Sempre per la serie di Capodanno

Di capodanno me ne torna in mente un altro meno glorioso ma comunque degno di essere spennellato in questo dipinto biografico commissionato dai posteri.17 anni o giù di lì. Il Piper insopportabile come sempre quando c’era l’affollamento delle feste comandante che raccoglievano pariolini in giacca e cravatta alla caccia di gallinelle in libera uscita.Anche la musica scalava in qualità per cui alla notizia di una festa super dalle parti di Bagni di Tivoli non ce lo facciamo dire due volte e rimediamo macchine e passaggi.Pochi di noi avevano la patente di guida o l’età per averla, figuriamoci la macchina; ma anche quella volta ci riuscì di organizzare una sorta di convoglio con le tre o quattro solite Due Cavalli, le Erre 4, una topolino che stava sempre lì, Maggiolini e chissà quale atro pezzo di ferro dell’epoca.Ovvio che i posti a sedere registrati dai libretti di circolazione non corrispondessero mai ai sederi infilati dentro l’abitacolo.Proprio la Fiat topolino di cui sopra si accasciò dalle parti del Circo Massimo una sera in cui dal cimelio poi abbandonato in loco ne uscimmo in nove.Inutile domandarsi oggi come fosse possibile ma il segreto sta nella magia della parola “allora” e dei diciottanni.Alla villa a Bagno di Tivoli ci arrivammo ma già c’era stata una incresciosa sosta lungo la via. Le bottiglie che portavamo con noi si erano magicamente svuotate e ormai si trattava di trasformare quelle orride bevande, ci si abbassava fino alla Marsala all’uovo, in rigagnoli liberatori. Cosa di meglio di un ponticello dentro un qualche paesino nell’oscurità?Non so ritrovare il motivo che mi spinse a salire sulla spalletta e orinare nel buio.Ero già di molto cotto e le voci degli amici mi avvertirono di gente che veniva lungo il ponte. Mi chiusi i jeans e mi voltai a guardare i passanti che procedevano cercando di ignorarmi.Qualcosa nel loro imbarazzo mi infastidì per cui dritto in piedi su quel muretto presi a concionarli. Farfugliavo di quanto salutista fosse svuotare la vescica al momento giusto e non so quali altre corbellerie dicessi tra le risate divertite dei miei amici.Come ho detto ero ben cotto e gli altri bicchieri che mi scolai alla festa diedero il colpo di grazia: mi accasciai su un divano in quel salone piuttosto affollato e persi conoscenza.Aprii gli occhi che dalle larghe finestre velate di tende entrava già la luce del giorno. Chi ero? Dove andavo? Che volevo? Erano le domande che mi riempirono il cervello.Poi mi misi a osservare il mondo circostante e le domande si fecero più concrete e preoccupanti. Ai miei piedi sul tappeto giaceva una coppia di uomini dall’aria sfatta completamente nudi, semi abbracciati, uno con le mani abbandonate sul pene dell’altro.Eh già! Erano solo uomini in quella stanza, impegnati a carezzarsi, baciarsi e altro, più o meno spogliati.L’unico con gli abiti addosso ero io abbandonato su quel divano.Cosa ci facevo là?All’epoca della parola gay non c’era neppure il sentore: si andava da checca a frocio arrivando al massimo all’etichetta omosessuale per atteggiarsi a colti conoscitore.Tutti all’intorno assolutamente mi ignoravano impegnati come erano. Dovevo fare qualcosa ma non sapevo dove fossi e come fossi capitato lì.Un post sbronza che avanzava brutale. Decisi di tirarmi su e cercare una porta. La trovai scavalcando corpi e gruppetti avvinghiati. Sulla soglia mi imbattei nel Di Conza, che mi disse: “Siamo venuti a prenderti. Ce ne eravamo andati ma poi ci siamo accorti che eri rimasto qui. Dai… annamo.”Credo che avrei voluto baciarlo ma il gesto sarebbe stato troppo in tema con l’ambiente, così uscimmo e ci infilammo in macchina dove gli altri aspettavano ridendo della mia disavventura, di quel modo inusuale di trascorrere la notte di capodanno. Una delle peggiori.

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