Sergio Baldi
24 04 2020
il mio primo viaggio in india parte 8
Eccomi sul bus per Herat, non era proprio un magic bus, anche se più scomodo per certi versi molto ma molto più affascinane, era uno di quei bus vecchissimi, tutti colorati, pieni all’inverosimile; con bagagli ed anche persone sedute sul tetto, il viaggio durò un giorno ed una notte, ci fermavamo solo per espletare i bisogni fisiologici e per adempiere ai doveri religiosi, le cinque preghiere, in quel momento il bus parcheggiava sul ciglio della strada e tutti, uomini e donne scendevano e rigorosamente divisi, uomini da una parte e donne dall’altra, stendevano i loro tappetini da preghiera e, rivolti verso la Mecca, recitavano le loro preghiere. Durante qualcuna di queste soste in quei rari ciaj shop che incontravamo mangiavo qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa mi offrissero, così sceglievo solamente a vista, alzando il coperchio e cercando di capire cosa ci fosse dentro. Faceva un caldo mostruoso, attraversavamo il deserto che c’è al confine tra Afganistan e Pakistan poi dopo una sosta a Kandahar ci ridirigemmo a nord verso Herat, ma malgrado ci allontanassimo dal deserto il caldo era incredibile, e per me ancora debole dai postumi della mia epatite (quella che era una volta chiamata itterizia) fu un vero esercizio di resistenza, comunque anche se a fatica arrivai a Herat, li rimasi solo una notte per cercare di riprendermi un poco e dormì di un sonno pesantissimo, al mattino trovai dei piccoli bus che si dirigevano verso il confine, questi erano dei piccoli van che facevano la spola tra il confine con l’allora Persia, era l’unica alternativa al taxi per andare al confine.
Mi fece una certa impressione ritrovarmi ad attraversare quel confine che molto emozionato, ma anche un po’ insicuro, avevo attraversato pochi mesi prima, ora mi sentivo diverso e completamente a mio agio in quei posti, comunque lasciare l’Afganistan mi commosse, quei posti e quelle persone erano entrate nel mio cuore, il loro agire da una parte molto naive ma d’altra fiera ed orgogliosa mi aveva molto colpito e mi rendevo conto che se anche ero ancora distante dall’Europa stavo attraversando non solo il confine tra questi due stati, ma anche un confine temporale, in Afganistan il tempo era fermo o almeno scorreva molto lentamente, ancora si girava con i carretti, non c’era l’elettricità salvo in rari casi, le divise dei poliziotti erano di colori e fogge diverse, insomma sembrava di essere ancora nel 1800, di là dal confine, nella Persia dello scia Reza Palevi mi attendeva un mondo assolutamente filoamericano, si cominciava e respirare l’aria dell’occidente, in Afganistan le costruzione del confine e le casamatte dei soldati erano di fango e paglia, di là cemento armato e acciaio, i poliziotti indossavano uniformi stirate pulite, con in testa il cappello a cinque punte degli agenti americani ed i RayBan agli occhi, insomma stavo dando l’addio a quell’oriente che avevo tanto sognato e che avevo anche se solo parzialmente, conosciuto.
Così dopo essere sceso dal bus ed aver timbrato col visto di uscita il passaporto mi avviai a piedi verso il confine vero e proprio, avevo una piccolo borsa a tracolla con dentro il mio misero bagaglio, un pantalone di ricambio e qualche maglietta, un asciugamano e qualcosa per l’igiene personale, ed un mantello che usavo come coperta cuscino, null’altro. Per arrivare alla dogana si passava attraverso un lungo corridoio dove ai lati c’erano delle vetrine in cui erano esposti i reperti degli ultimi sequestri di droga fatti in quella frontiera, c’erano sandali tagliati in due, lattine di succhi di frutta aperti, filtri di macchine finti, libri intagliati all’interno, tutto il campionario della fantasia dei piccoli contrabbandieri, ed affianco ad ognuno di questi oggetti c’era una targhetta che diceva la provenienza del contrabbandiere, la quantità di droga, e gli anni che gli erano stati inflitti; cosi passando attraverso quel corridoio comunque, anche se non avevi nulla di illegale con te, entravi in uno stato di nervosismo, vedevi che alcuni dei viaggiatori occidentali tornavano indietro e si liberavano di pacchetti ed oggetti vari che avevano contenuto qualcosa da contrabbandare, quelli come me che erano a piedi venivano poi fatti passare attraverso la dogana vera e proprio dove gli agenti di polizia effettuavano la perquisizione personale e del bagaglio, e li constatai la estrema professionalità di quegli agenti, ti perquisivano con una sola mano, l’altra era posata sul tuo cuore per avvertire un qualsiasi cambiamento del battito dovuto a forte tensione o paura.
