Ricordo il marmo bianco che rivestiva un salone immenso, le gradinate che portavano ad un altro paio di saloni successivi entrambi dotati di piscina centrale.

50 anni dopo mi chiedo se veramente ho veduto tutto questo, compreso quel saccrtti di nylon trasparente poggiato a terra accanto a un pianoforte a coda anch’esso bianco, dove taluni degli ospiti si accostavano ogni tanto per tirar su un po’ della polvere bianca, poggiarla mi piattini metallici, spruzzargli sopra da piccoli flaconi, odore di etere, poi scaldarli da sotto con l’accendino. Tiravano su con smorte vari o cannucce inserite in un contenitore trasparente poggiato sul pianoforte.

Il tempo di dirsi “wow” e il Gambino junior, ci raggiunse e mentre si informava su chi fossimo, da dove venivamo, il rapporto con suo cugino Villella, i motivi del viaggio, aggiungendo il proprio grazie per quelle foto importanti che gli avevamo portate, si mise al lavoro e ci preparò tre piattini con relative cannucce ma io tirai fuori la mia in argento e Lapis, perché l’avessi è un’altra storia, che gli piacque molto così che gliela regalai.

Il soggiorno in California si chiuse con una visita di commiato al Gambino con relativa cena e l’omaggio che mi fece riempiendo una bustina con quella polvere bianca, di qualità “unica”, e facendomene omaggio.

Il viaggio si era già arricchito rincontrando a Mill Valley una gran bella passera conosciuta a Bombay. La figlia del re della moquette la definivano le sue amiche, e in effetti a soldi non stava male visto che si era appena comprata un’isola alle Haway e un set di autocarri con cui avrebbe portato i Rolling Stones  nel tour americano.

Si infilò in camera mia e facemmo l’amore come folli per tutto il tempo che rimasi lì. Gayle era splendida ma io sentivo riecheggiare dentro me la donna che avevo conosciuto a Roma e che col figlioletto era partita per un viaggio a Ceylon. Ero decisamente innamorato e in un’altra storia crebbi quel suo figlioletto e anni dopo con lei feci la mia Veronica.

Ma lì ad Ovest quella bella di Filadelfia non mollava; tutti e due gioivamo del sesso che ci riempiva giorni e notti finché giunse il momento di ripartire per Roma.

Gayle disse che ci avrebbe accompagnato a New York e una volta lì ci sorprese indirizzando il taxi al Prince Edward Hotel dove aveva prenotato e pagato una suite per mii due e una doppia per Armando e Sidney.

Champagne  ad attenderci, un’altra bellissima notte di sesso, ancora la sua offerta di andarcene insieme alla Haway, poi la mattina successiva seduti su un divano nella hall la musica manda “Rain and tears” degli Aphrodite’s Child, la ricordo ancora, e lei in silenzio piange. In un film quello che si chiama un addio struggente.

Ma io volo a Roma e mentre decido del mio impellente viaggio a Bombay, o forse Ceylon, faccio baldoria con gli amici e quei 190 (centonovanta) grammi che mi aveva regalato il Gamrino dopo averne rivenduto un etto a Francesco che mi aveva chiesto di portargliene un po’.

Altri tempi.

Come quelli che seguirono. Il business a Bombay, anche un notte con una hostess spagnola che un paio di giorni dopo mi fa chiamare alla reception per darmi una busta a me indirizzata che ha veduto al suo albergo.

Di quanta fantasia è ricci il caso!

Rimase un mistero perché quella lettera fosse al suo albergo ma era di Laura che mi diceva che non piacendole Ceylon si trasferiva a Goa.

Superfluo dire che il giorno dopo ero ad Anjuna dove dopo qualche giorno affittai un intero hotel sul mare lì vicino per conquistare la mia bella.

Ma anche questa è un’altra storia, così ritorniamo al mio solo viaggio ad ovest.

Appena ero tornato a Roma avevo mandato trenta rose rosse a Gayle ma mi sorprese che né una lettera di ringraziamento né una cenno trovassi una volta a casa.

Telefonai a Philadelfia e mi rispose una voce giovane di donna: “Gayle?”

Dall’altra parte ci fu silenzio. Poi la stessa voce in lacrime di disse che Gayle non c’era più. Era morta pochi giorni dopo la mia partenza per un infarto-

Chi disegna la vita per noi?

Resto dell’idea che soltanto il fato ha tanta fantasia.

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2 risposte

  1. Ottimo racconto Pino! Grazie per averlo condiviso…
    Non accenni l’anno, io vissi a New York (e dintorni) dal ’71 al ’75 e poi
    a San Francisco (e dintorni) dal ’76 al 2017… Peccato non si fosse in
    contatto a quei tempi, mi avrebbe fatto veramente piacere conoscerti
    e ritrovare Giorgio allo stesso tempo, non avevo idea lui fosse li a due
    passi da me… Si! Il fato ha una strana fantasia.

    1. Tranne Giorgio, credo, tutti morti quelli di cui racconto in questa storia. Ma mi accorgo adesso che Laura potrebbe ricordarsi in che anno ci incontrammo. Se sta meglio di me a memoria e date ti farò sapere.
      Stammi bene

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