16 giugno 2020
Tutto cominciò ? 8
Memorabile una notte in cui scegliemmo di accamparci sulle rive di un fiume che formava delle cascate. Bellissimo, ma notte insonne per il frastuono che arrivando sul posto ci era sembrato tanto romantico.
Era un andare sereno anche se cominciava ad affacciarsi il dubbio circa i tempi di ritorno del nostro amico Roberto. Era tornato in Italia anche per raccogliere i soldi necessari al proseguimento dell’impresa tuttavia era da scoprire come e dove li avrebbe reperiti.
Quella prima parte l’avevamo finanziata con la vendita dei microfoni Shure e dei piatti Zildjian che mi portavo dietro da Goa, aggiunti ai travel cheques smarriti di Roberto.
Denunciato lo smarrimento dei foglietti verdi American Express, avevo appiccicato una mia foto sul passaporto di Roberto, anche quello smarrito; rifatto il timbro a secco, operazione che mi riusciva un gran bene, e ogni tanto Geppi e io ci infilavamo in qualche Change Money, in India o in Pakistan, per cambiare una ventina di dollari. Fu divertente a Peshawar, noto postaccio al confine con l’Afghanistan, dove dopo aver mangiato qualcosa chiedemmo di cambiare un travel da 20. “No problem.”
Alcuni ceffi sedettero accanto a noi nel separé davanti al tavolino e dopo aver preso il Travel Cheque uno di loro si allontanò: per andare a controllare se era buono; ci spiegarono.
Oh Gosh! Che sta per porco cazzo! E ora?
“Ora, Geppi esci, metti in moto la macchina e quando io schizzo fuori di qua, parti a razzo.”
Operazione riuscita quella volta, perdendoci solo un foglietto, ma stavano finendo e quando arrivammo a Kabul era rimasto l’ultimo che costò anche una litigata tra Geppi e me.
Dalla cima di un colle, l’ultimo, apparve la città con la sua corona di cime ancora innevate all’intorno e il fiume che attraversava la piana.
Colmo di gioia dissi: “Appena in città mi mangio un dolce con la marmellata di ciliegie.”
“No, mona. Ci compriamo da mangiare coi soldi.”
“Io voglio una sfoglia con la marmellata.”
“No.”
Si e no, ne venne fuori una discussione ampia di parole alterate e minacce.
Non ricordo se mangiai il mio dolcetto ma la nostra sosta a Kabul iniziò così.
Geppi attese Roberto, che arrivò un mese dopo su una Cinquecento Fiat insieme a mia sorella, preceduta da una storica lettera di mio padre: ”14 luglio 1789, presa della Bastiglia. 14 luglio 1971, rottura dei miei zibitei. Ti mando lì tua sorella.”
Insieme a lei, Nicla, di ritorno in Afghanistan, Gianni e come detto, Roberto ma senza soldi.
Nel tempo dell’attesa si era verificato che i sei cavalli, parcheggiati in una stalla dove era pure la carrozza, pretendevano anche loro di mangiare, tanto fu che, venduto il rottame della berlina, vendemmo anche i primi due cavalli.
Gli altri uscivano con noi e amici vari per passeggiate bellissime nei dintorni della città finchè anche gli ultimi quattro dovemmo venderli.
Eravamo in troppi a dover mangiare aspettando un miracolo dall’Italia.
Una Kabul pulita dal gelo invernale che si risvegliava con un’estate sempre più calda eppure mai fastidiosa grazie ai 1800 di altitudine.
Giornate pigre, amici, chiacchiere, bisogno di soldi e l’intuizione di mettere su un business con l’hashish che certo non mancava.
Sapevo come si facevano le valigie di samsonite e metterci dentro un doppio fondo non era un problema. Rimediai la resina da un tedesco che tornava in Europa e dentro ci nascondevo i cinque o tre chili per volta di polline rimediato in rapidi viaggi nei villaggi verso Jalalabad.
Micidiale il modo degli afghani di farti scegliere la qualità della merce: un pezzo di polline pressato al centro di un piattino di metallo, fuoco per poi passarlo sotto il naso aspirando i fumi. Una così detta botta della madonna.
Avevo un mio trucco che consisteva innanzi tutto nel non far capire che parlavo la loro lingua. Evitare di respirare quel fumo micidiale, poi, dopo il quarto o quinto piattino di differenti qualità, scegliere quello che li avevo sentiti definire il migliore. Ogni volta finivano per commentare la mia esperienza e congratularsi.
Avevo un socio nell’azienda, Renato, prototipo di napoletano doc e dei migliori. Lui si dedicava alla confezione di borse e valige in pelle. Storica fu una borsa con due grossi manici centrali che cuciva in piena notte per una consegna da fare all’alba a una coppia di canadesi. Si era fatto tardi, così chiese il mio aiuto e io seduto dall’altro lato del piano mi misi di buzzo buono a montare un manico mentre lui pensava all’altro.
Bei caratteri, perché la prendemmo a ridere quando finito il lavoro e preso il borsone pel manico questo ruotò di quarantacinque gradi essendo stati cuciti non paralleli i due manici.
Bei caratteri anche i canadesi che pagarono e se lo portarono via.
Non migliore fu il lavoro fatto per Gianni, il romano arrivato a Kabul inzeppato nella 500 di Roberto insieme a Franca e Nicla.
Avrebbe proseguito per l’India e come un po’ tutti avrebbe voluto portarsi un po’ di buon afghano da rivendere a Goa. Ci comunicò un po’ tardi il suo desiderio così che Renato si mise all’opera l’ultimo giorno. Cenammo a casa mentre il napoletano ci dava giù di macchina da cucire. Aveva prima scucito i lati del sacco di nylon a mummia, steso un bel telo di plastica che aveva ricoperto del polline migliore sopra il sacco a pelo aperto, per poi ricoprire di altra plastica e finire ricucendo i grossi cannelli che costituivano l’anima dell’insieme.
