Ero appena arrivato a San Francisco, e avendo l’auto, imparai a spostarmi per la città in cerca di lavoro, e il primo impiego venne da una scuola di lingue (In Lingua) downtown nel quartiere commerciale, insegnando l’Italiano a americani. Li conobbi Massimo DiGiulio, un Italiano con il quale divenni molto vicino, a volte ci accoppiavano a insegnare assieme… avevano un loro sistema che ora non ricordo, ma si parlava la lingua, e si incoraggiava l’allievo a ripetere e capire il significato, facendo uso minimo dell’inglese… Lavoro facile, ma con pochissime ore, e, anche quando si accorsero di come parlassi bene l’inglese, e mi misero a insegnare l’inglese ai giapponesi, le ore erano sempre poche e non ci ricavavo molto. Ero sempre occupato con la grafica che anche mi rendeva qualcosa ma sempre poco. Mi serviva un nuovo lavoro fisso che pagasse meglio.
Lessi in un giornale che la “Yellow Cab Co.” stava riaprendo, e cercavano autisti. Decisi di dargli una prova, e venni accettato, con tanto di certificato dalla polizia, mi diedero una tessera e uno stemma di metallo cromato. La sede centrale era in un grande spazio con garage/direzione/parcheggio (per le centinaia di macchine), dove gli autisti facevano la fila per la prossima auto libera. Ogni veicolo numerato, a me diedero la 535, e fui assegnato il turno notturno di 10 ore, dalle diciassette alle tre di mattina. Uscendo dal garage con il serbatoio pieno, al rientro pagavo per la benzina consumata, pagavo $30 di “Gate” alla compagnia per l’uso della macchina e pagare per fare il pieno alla pompa per la benzina usata, e tutto il resto era il mio guadagno. Conoscevo i vari quartieri della città, le attrazioni turistiche principali, Fisherman’s Wharf, gli alberghi, North Beach, la zona d’italiani (e dei Beat, City Lights di Ferlinghetti), la confinante Chinatown, separata dalla divisione di Broadway, la strada dei locali notturni, il Condor Club di Carol Doda, Finocchio’s, locale dove si esibivano travestiti, al piano di sopra da Enrico’s, un caffè italiano… Tanti locali che invitavano “Live, nude girls”, con tanto di foto in vetrine ultra illuminate, i “Barker” che assalivano i passanti per attirarli al proprio locale, e poi c’era Mabuhay Gardens, il santuario della scena Punk nascente, e si sentiva musica dappertutto.Oltre a ciò, fuori dalla città, tiravo a indovinare, e andavo imparando le località della penisola, i collegamenti dell’intera Bay Area… i ponti, le autostrade, etc. Molte volte chiedevo ai passeggeri stessi di darmi le direzioni alla loro destinazione, se le conoscevano… E poi c’era l’aeroporto, una ventina di minuti al sud della città, dove ti mettevi in fila in una zona e, arrivato il tuo turno, uscivi e andavi a raccogliere i passeggeri in arrivo nei posti adibiti, all’uscita dei terminal. Era come un gioco alla roulette… a volte ti capitava un viaggio breve nella zona circostante, altre volte, destinazione SF, altre volte Berkeley, Oakland, Marin, etc…. Una volta raccolsi un militare in uniforme con tanto di zaini, che voleva andare a Travis Air Force Base, un viaggio di due ore che mi pagò con un transfer militare, e non mi diede nemmeno la mancia. Dovetti rientrare a SF vuoto perché il mio permesso era solo per SF e aeroporto, e non potevo raccogliere clienti fuori della contea.
