VASARELY AI TROPICI Maggio 1984 serie Tropical

VASARELY AI TROPICI
Caracas Maggio 1984
In questi giorni (Aprile 9) Victor Vasarely avrebbe compiuto 114 anni se non fosse morto a Parigi nel 1997. Il suo compleanno mi ha fatto tornare alla memoria due sue belle serigrafie  che Miriam Acevedo, una collezionista venezuelana, aveva messo in vendita nella sua casa galleria  di Caracas e mi aveva contattato per fotografarle.
Per me si stava avvicinando il momento di lasciare il Venezuela. La crisi economica che eventualmente avrebbe portato il paese allo stato miserabile in cui si trova ora, 36 anni dopo, era nell’aria e il mio lavoro di fotografo si era ridotto a un paio di collaborazioni con la rivista Numero, per cui facevo le foto delle copertine, in genere ritratti di politici, banchieri, economisti, industriali etc etc… ed il quotidiano El Diario che fra tutti era il  meno peggio e veniva considerato il piu’progressista, per il quale facevo un po’ di tutto, dalla cronaca politica ai ritratti dei cantanti di salsa. Ci lavorava anche un altro italiano, Luigi Scotto, piu’ anziano di me e molto piu’ bravo di me con molta esperienza e a lui toccavano tutte le prime pagine. Era forte, era un fotografo temutissimo, un maestro nel beccare il filo invisibile fra il ridicolo e il commovente. Da lui imparai moltissimo. Ma questi lavori bastavano appena per  tenermi a galla. I lavori pubblici di grande portata che documentavo regolarmente per il governo e per le compagnie di costruzione come la metropolitana di Caracas, le centrali elettriche in tutto il paese, la costruzione della diga sull’Orinoco, tutti questi lavori che mi avevano fatto guadagnare molti soldi si erano bloccati. Semplicemente non c’erano piu’ soldi per andare avanti e le banche che all’inizio erano rimaste chiuse per una settimana, al riaprirsi avevano svalutato la moneta locale, il Bolivar, del 200%. Era diventato sempre piu’ difficile comprare dollari la cui vendita era limitata. Per mia fortuna in passato avevo fatto un lavoro di “fotografia sociale” che generalmente rifiutavo, ma quella volta lo feci per aiutare un amico. Era un party negli uffici centrali del Banco de Venezuela dove scattai molte foto e dove conobbi il direttore, un italiano figlio di emigranti siciliani. Il tipo si era fatto fotografare con tutte le donne presenti, costantemente con il bicchiere di Chivas Regas in una mano e con l’altra stringendo la signora di turno. Rimase entusiasta delle foto e quella amicizia mi permise al momento giusto di cambiare tutti i miei soldi in dollari, senza pero’ poter evitare il pizzo per il direttore. Il petrolio era stata la ricchezza e la rovina del paese che stava precipitando a grande velocita’.
Era diventato difficile perfino trovare i rullini fotografici perche’ non si importavano piu’, non si importava quasi piu’ nulla perche’ non c’erano i soldi per pagare, lo stato era in bancarotta e non poteva pagare i debiti con le banche americane, inglesi, tedesche.
Quel pomeriggio presi le mie Hasselblad, un cavalletto e un paio di spot per la luce, caricai tutto nella Volkswagen e mi diressi verso la villa della gallerista. Per fortuna in frigorifero avevo ancora un po’ rullini fra bianco e nero, colore e diapositive. La signora in questione voleva stampe a colori e diapositive, quattro rullini sarebbero bastati. Quel lavoro era arrivato al momento giusto, avrei usato soldi per  comprare il biglietto per Roma dove non ero piu’ tornato da nove anni, da quando ero sbarcato all’aeroporto di Maiquetia pensando di fermarmi al massimo un paio di mesi. Erano passati nove anni da quando mi ero improvvisato cartomante per caso su quell’aereo da Lussemburgo a Trinidad, Barbados, Caracas. Molte storie erano passate in quegli anni, ma in quel momento avevo lasciato dietro quasi tutto, casa, studio, lavori amici e donne ed ero gia’ partito con la mente. Stavo vivendo gli ultimi giorni in casa di amici, Paolo ed Eliana, lui un altro ottimo fotografo italiano e lei una pittrice astratta boliviana che ora vivono in Italia.