Si mangiava e si scherzava salutando Gianni che la mattina dopo si sarebbe messo sulla strada ma qualcuno realizzò che l’odore del polline trapassava la plastica e il nylon bucati dagli aghi e allora, preso dell’aglio, una bella strofinata con questo.
Puzzo micidiale.
Il vino! Ne avevamo in abbondanza quindi mezza boccia sul sacco a pelo aperto per poi arrotolarlo e lasciarlo lì per la notte. Il mattino appresso la puzza c’era tutta, il nylon risultava bagnato e così fu dato il tocco finale con un’ampia spolverata di borotalco.
Passò un anno prima che rincontrandoci a Roma, Gianni mi raccontasse che arrivato alla stazione dei pullman gettarono il suo zaino con sacco a pelo annesso sopra il tetto.
Via fino alla frontiera Pakistana e lì, giù il bagaglio per il controllo e ci volle tutta la forza di Gianni per aprire il maledetto che con talco, polline e vino cotti da sei ore di sole cocente non si srotolava. Andò liscia e il tutto arrivò ad Anjuna.
Tutto questo e il soggiorno a Kabul in un hotel in fondo a Shahre Naow, la zona dove confluivano hippies e turisti, numerosi in estate.
Una dei primi incontri, arrivati in città, era stato proprio a Shahre Naow, da Sigies, un ciay shop ristorante, belle cene e ottime colazioni, con un ampio giardino, ricco di tavoli oltre che di tappeti nella sala interna, dove si poteva giocare a scacchi con un set di pezzi alti mezzo metro da spostare su una scacchiera in cemento al centro del prato. Il proprietario, Sigie, era un afghano con trascorsi in Germania, socievole, panciuto, sui cinquanta e sempre sorridente. Maniaco degli scacchi e come seppi più tardi, gran maestro.
Una festa per me rivedere una scacchiera dopo che appassionato come ero, avevo dipinto quasi tutti i miei quadri a Goa con il tema scacchi in primo piano, potevo finalmente sedermi e giocare con qualcuno. Sigie ben disponibile, soltanto che io mi arrovellavo su una strategia e una mossa mentre lui salutava gli ospiti, dava ordini ai camerieri, controllava tutta la sala, poi quando io battevo l’orologio, buttava un’occhiata, muoveva un pezzo e… arrivava regolarmente a matto. Tutte le sere.
Non ne vinsi una, tranne che il giorno prima di lasciare Kabul: fece un errore, lo braccai al di là di ogni eleganza scacchistica e la ebbi vinta.
Tutta la vita col dubbio che sia stato il suo regalo di commiato.
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Sigies e i suoi rice puddings con uvetta e cannella per soddisfare la fame chimica ma anche il curd di Chicken Street o se giravano soldi la pizza. Mi pare di ricordare un Renato biondo con baffi?
senza baffi ma biondo
niente foto.?
qualcuna verrà fuori
ecco vecchie foto
foto ’80
che belle le foto di renatino
chissà?
si è lui… ma ha I baffi come mi sembrava di ricordare… Ma non ricordo dove ci siamo visti, probabilmente Kabul.
che dici?
Qualcuno sà qualche cosa di renatino ?
scomparso inizio 90. dicono sia morto ma nessuno sa nulla
ci siamo conosciuti in quel periodo ?Renato doveva fare una borsa anche a me ma alla fine non se ne fece nulla
ne parlerò al prossimo giro
poi tocca ame…
ci siamo conosciuti in quel periodo? anche con Renato
, io sono rimasto sempre intorno al bacino Mediterraneo,Turchia, Siria, con Renato facemmo una scampagnata in montagna vicino a kaisery , dopo di che andammo a Napoli a casa della famiglia.
Ci legava una affettuosa amicizia e tra l’altro ci somigliavamo .
A dirti il vero prima di elen non ho nessun ricordo .
lardo appeso alla finestra insieme a pomodorini. ricordo ancora gli spaghetti fatti al volo dalla madre di Renato
, è di fronte alla casa un ricovero per anziani seminterrato…….
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elen?
, una amica americana conosciuta in Egitto….
c’e’ una sua foto sulla mia bacheca fatta a Puerto Rico
non era la tua compagna di viaggio. sbaglio?
no, la ho conosciuta molto dopo, insieme a Fabio. Fra l’altro e’ una storia molto divertente, chissa’ se Fabio si ricorda quella serata
, rinfrescami la memoria , ricordo solo che la tua conoscenza con ellen è avvenuta dal vinaio, Giorgio, a campo dei fiori e credo che anche noi 2 non ci conoscevamo se non per amici comuni o per l’esattezza conoscenze comuni…..
- io mi ricordo un piano alto.
He he…..diamo la colpa all’eta’ , comunque metro in più metro in meno….cambia poco !
È non scordiamoci mai che sono fatti accaduti mezzo secolo fà…..!
scrivendo del viaggio a cavallo è stato da ridere confrontare i ricordi con quelli di Geppi e di Roberto. è venuto fuori di tutto. ma loro so’ più vecchi, è ovvio
Ellen
Si ….! Ellen
sempre la stessa…
E… poi?
se ce la faccio stasera aggiungo un po’ di aneddotica kabulliana. sono stato lì sei mesi e c’erano Marano, Boccaccia, Archimede, il Farina, Nicla, la Cino, e ne sono passati altri. Quel Paolo Paci che vedi qui, non lo vedo da allora. Come dire: di cotte e di crude
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