Anche se sul tesserino ho la foto con i capelli ancora lunghi, me li tagliai corti, e adottai un modo di vestire un po’ più moderno, New Wave, il ritorno dei pantaloni stretti, camicia e cravatta, ne avevo trovata una fatta di pelle color grigio, molto sottile, che mi piaceva tanto, e giubbotto di pelle nero. Avevo un paio di stivaletti neri con chiusura lampo, che mi aveva inviato Mariella da Roma quando ero a Los Angeles, con tacco alla Bolero di sei centimetri, che feci abbassare perché troppo alti e scomodi… Avevo sempre fumo addosso e ogni tanto mi parcheggiavo da qualche parte e mi facevo lo spinello. Se in transito su rettilinei di autostrada, avevo imparato a tenere il volante con le ginocchia, liberando le mani giusto il tempo per rotolare. A San Francisco fumavano tutti, e molte volte mi capitò di venire offerto da fumare, da passeggeri che apertamente accendevano una canna in transito… E non solo il fumo ma ogni tipo di droga. Di sera e di notte uscivano tutti per andare in giro ai club e bar, a ballare e divertirsi… molta coca, e anche tanti usavano i “poppers” (amyl nitrite), una piccola bomboletta metallica che si aspirava e ti faceva girare la testa (le provai un paio di volte). C’era l’”Eecstasy”, i “Qualude”, il “PCP”, o Angel Dust, che provai una volta a mia insaputa, fumando un joint offertomi. Effetti ben diversi dalla marijuana, sudai come un matto, ansietà’, battito del cuore accelerato, allucinazioni audio visive, e sentivo il corpo come se fatto di gomma. Pensai: OK, una droga da non provare una seconda volta. Con un po’ d’intelligenza sono riuscito a evitare tante droghe che circolavano, ma che sapevo erano pericolose, tutte cose sintetiche, create in laboratorio, da gente per fare i soldi. Un altro discorso è quello dell’erba e gli psichedelici, piante naturali usate da secoli medicalmente, il peyote, la mescalina, i funghi magici, e ‘LSD, che risorge oggigiorno con uso in psicoterapia. Finalmente in molti stati americani, oggi si può usare l’erba anche per uso ricreazionale, ed è diventato anche un grande boom economico, sia per gli investitori capitalisti, sia per il governo, che ci guadagna con le tasse… Nel 77 però, vivevo da fuorilegge, e dovevo stare attento alla polizia, informanti curiosi, e bisognava essere discreti per non finire in galera, anche se l’uso di erba e della coca era comune anche tra i poliziotti, ma di nascosto.
Cominciando il turno alle cinque pm., beccavo tanta gente che andava a casa dopo il lavoro, e con l’imbrunire, l’accendersi delle luci stradali, il carattere della città cambiava. Dopo l’ora di cena, c’era l’uscita, chi all’opera, al teatro, al club. Poi i viaggi tra bar e bar, gruppi ubriachi e chiassosi. I parcheggi di stazionamento davanti agli alberghi ti assicuravano un viaggio a un ristorante, qualche giro della città di notte, ma dopo una certa ora moriva, mentre di giorno era una buona tappa per avere magari un viaggio all’aeroporto. Se mi capitava una tariffa che mi lasciava vicino l’aeroporto, andavo lì a mettermi in fila, anziché tornare in città vuoto. Ma, anche gli arrivi notturni erano ben scarsi, e a volte si passavano ore aspettando, durante le quali leggevo e ascoltavo la radio. C’era poi la radio/citofono che chiamava vari indirizzi di prenotazioni telefoniche, e chi più vicino, rispondeva alla chiamata identificando il numero del veicolo, dando la sua posizione. La centrale (al garage) rispondeva: “OK (535), l’indirizzo è tuo, il nome è (Joe Smith), passo e chiudo”, e riprendeva con la litania dei nuovi indirizzi. Naturalmente c’erano gli autisti predatori, che mentivano la loro posizione e anche se più lontani, venivano aggiudicati la chiamata. Oppure qualche volta arrivavi all’indirizzo, e con nessuno in vista, chiamavi un citofono, e ti rispondevano: “Ma il taxi è già arrivato qualche minuto fa…”. C’era anche la competitività delle altre compagnie, ed erano tante, con autisti che magari vedevano gente che aspettava un taxi, se li rubavano