Comunque non avendo nulla di cui preoccuparmi attraversai la frontiera in pochi minuti e con il timbro d’ingresso sul passaporto, di nuovo un piccolo van per arrivare alla cittadina più vicina. Mentre salivo vidi arrivare un magic bus dall’Afganistan e tra i passeggeri riconobbi Gianna, la ragazza di Firenze che avevo conosciuto a Goa, stava tornando anche lei in Italia, ci salutammo sperando di incontrarci di nuovo per passare un po’ di tempo insieme. Arrivai alla città più vicina: Taybad da cui poi presi di nuovo un mezzo pubblico per Mashad, e qui mi resi conto che i prezzi di tutto, dal cibo ai trasporti, ai piccoli dormitori dove oramai alloggiavo erano molto ma molto più alti di quelli a cui mi ero abituato, i miei pochi dollari andavano via come l’acqua, comunque avrei trovato una soluzione. A Mashad trovai una sorta di campeggio\parcheggio e lì passai la notte, la mattina successiva al piccolo ciaj shop di questa sorta di campeggio conobbi un ufficiale olandese che faceva parte di una spedizione di supporto e stava tornando a casa, aveva la sua macchina privata ed accettò di darmi un passaggio fino a Teheran. Bella botta di culo.
Mi lasciò davanti all’Amir Kabir Hotel, lo stesso posto dove tre o quattro mesi prima mi ero fermato ed avevo cambiato bus, adesso era primavera avanzata, faceva caldo, io non ero più così meravigliato da quello che vedevo intorno a ,me, mi consideravo oramai un veterano, venivo da Delhi in autostop e viaggiavo da solo oramai da mesi, ed avevo oramai fatto più di metà strada. Ma più mi avvicinavo a casa più ero stranito, oramai intorno a me non c’era più il sapore dell’oriente, il fascino di quel mondo che avevo tanto amato, certo anche l’Iran era splendida, ma io la percorrevo sulle strade principali e non riuscivo a venire a contatto con nessuno, non avevo una lira e mi era difficile fermarmi per conoscere meglio quel posto, avevo deciso di fare la strada più battuta dai viaggiatori da e per l’oriente per avere più facilità di trovare un passaggio. Adesso ero davanti all’Amir Kabir e mi guardavo intorno per decidere le prossime mosse, se c’era qualcuno a cui chiedere un passaggio o cose del genere; mentre bighellonavo di fronte all’entrata dell’hotel ecco che arriva un magic bus, incuriosito mi avvicino e dall’abbigliamento e dallo sguardo meravigliato capisco che veniva dall’occidente, cercavo di capire se questo avesse potuto significare qualcosa di positivo per me; mentre i passeggeri cominciavano a scendere riconosco tra loro Sandrino, un ragazzo di Roma, monte sacro per la precisione che frequentava il bar Tortuga ed soprattutto il Piper Club, non si può dire che fossimo amici, ma erano parecchi anni che ci incontravamo ed avevamo amicizie in comune, ci salutammo ed incominciammo a parlare, veniva dalla Svezia dove aveva lavorato per un po’ e poi con i soldi messi da parte aveva intrapreso il “Viaggio”, gli
raccontai del mio; scambiammo opinioni e notizie sui comuni amici romani e sulla situazione politica in generale tutto davanti ad un piatto di riso ed un kebab che aveva deciso di offrirmi, lui era pieno di soldi, almeno secondo il mio metro di quel momento, poi ci dividemmo, io alla ricerca di un passaggio e lui di un posto per passare la notte, al momento dei saluti mi offrì 10 dollari come
aiuto per il resto del mio viaggio, come potete immaginare li accettai molto volentieri, me ne erano rimasti solo 10 dei miei, avevo raddoppiato il mio capitale.
Davanti all’hotel feci conoscenza con un inglese , un uomo sui 45 anni, mi disse che faceva lo scrittore, ma non ricordo affatto il suo nome, era in compagnia di una ragazza molto giovane, francese mi sembra, vestita come era uso vestire a Goa, un paio di pantaloni pigiama di cotonina ed una canottiera pure di cotonina e null’altro; andavano anche loro verso occidente ed erano come me alla ricerca di un passaggio; decidemmo di prendere un taxi verso la periferia occidentale di Teheran dove cominciava la strada verso Tabriz e da lì verso il confine turco, era da poco passato l’orario del pranzo e la strada era molto frequentata da camion, ci presero abbastanza facilmente, viaggiavamo sul cassone dei camion, e dormimmo in un piccolissimo hotel, fu abbastanza divertente, arrivati a Tabriz ci dividemmo, lo scrittore inglese si dirigeva a sud e di li voleva andare verso la Siria, rimanevo con la ragazza, le consigliai di prendere un bus da lì in poi, non volevo
viaggiare in compagnia, per di più di una sconosciuta, mi sarei sentito legato, lei disse che non aveva soldi per il bus, io certo non la potevo aiutare, insistette per venire con me ed io non potevo abbandonarla in mezzo alle montagne dell’Iran, così accettai di continuare la successiva mattina il viaggio con lei.
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Aspetto con piacere il seguito.
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