Storie antiche. Lasciando Kabul #1

Storie antiche
Lasciando Kabul # 1
Dopo circa due mesi passati nel freddo inverno di Kabul ne avevamo abbastanza.
La guerra indo/pakistana stava per finire ma le frontiere erano ancora chiuse. Kabul durante la bella stagione è un posto piacevole e talvolta addirittura troppo caldo ma l’inverno è di un freddo gelido e pungente, cosi di solito si andava a Jalalabad per qualche giorno, a riscaldarci le ossa, quando il freddo sembrava diventare insopportabile, ma le cose interessanti succedevano a Kabul per cui era li che si stava per la maggior parte del tempo.
Un giorno nel dicembre del 1971 venimmo a sapere che l’unico modo per raggiungere l’India, senza aspettare l’apertura delle frontiere di terra , era per nave partendo da Karachi, cosi la decisione fu presa : saremmo partiti per Karachi.
Qualche giorno prima avevamo incontrato un nostro amico italiano,Giovanni, che con la sua ragazza Patricia era arrivato a Kabul via terra con il suo minibus Wolkswagen Transporter. Così Bruno,Loretta ed io con Giovanni e Patricia partimmo da Kabul per Torkham,la frontiera afghano/pakistana sulla strada per Peshawar che attraversa il mitico Khyber Pass. L’umore era ottimo, India,Goa,sole,mare arriviamo !
Peccato che alla frontiera di Torkham ci rimandano indietro perchè il passaporto di Giovanni è scaduto da un giorno, da un solo giorno ma irrimediabilmente scaduto !
Cerchiamo in qualsiasi modo di convincerli a lasciarci passare,pregando,offrendo loro dei soldi, dicendo che le ragazze sono malate e hanno assoluto bisogno di raggiungere Peshawar al più presto, ma non c’è nulla da fare, sono irremovibili e dobbiamo tornare a Kabul.
Così si torna. E dopo un giorno passato a meditare sulla nostra situazione decidiamo che passeremo per Quetta a sud est e poi attraverso il passo di Bolan giù fino alla valle dell’Indo e poi a Karachi . Così dopo che Giovanni ha sistemato il suo passaporto con un lavoro di fino di scolorina e inchiostro partiamo per Kandahar.
Guidare fino a Kandahar è facile, la strada è diritta, si attraversa un deserto pietroso, solo cammelli e poche tende di nomadi,qualche villaggio,poi quando uno splendido tramonto colora il mondo con i suoi meravigliosi colori, rosso e arancio, indaco e verde, il motore improvvisamente si spegne. Bloccati ! Si sta facendo buio ! Grazie a Dio un autubus sgangherato sta arrivando da nord in direzione Kandahar. Lo fermiamo e chiediamo all’autista se ci può trainare fino alla città. Nessun problema, ci dice. Tira fuori una non troppo lunga ma spessa fune e via si parte.
Si sta facendo davvero buio e il maledetto bus sta andando troppo forte per i nostri gusti.
Bruno è salito sul bus e dal finestrino posteriore ci guarda con aria preoccupata circondato da facce di bambini e adulti sorridenti . Loro si stanno divertendo. Loro. I passeggeri se la stanno spassando un mondo e sono eccitati, continuano a ridere e a farci ciao con la mano ma Giovanni,che sta guidando è molto preoccupato, vanno troppo maledettamente veloce .Se dovessero frenare improvvisamente per qualsiasi ragione ci ritroveremmo a tamponarli rovinosamente !
Finalmente raggiungiamo la città sani e salvi, incredibile, ce l’abbiamo fatta, la nostra buona stella ci ha assistito.
Il giorno successivo, dopo avere avuto il motore riparato da un meccanico locale, ripartiamo appena possibile per Quetta in Pakistan. Attraversiamo la frontiera e nessuno ha nulla da eccepire sul passaporto, ci è anche andata bene che nessuno abbia perquisito il minibus . Le ragazze, una bionda e una rossa sono una bella distrazione, le guardie di frontiera continuano a sorridere e non riescono a smettere di guardarle.
Arriviamo a Quetta di notte, dopo avere perso la strada più volte nel buio, nel bel mezzo delle montagne, dove vediamo un sacco di campi militari recintati e con grandi cartelli di divieto di accesso e pericolo. Strade sterrate e polverose ma alla fine ce la facciamo.
Mangiamo qualcosa in un ristorante in città e poi a dormire, la giornata è stata parecchio faticosa.
Il giorno dopo lasciamo Quetta, che sembra proprio come una città inglese con tutte quelle scritte e insegne in stile Old English su negozi e magazzini. Attraverso il Bolan Pass continuiamo a scendere verso la pianura della valle dell’Indo, il mitico fiume delle prime civiltà hindustane della città di Harappa.E più scendiamo più il caldo ci avvolge. Cominciamo a disfarci delle nostre giacche e maglioni per la prima volta dopo mesi. Si iniziano a vedere le prime palme, la campagna diventa sempre più verde, vediamo piccoli corsi d’acqua che costeggiano le risaie, uccelli si posano sugli alberi verdi che costeggiano la strada e vediamo gente che indossa lunghe camice bianche e lungi. Persino il profumo dell’aria è cambiato, dolce e speziato adesso.
Siamo ai tropici ragazzi ! Ci siamo !
Pino Cino e altri 10
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