loro. E c’era pure il gioco che la centrale giocava con certi “preferiti” (magari dovuto a bustarelle nelle mani giuste), ai quali affidavano i viaggi più redditizi, l’aeroporto o più lontano, dato che la destinazione era dichiarata alla prenotazione. Dovevamo anche tenere aggiornata una lista obbligatoria di ogni viaggio che si faceva, inizio e destinazione, che consegnavamo alla centrale alla fine di ogni turno… alle tre di mattina. Dieci ore di macchina, interrotti solo dai break per usare il bagno, per mangiare qualcosa, erano ben dure, ma mi ci abituai presto. Con Marisa che aveva scelto di fare la spogliarellista in uno dei club su Broadway, frequentavo molto quell’ambiente di notte con il taxi, magari perché le davo un passaggio, magari con altre compagne di lavoro, e perché era l’unico posto in città con movimento e vita, con musica di ogni genere che echeggiava per le strade. Jazz, Country Western, Blues, Rock, Punk… Dopo i rientri a casa dal cinema, teatro, opera, e via, i locali notturni chiudevano alle due. E allora altro rientro di gente ubriaca, drogata, sfinita… alcuni insistentemente energetici, che mi attaccavano con dei bottoni infiniti. Ebbi alcuni passeggeri strani, come la coppia che voleva fare l’amore nel taxi, perché era una fantasia di lei… o come un giovane nero sulla ventina d’anni, che mi segnalò per strada, ed entrato mi diede l’indirizzo di un complesso di palazzoni in un brutto quartiere. Arrivato alla destinazione, ancora prima che potessi fermare la macchina, il tipo apre la porta e scatta, infilandosi in uno dei portoni. Era un viaggio breve, la tariffa era minima e avrei potuto abbozzare, e lasciare perdere… invece decisi di seguirlo, entrando nell’edificio semi oscuro, con tante scale e corridoi di porte. Mi guardai attorno e prontamente rientrai nel taxi, e via di corsa! Ripensandoci dopo mi dissi: Sarei potuto essere stato attaccato e derubato, aggredito violentemente… la mia buona stella mi aveva protetto. Marisa lavorava dalle dieci alle due di mattina, dapprima pochi giorni a settimana, quando le fu proposto di andare in Guam con una troup per due settimane, e lei accettò. La nostra piccola di pochi mesi era in buone mani con mia sorella Cristina, che se ne occupava per quelle poche ore che riuscivo a dormire rientrando alle tre e mezza e svegliandomi verso le sette, per adibire ai miei doveri di padre. Con Marisa rientrata dal Guam, e il suo ulteriore coinvolgimento, finendo per farne una carriera, le sue ore di lavoro aumentarono, e se ne andò in Giappone per un mese, il nostro rapporto venne a una fine. Non ne potevo più. Ci separammo, lei andò con un nostro comune amico, un ex di Cristina, ed io rimasi solo con Maga, ricorrendo all’aiuto di mia sorella, e altre conoscenze. Marisa si prendeva la piccola per il weekend, condividendo una somma ben ridotta di ore con lei rispetto a me, coprendola di regali e viziandola in ogni maniera mentre cresceva. Si sposò con il suo compagno, mettendo su casa non lontano da me.Io mi ero stufato di guidare, mi faceva molto male alla schiena, stare seduto al volante tutte quelle ore. Fui fortunato di non essere mai stato rapinato o aggredito, cosa che accadeva frequentemente nella professione, e di non aver mai avuto un incidente stradale. Maga iniziò a frequentare il nido asilo, e con lei cambiai casa e andando a vivere con Nicky e Robin su Ashbury St., e cominciai la mia avventura nel servizio di caffè e commestibili.
Con la schiena che mi faceva sempre piu male per tutte le ore al volante, decisi di cercare un nuovo lavoro con orario diurno, e trovai impiego con una catena di sandwich chiamata “Viking Submarine Sandwiches” come apprendista, paga minima (Mi sembra all’epoca fosse sui $5 l’ora)… Dopo al Grand Piano (un caffé su Haight St.) come impiegato e poi manager, a All You Knead dove diventai sous chef, e brevemente alla Pall Mall Grill, per poi ritornare a AYK per molti anni.
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