La gallerista era una latina dai capelli castani a meta’ dei 30, con gli occhiali di tartaruga che le davano una apparenza da intellettuale accademica. Mi invito’ subito a prendere un caffe’ in giardino prima di cominciare a lavorare. Ci sedemmo su uno di quei divanetti a dondolo all’ombra di una palma e cominciammo a fare conversazione superflua giusto per conoscerci un po’. Parlammo di fotografia, di arte venezuelana, dei giovani artisti che muoiono di fame,  mi chiese se avevo in progetto una mostra o un libro di fotografie. Dissi di si, che avevo diversi progetti in corso. Mentivo. Ma neanche tanto, in fondo un progetto e’ una cosa allo stato astratto, non esiste, puoi anche avere un progetto, non vuol dire che lo realizzerai… Comunque mi facevo piu’ interessante di quel che ero. In realta’ non me ne importava gran che.
Dopo un po’ di chiacchiere cominciai a lavorare. C’era una bella luce naturale che entrava dalle finestre sul giardino, liberai una parete di tutti i quadri appesi e sistemai il primo Vasarely.
Con gli spot rinforzai la luce lateralmente, aprii il cavalletto, avvitai la Hasselblad e, sotto gli occhi attenti di Miriam Acevedo, presi l’esposimetro e andai a misurare la luce. Perfetto.Cominciai a scattare diapositive. Quattro o cinque con diverse esposizioni, un po’ di dettagli dei disegni geometrici optical classici del miglior Vasarely, e poi ripetei l’operazione con il rullino a colori. E la prima serigrafia era fatta. Mentre cambiavo il quadro Miriam Acevedo arrivo’ con una bottiglia di rum, del ghiaccio, limoni verdi e due bicchieri. Il rum venezuelano e’ fra i migliori del mondo, va giu’ che e’ una meraviglia. Credo che il Venezuela sia uno dei paesi piu’ etilici che ho visitato. Cosi’ ci fu una pausa di lavoro. Il secondo Vasarely era tutto sul blue e mi dava dei problemi, cosi’ dovetti riaggiustare gli spot e fare una luce meno diretta. Alla fine tutto ok e cominciai a scattare. Stessa operazione, stessi scatti.  In due ore avevo finito. Mentre stavo riordinando le macchine e le luci Miriam Acevedo mi fermo’. Visto che ero gia’ sul posto aveva deciso di fotografare altri pezzi, fra cui una scultura di un nudo femminile e un grande vaso di ceramica. Gli oggetti a tre dimensioni richiedevano un po’ piu’ di tempo per aggiustare le luci e decisi di andare a prendere un piccolo spot che avevo in macchina per dare un colpo di controluce.  Avevo parcheggiato a due isolati di distanza e mentre stavo ritornando comincio’ a cadere un diluvio tropicale inaspettato che in due minuti mi rese zuppo grondante dalla testa ai piedi. La cosa era imbarazzante, ma non avevo alternative cosi’ mi presentai in quelle condizioni. Miriam Acevedo scoppio’ a ridere, aveva il bicchiere di rum in mano e subito ne servi’ uno anche a me perche’ mi riscaldassi. Poi mi disse di andare con lei. Mi condusse nella sua camera da letto e apri’ un armadio da dove tiro’ fuori un paio di jeans e una maglietta verde con su la scritta “Leones de Caracas”, la squadra locale di baseball. “ Cambiati, sono del mio ex marito” mi ordino’ senza abbassare gli occhi. Cosi’ mi tolsi la camicia bagnata e misi la maglietta dei Leones. Quando venne la volta dei pantaloni Miriam Acevedo continuava ad osservare, cosi’ mi tolsi i pantaloni. Premetto che non porto mutande, mi stringono e mi danno fastidio. Cosi’ quando mi tolsi i calzoni ci fu un “ah” di sorpresa, non se lo aspettava…
Finalmente con vestiti asciutti cominciai a lavorare sulla scultura.  Il piccolo spot per il controluce fece un ottimo lavoro. Mentre fotografavo la gallerista mi chiese se mi piaceva la scultura. Era una scultura banale, le curve della donna erano sensuali in modo spropositato, quasi osceno. Pero’ mentii e dissi che mi piaceva. Miriam Acevedo si avvicino’ per carezzare
