TAGANGA

TAGANGA
Colombia, la costa.
Venendo dal Venezuela in autobus, prima c’è Rioacha, poi Santa Marta, Barranquilla e Cartaghena.
Era il 1977 o 78.
Una mia fuga dal Venezuela, senza niente, solamente una lettera del mio studio di disegno tessile di Roma, ed il mio essere italiana e quindi” esperta “ di moda.
Trovai subito lavoro in una grande fabbrica di biancheria di Barranquilla dove mi trattarono super bene.
Il fine settimana, prendevo l’autobus ed in 3 o 4 ore arrivavo a Taganga.
La fermata era a Santa Marta e da lí con una jeep salivo ed andavo a Taganga.
Non era niente, un paese di pescatori sulle rive del mare dei Caraibi.
Adesso, guardando le foto su internet, vedo che è diventato un posto turistico.
Dunque, il paese era formato da case di fango e paglia, c’era una piazza con la chiesa e basta.
La gente viveva di pesca e di altri affari più o meno leciti.
Io avevo affittato una casetta con una sola stanza ed una sola amaca appesa da un angolo all’altro. Non c’era porta.
La mattina verso le 4, mi facevo trovare sulla spiagga e partivo con i pescatori verso un’isola a circa un’ora di distanza, che si chiama: la Aguja.
Andavo sempre vestita, con pantaloni lunghi e maglietta.
Lí si stava tutto il giorno, ad aspettare che il pesce entrasse nelle reti ed intanto loro si raccontavano storie e leggende di pesca e di mistero.
Quando tutto il pesce era stato raccolto, si faceva un grande fuoco, si metteva una pentola grande, si riempiva di verdure: mais, yuca, ñame, ocumo e vi si metteva, a pezzi, il primo pesce pescato.
Ognuno aveva portato le sue verdure. Il timone si metteva sulla spiaggia e sopra si sistemavano le verdure ed il pesce, il brodo restava nella pentola.
Si mangiava tutti insieme, ognuno prendeva il suo pesce ed il suo brodo e lo metteva in delle tazze fatte con la frutta di un albero, il totumo.
Dividevano il pescato tra tutti i partecipanti, e ne davano anche a me.
Loro lo vendevano al mercato ed io lo regalavo alle mogli dei pescatori, perchè per me era troppo.
Taganga è sotto la Sierra di Santa Marta, è la zona del Rio Magdalena, quello di Garcia Marquez. Immagino che Macondo fosse come Taganga.
Accompagnavo una signora a casa della “curandera” per togliere il malocchio al figlio. Gli indios scendevano dalla sierra e cambiavano machete e rum per pietre precolombiane ed altre cose sicuramente di più valore. Poi tristemente si ubriacavano e li trovavi la mattina buttati per terra.
La feste del paese, non ricordo per quale santo, durava tutta la notte, tra musica e balli e la mattina dopo, all’alba, ancora sentivi risuonare il ritmo di un vallenato ed una o due coppie continuavano il loro ballo di festa. Ricordo con nostalgia quest’ora del mattino, la luce rosa e la musica ormai stanca.
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