Un pulmino nuovo nuovo. 3°cap. – Palletta e il bacio fatale

3-Palletta e il bacio fatale

E venne il giorno dei funerali. Sulla scalinata della chiesa di S.Angela Merici, al Nomentano, tra due ali di parenti e amici, salirono le due casse nere lucide. Io fui tra quelli che trasportarono uno dei feretri. Luciano o Giancarlo? Chi potrà mai dirlo? In cima alla scalinata stava la madre, con uno scialle nero trasparente che le copriva tutto il capo e il volto, come una Madonna velata dipinta da Goya. Accanto il padre, ossuto, quasi scheletrico, occhi spenti. Noi del Parco avevamo fatto nottata tenendoci svegli a fiale di metredina, ed ora, nella livida mattinata, ci colse pure il maledetto down che ti danno tutte le anfetamine. Non passai più nella vita un mattino così tragico! Trascorsero dei mesi e anche Palletta tornò. Ma lui vivo e vegeto. Lo incontrai su una strada vicino al Parco, zainetto, capelli lunghi sulle spalle, giaccone afghano, di quelli di montone rivoltato con la pelliccia sul bordo. Lo riconobbi da dietro per la sua camminata, punte dei piedi in fuori e saltellante come una paperella. Arrestai subito la mia sgangherata “2 cavalli”, mi slanciai fuori e lo abbracciai felice di rivederlo vivo e in ottime condizioni: era molto dimagrito, abbronzato, e anche gli occhi sembravano meno gonfi, non le due solite pallette cerulee. Naturalmente aveva uno sguardo più maturo e navigato che mi fece una certa impressione. “Quanto fa bene l’India!” pensai. Lo trattai con rispetto e ascoltai un suo sommario racconto degli eventi che gli erano capitati. Poi gli chiesi se avesse portato dall’India qualcosa di buono. Mi porse un pezzetto di charas gommosa e profumata e mi disse furtivo che doveva ancora aprire una valigia con doppiofondo. Mi avrebbe fatto sapere. Venni in seguito a conoscenza del fatto che si era portato 2 chili di Manali, l’hashish nero più buono dell’India, e un paio d’etti di morfina di Benares, quella grigietta, ma che ti da certi spilli quando te la spari! Dopo questo primo carico, attraverso altri viaggi, piano piano iniziò una carriera di pusher che lo portò fino al rango di piccolo boss di quartiere. Tramite contatti con altri viaggiatori di ritorno dall’Oriente o dal Sud-America, aveva sempre hashish della migliore qualità, oppiacei e cocaina. Dopo essere stato rapinato e taglieggiato più volte dai coattoni del Tufello, era riuscito, tramite piccole elargizioni e le sue capacità persuasive da mercante del suk, a farseli soci nell’attività di spaccio. In capo a pochi anni era riuscito a comprarsi un appartamento nella zona dei villini a Monte Sacro e una bella Harley Davidson che era riuscitoo a farsi modificare con un manubrio chopper alla “Easy rider” e abbassando al massimo il sedile per permettere alle sue gambette di raggiungere terra a cavalcioni del mezzo. Era uno spettacolo vederlo rombante e strombazzante per le strade di Monte Sacro! Appollaiata alle sue spalle si portava una graziosa ragazzina di nome Letizia che era diventata la sua fidanzatina. Gli giravano i soldi e la roba a profusione e anche la ragazzina non disdegnava l’uso e l’abuso. Pian piano aveva allargato la sua zona di traffico da Monte Sacro-Talenti ad altre piazze di spaccio: Piazza Vescovio, Piazza Tuscolo, S.Maria in Trastevere, e i suoi clienti arrivavano fino dall’EUR. Per parecchio tempo le cose gli andarono lisce. Prendeva le sue precauzioni contro sòle dei coatti e forze dell’ordine: dava appuntamento ai clienti nelle stradine buie dei villini e prima dell’incontro nascondeva la roba dietro la cassetta delle lettere di un villino. Si faceva dare prima i soldi dagli acquirenti e poi gli diceva dove ritirare la merce. Gli andò bene fino al giorno in cui una vecchia, che era la proprietaria del villino e dell’annessa cassetta delle lettere, si acccorse dei movimenti. E una sera Palletta, insieme al cliente, trovò una pattuglia in borghese che si qualificò gentilmente: “Buonasera, Carabinieri! Favorisca i documenti per favore!” Si aprirono così per Palletta le porte di Rebibbia. Finì là dentro, ma scalpitava per uscire. Si era procurato un grosso e costoso avvocato ma questo gli disse che l’uscita non sarebbe stata imminente. Tramò allora per fare entrare perlomeno un po’ di roba in galera. Fu proprio Letizia, che era riuscita con la sua aria “acqua e sapone” ad ottenere un colloquio tramite il magistrato addetto, ad avere l’idea. All’epoca non c’erano i vetri divisori e l’unica cosa che teneva separati i detenuti dai visitatori era un lungo tavolo. I due, non appena si videro, si strinsero le mani e si scambiarono un lungo e appassionato bacio, profondo, definitivo. Dopo il bacio si sedettero e Letizia cominciò a raccontargli degli ultimi eventi di Monte Sacro e Talenti: chi avevano arrestato, chi s’era preso l’epatite, chi era partito, chi s’era lasciato con la pischella… Palletta non parlava, la fissava con un sorrisetto negli occhi ma taceva. Alla fine del colloquio salutò la ragazza con un cenno della testa e lo stesso fece con la guardia quando uscì dal parlatorio. Il secondino che lo accompagnò alla cella del braccio G6, non lo sentì proferire motto. Sempre in silenzio rientrò in cella e fece un leggero cenno con la testa agli altri. Poi s’infilò dietro la tendina che separava in cella lo spazio del buiolo e, mentre pisciava, si sfilò con un gesto furtivo dalla bocca il piccolo involucro che Letizia gli aveva passato durante il bacio e se lo infilò nel taschino dei pantaloni. Attese che gli altri uscissero per l’ora d’aria, si accertò che nessuno tornasse dietro a sbirciare e andò a pescare con la mano nello sciacquone dello scarico del buiolo. Ne trasse una busta di plastica da cui estrasse una siringa usata che si era messo da parte, per ogni evenienza, poco dopo che era entrato al gabbio, acquistata da un altro detenuto che stava lì da ormai qualche anno. Quando gli altri tornarono in cella lo trovarono steso sulla branda. Fino all’ora di cena nessuno lo badò. Quando arrivò il rancio qualcuno andò a scuoterlo per svegliarlo e si accorse della siringa infilata nel braccio e che rantolava. Le guardie accorsero quasi immediatamente e lo trasportarono in barella in medicheria. Qui non si sa se fu per dolo, per ignoranza o per sciatteria, ma la guardia-infermiere di turno, invece di fargli un’iniezione di Narcan, antagonista degli oppiacei che ha salvato dall’overdose migliaia di vite, gli iniettò una fiala di Valium, un tranquillante. E lo spedì dritto dritto al Creatore, O lo spinse nel vortice delle reincarnazioni. Come preferite, Ma di sicuro c’è che mai, dopo quello di Giuda, un bacio fu più fatale.(3-continua)