le curve della scultura, poi preciso’ che molti uomini sono “maricones” (omosessuali, il termine gay non esisteva ancora) e con le donne non ci sanno fare. E mi guardava. “ Bene allora fotografiamo il vaso?” dissi per tagliare corto. Per fortuna il vaso aveva niente di sensuale cosi’ alla fine Miriam Acevedo non potette fare altro che andare a prendere due birre Polar e invitarmi in giardino per concludere un lavoro ben fatto. Aveva altri progetti… oltre alle birre c’era da mangiare cose deliziose e rimasi un altro po’. La conversazione si fece sul personale. Come mai non ero sposato e non avevo figli? Per una venezuelana un uomo della mia eta’ senza figli vuol dire che e’ un maricon…Tornava di nuovo sul punto dell’omosessualita’, tanto che quasi le mentii dicendo che si, ero omosessuale, ma lei fu piu’ veloce di me e disse che aveva molti amici omosessuali e che erano deliziosi. A quel punto decisi che era ora di filare e mi alzai come per salutare ma Miriam Acevedo, disse che i miei vestiti dovevano essere asciutti e potevo cambiarmi. Mi segui’ attenta in camera da letto e decise di aiutarmi nelle operazioni di cambio biancheria. Comicio’ a carezzarmi piano piano il petto e finimmo a letto. Ando’ tutto bene per una mezzora, ci si strinse, ci si carezzo’ e ci si bacio’. Improvvisamente mi ficco’ le unghie nella schiena cosi’ forte che mi usci’ un “cazzo!!!” in italiano. Miriam Acevedo ridacchiava, “Ti piace?” mi chiese. “No, per niente! Non farlo piu’…” ok ok e ricominciammo a toccarci finche’ mi arrivo’ un tremendo morso sul braccio. Mi incazzai. “Non sono un masochista se e’ quello che credi, quindi Miriam Acevedo, falla finita…” ok ok e si ricomincio’, pardon pardon e mi baciava e carezzava. Cosi’ per un po’, fra un sussurro e l’altro, una carezza e l’altra. Fino al prossimo morso, sempre piu’ duro, accompagnato da unghie di supporto. Promise di non farlo piu’ ma era piu’ forte di lei, non resisteva e sempre piu’ frequentemente arrivava un morso o una unghiata. Mi alzai furioso e cominciai a vestirmi. Nel buio inciampai in qualcosa che mi catapulto’ di nuovo sul letto  e questo fu l’atto finale. Pensando che finalmente mi piacesse soffrire Miriam Acevedo fu su di me velocissima e mi pianto’ un morso sul collo da brava vampiressa latina. Non gliela facevo piu’, le diedi uno spintone, afferrai i miei vestiti e andai a vestirmi in giardino. Miriam Acevedo mi chiamava dalla stanza da letto, “prometto che non lo faccio piu’…” Ma io ero gia’ sulla porta di casa, in cinque minuti raggiungevo la Volkswagen, e me ne tornavo a casa di Paolo ed Eliana. Nella fretta avevo lasciato la mia camicia e mi ero tenuto la maglietta dei Leones de Caracas che rimase con me per parecchi anni, cosi’ che ogni volta che la mettevo mi veniva da ridere ripensando a Miriam Acevedo con la sua opinione che gli uomini sono tutti “maricones”. E ci credo chi la regge a letto Miriam Acevedo? Continuo’ per qualche giorno a telefonarmi, a volte anche a notte fonda svegliando i genitori di Eliana che in quei giorni erano ospiti dei miei amici e si chiedevano chi fosse quella matta. Pochi giorni dopo ero su un aereo della TAP Portoghese in volo per Lisbona, Roma.
I rullini scattati rimasero li’ ed il lavoro non fu mai pagato.

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6 risposte

  1. Beh Paolo! Una vita segreta e piena di avventure “galanti” ma a Caracas succede e poi tu avevi un successo strepitoso; Italiano, avvenente, simpatico ed artista..,, que más?
    Comunque divertenti i tuoi racconti.
    Adesso non si trovano più nemmeno i sacchetti per fare la spesa! Figurati un rollino! Non si trova NIENTE,nemmeno l’aspirina. E questo non è divertente , é molto triste!

  2. Maricones, eh? Non ce l’avevi mai detto e c’è voluto l’anniversario del poro Vasarely. Comunque spingo sul tasto “mi piace”

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