“Le parapluie”

“Le parapluie”
Esco di casa, con la mascherina, un paio di guanti gialli, due borse piene per mano.
Dall’altro lato della strada sono allineati i cassonetti per i vari tipi di rifiuti. In quell’istante arriva un suv nero enorme, alla guida una giovane donna bionda, si ferma, quasi bloccando i freni davanti ai cassonetti. Scende un uomo, si guarda intorno, il suo sguardo per un istante incrocia il mio, apre il portellone dietro, afferra tre borsoni ed un cilindro scuro, va dietro il cassonetto giallo della carta, e li butta dentro. Alza lo sguardo, mi fissa di nuovo, prima di risalire, il suv riparte accelerando in una strada deserta… sono perplesso, ha buttato dentro i borsoni pieni senza svuotarli… vado a guardare e dai borsoni aperti si intravedono scatolame, bottigliette di plastica, vasetti in vetro, banane annerite… che tristezza! Sono arrabbiato. Hai un suv, credo un Hummer, e ti credi onnipotente, uno dei tanti maleducati incivili, cafoni che abbruttiscono questa società… non hai nemmeno il coraggio di farlo dove abiti!… Fra i due cassonetti, appoggiato, vedo quello che prima, mi era sembrato un cilindro, in realtà è un grande ombrello nero, con un robusto manico in legno. Lo prendo e resto sorpreso dal suo peso. Lo apro e noto la grossezza delle costine rivestite di bambù, un brivido mi percorre, riaffiorano fantasmi del passato. Turbato, torno a casa con l’ombrello, voglio esaminarlo attentamente. Ha quattro costine più robuste delle altre, sul manico ha una tacca, un difetto forse… Non voglio credere ai miei occhi, è l’ombrello dei miei genitori! che usavo con Giselle, quando eravamo piccoli, avevamo otto, nove anni. Non può essere! dopo 64/65 anni, a quasi 2000 km di distanza. Questo modello era costruito prima della guerra, era sempre appeso nella baracca degli attrezzi e lo usavano raramente, solo nell’orto, quando pioveva e fungeva da ombrellone. Aperto era più di un metro e mezzo. Pensieroso, vago con lo sguardo fra il disordine della stanza, foto, computer, monitor, sculture, quadri, libri ovunque, armoniche varie, cassette di legno recuperate a NaturaSi piene di ogni cose… Appoggio le mie mani sugli occhi, la fronte, mi ripeto che sono coincidenze, solo coincidenze…
Chi era la coppia del Suv, il tipo che incrociò due volte il mio sguardo, perché si erano fermati proprio qui a scaricare quell’ombrello? Coincidenze? Casualità?
Anni fa avevo conosciuta una donna con il suo compagno, a casa di un amico filosofo, sentivo per lei una forte attrazione, ne ero affascinato. Nella sola, maniera possibile, via mail la corteggiai . Ma forse, per lei, era troppo!… mi raccontò del suo mondo da bambina ed io gli raccontai di Giselle, dell’ombrello…
Cerco negli Hard disk le nostre ultime email…
Eccole, la mia risposta a una sua, irritata, infastidita, forse divertita…
– Buongiorno Renola, mi piace il tuo avversativo “ma”…. lo trovo divertente!!! hai ragione sono spesso un’impertinente, nelle relazioni, in tante altre cose, una lista molto lunga, se hai voglia, ne possiamo parlare….
– Hai mai pensato come sarebbe la nostra società senza l’impertinenza del 900, dall’arte alla società, la scienza, l’amore….
– Pensavo a voi come una coppia, tipo, Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir….
– Volevo dedicarti una canzone di Georges Brassens “Fernande” che piaceva molto a Jean Paul e che Simone trovava divertente, ma è anche così lieve ed impertinente… da essere scontata!!!…. (c’é anche una versione più recente di Carla Bruni)
– Invece ti dedico un’altra canzone “Le Parapluie” è la storia di una donna che cammina sotto la pioggia ed incontra un uomo con un ombrello…
GISELLE
– Quando ero piccolo abitavo in una regione del nord, quella cantata da Jacques Brel “Le plat pays” dove pioveva sempre. Mi piaceva camminare attorno al quartiere, sotto la pioggia quasi sempre con Giselle, una bambina della mia età, che abitava in una piccola casetta vicino alla prateria. Usavo gli stivali di mia sorella dieci anni più grande, e Giselle quelli di sua madre, con un grande ombrello nero camminavamo delle ore attorno al nostro quartiere, ad ogni giro fingevamo di darsi il cambio, ma poi in realtà, per il peso, lo reggevamo assieme. Facevamo tanti progetti, non sapevamo cosa fosse all’amore ma ci volevamo bene. Pochi o nessuno volevano giocare con Giselle, era la famiglia più povera di tutto il quartiere, il padre era un violento, era dentro e fuori dalla prigione, la madre con dignità faceva qualsiasi lavoro per sopravvivere… il primo aquilone l’abbiamo costruito assieme, e conoscevamo tutti i nidi delle praterie fino dove cominciava la foresta. I miei compagni di scuola mi prendevano in giro, mi disprezzavano perché giocavo con Giselle, la più povera, mal vestita, un pò selvaggia con un padre ubriacone, poco di buono, ed anche perché avevo preso le sue difese più di una volta. Un giorno, dovevamo andare a prendere delle salamandre verdi in un stagno, pioveva ed attraversando la strada correndo per raggiungermi, con il cappuccio della cerata in testa, non si è accorse dell’arrivo dell’auto del lattaio; fu scaraventata dall’urto, cade in una pozzanghera, con il viso rivolto verso il cielo, un sorriso “lieve” bagnato dalla pioggia…. giorno dopo giorno sentivo che non sarei più stato lo stesso, e come se il mio cuore si fosse indurito, continuai altri giorni a camminare sotto la pioggia, volevo morire ed accusare con un biglietto della mia morte il lattaio per farlo andare in prigione…. poi costruii un altro aquilone più grande, poi ancora un altro, un altro, un altro, un altro, un altro…..
– Pochi anni dopo, un giorno di pioggia, verso sera, mio padre arrivò con un grande pacco avvolto in un vecchio impermeabile tutto bagnato, e sul tavolo della cucina fra lo stupore di mia madre e mia sorella lo apri, era una radio enorme. Quella sera stessa sentimmo la voce che veniva ed andava dall’Italia, la prima volta alla radio. Pochi giorni dopo, un pomeriggio, solo a casa ascoltai “Le Parapluie” di Brassens “Un petit coin de paradis / Contre un coin de parapluie…” il cuore gonfio e le lacrime infinite….
In questo periodo di quarantena, si aprono i cassetti dei ricordi, i film della nostra vita si riavvolgono. Sfioro con le ditta l’ombrello, quasi implorando un dialogo con lui, se potesse raccontarmi la sua storia, da quale spazio-tempo è riemerso? Fuori il tramonto è rosa.
Ricordo l’anno scorso, quanti tramonti rossastri si sono visti su FB, ogni sera era un festival di colori fiammeggianti, e chiunque con lo smartphone poteva catturare quella tavolozza di colori forti e postarla… pochi giorni fa parlando al cell. con l’amico Silvano l’asinaro, mi raccontava la conversazione avuta con i suoi vicini di casa, una giovane coppia di ricercatori del CNR… , che i tramonti rosso fuoco tanto ammirati, commentati, non erano un buon segno. Lo sono invece i tramonti rosa pastello di questi giorni che indicano meno inquinamento atmosferico e una migliore qualità dell’aria.
Ma anche questi, chiusi in casa, non a tutti è possibile vederli…
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