 

  • Paolo Paci

    se non ci fossero gli angeli custodi non staremmo qui a raccontarci le storie
  • Stefano E. Stef

    Mi ricordo di Rossella, mi spiace molto abbia avuto una fine violenta. Ho vissuto con Flavio a Kabul
    • Alessandro Antonaroli

      Stefano E. Stef mi piacerebbe leggere qualche tuo ricordo di Rossella. Come forse saprai, anche Flavio ora è nel mondo dei giusti, ma lui se n’è andato con maggior serenità. ❤

      Stefano E. Stef

      Alessandro non molto di Rossella purtroppo, non ci siamo conosciuti abbastanza ma ho un ricordo visivo di lei che cammina sul bagnasciuga di Baga all’alba, io andavo verso Anjuna e ci siamo incrociati e salutati. Mi spiace per Flavio che se n’è andato, come Archimede e Francesco Ciclamino. E Sabrina.? Mi pare si chiamasse così sua moglie…
  • Lorenza Lodini

    Io invece ricordo Furio con Egizia.

    Pino Cino

    Amministratore
    Gran bel racconto di anni che già sfumavano la spensieratezza in tragedia. Ne abbiamo visti morire parecchi nei tormentati anni 70. Ciclamino, Arci, sono stati amici cari. Capiterà di riparlarne. Sabrina è viva e viva in Umbria. Anche Furio (il Mariotti) fi in torinese che vidi arrivare a Goa. Agente di borsa in fuga per l’avventura e la felicità si prese lì ad Anjuna i primi acidi tra un cilum e l’altro. Ho bei bianco e neri di lui sulla terrazza del Crown e il ricordo di un incontro con Terzani. Ne scriveerò Venne poi a trovarmi a Roma ma era già piuttosto andato; da lì proseguì per gli States dove ci lasciò la ghirba.
    • Stefano E. Stef

      Pino di Furio sulla terrazza del Crown ne abbiamo già commentato anni fa sempre su FB mi ricordo in merito a una foto del Crown… Io lo ricordo inveire contro gli indiani ammassati giù in strada : Buffaloes del cazzo 🙂

      Pino Cino

      no. era da Furio

      Abigail Garfagnoli

      Pino Cino wow, Furiò – quello di San Francisco, amico di Joanie e Giancarlo?

      Pino Cino

      immagino di si. mi dissero che era morto a Frisco

      Franca Cino

      pino,cecco è morto nel 2004,a quei tempi l’ha sfangata

      Margherita Crispy

      Arci nel 1998, fine gennaio🙏

      Abigail Garfagnoli

      Storia bella e triste

      Dunia Grigolo

      Quando conobbi Rossella ci siamo subito prese dato che dalle solite domande (che fai? di che segno sei?) venne fuori che eravamo nate lo stesso giorno, 26 novembre, lei poco più grande di me. Due giovani Sagittarie all’avventura. Ci siamo incontrate qualche volta magari per fare un pò di “spesa” insieme e poi strafogarci il comprato. L’ultima volta che l’ho vista eravamo a p.le Adriatico e piangeva perchè i genitori l’avevano obbligata a togliere una rosa tatuata che aveva tra i seni,lasciando una brutta cicatrice.
  • Emanuela Rossi

    Io invece le ultime volte che l’ho vista era quando veniva in Italia da Berlino per qualche giorno. Una delle ultime volte fu un capodanno che ricorderò sempre. Andammo a fare la solita spesa, e poi a cena fuori, più tardi raggiungemmo il resto della compagnia a casa di Stefano (lui ora vive in Cile) a via levanna. C’era Palletta sul terrazzo che stava preparando i fuochi d’artificio che era andato a comprare a Napoli, alcuni con il treppiedi. Eravamo tanti, non ricordo bene chi c’era. Facemmo mattina. Poi la vidi ancora qualche volta. Le volevo bene.
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I miei articoli

Viva Peyote-11 Postscriptum

Voglio ringraziare quanti hanno letto con interesse questo mio racconto e mi hanno manifestato la loro empatia. Purtroppo debbo confessare che non sono più tornato

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