Il mio primo viaggio in India IX

Sergio Baldi

29 04 2020

il mio primo viaggio in india parte 9

All’uscita di Tabriz si fermò un camion guidato da un quarantenne minuto, dall’aspetto di padre di famiglia con i soliti baffoni, ma che non gli davano affatto l’espressione severa e corrucciata che spesso hanno gli uomini mediorientali, il panorama era strepitoso, montagne brulle con ancora neve, gole profonde, fiumi e ruscelli gonfi di acqua che scendeva da quei monti, verso l’ora di pranzo arrivammo al confine, così noi scendemmo e passammo la dogana, i camion dovevano espletare varie formalità. Passato il confine noi ci fermammo ad un cjai shop lungo la strada, dopo un po’ arrivò il nostro camion e con lui si fermarono altri camion, e così capimmo che il nostro mezzo faceva parte di una piccola colonna di 4 camion che viaggiavano insieme, il nostro autista pareva essere il capo, gli altri erano tutti molto giovani, decisero che ci avrebbero offerto il pranzo, spezzatino d’agnello con bamia al sugo, lo ricordo molto bene, i ragazzi bevevano birra, molta. Ci rimettemmo in cammino il sole stava tramontando, la strada scorreva bene e viaggiavamo tranquilli, si era fatta sera ed ad un certo punto il nostro autista si fermo e ci spiegò che doveva comprare le sigarette, lasciò il motore acceso e scese dal camion; sentimmo riaprire lo sportello ed ecco mettersi alla guida uno dei ragazzi che inserita la marcia si avviò, cercai di chiedergli cosa succedeva, ma lui non parlava inglese e così non riuscii a capire nulla di quello che mi disse, eravamo seduti davanti con io in mezzo e la ragazza vicino allo sportello, per evitare contatti e tentazioni, ad un certo punto il nostro camion lasciò la strada principale e dopo pochi centinaia di metri si fermò in una radura vicina ad un greto di un fiume, gli altri camion lo seguirono e si disposero a raggiera intorno al nostro, ci fecero scendere dal camion e lì fu evidente quello che volevamo, la ragazza francese era terrorizzata e si nascondeva dietro di me, io dovevo fingere sicurezza ma ero terrorizzato anch’io, ero molto più alto dei ragazzi turchi ma ero convalescente da un epatite, pesavo 70 kili scarsi ed non ero certo pronto e capace ad affrontare una lotta contro 3 ragazzi, cominciarono a strattonarmi con l’intento di dividerci, la ragazza urlava ed io tentavo con spintoni di tenerli lontani, non so quanto avrei resistito ancora prima di venir colpito, ma ad un certo punto le luci di un quarto camion illuminarono la radura, ne scese il nostro autista che con un paio di spinte ed molte urla riportò i ragazzi alla ragione, ci rifece salire sul suo camion ed urlando ancora contro i ragazzi ripartì, arrivammo in un piccolo villaggio che era notte fonda, c’era un piccolo ciaj shop e ci fermammo lì, la ragazza era sconvolta e piangeva, ma era incolume,

Io tremavo dalla rabbia e dall’impotenza, il nostro camionista ci offrì un ciaj e qualcosa di dolce da mangiare; mentre eravamo lì a rifocillarci ecco arrivare di nuovo i ragazzi ed entrare nel ciaj come se nulla fosse successo, in quel momento ebbi una crisi di nervi, cominciai ad urlar loro tutte le parolacce possibili che ricordavo, gli tirai il bicchiere che avevo in mano e due sedie che erano lì vicino, avevo bisogno di scaricare tutta la tensione accumulata, il saggio camionista li prese e li fece allontanare, ci salutò e scomparve nella notte, noi rimanemmo per un po’ a ripensare a tutto quello che era successo ed alla fortuna che avevamo avuto, il saggio camionista ci aveva salvato sicuramente da uno stupro e forse anche da qualcos’altro, eravamo ancora vivi, sani ma certamente scossi, molto scossi; il proprietario del ciaj shop si offri di darci un stanza per dormire quella notte, non dormimmo molto, la passai quasi tutta a tranquillizzare la ragazza francese ed a calmarmi, poi crollammo ambedue, la mattina dopo al risveglio lei era molto più tranquilla, facemmo colazione ed un giretto per il piccolo villaggio, in lontananza si vedeva la sagoma del monte Ararat, anche lì si sentiva l’odore della natura selvaggia che ci circondava, era una giornata fresca ma bella, dopo quella serata era proprio quello che ci voleva, un inno alla vita ed

all’ottimismo; al momento di rimetterci in cammino lei mi disse che non se la sentiva di rimettersi a fare l’autostop e così l’accompagnai a fare il biglietto per Erzorum, la prima città importante che avremmo incontrato e di lì poi avrebbe preso il treno per Istambul e poi a casa. Per me fu un sollievo sapere che avrei ricominciato a viaggiare da solo, la salutai e ripresi il mio autostop:

La Turchia dell’est è una regione molto montagnosa ed in quei tempi molto arretrata, la

strada era veramente in cattive condizioni ed il traffico molto scarso, così prendevo brevi passaggi quasi esclusivamente da piccoli camioncini che trasportavano merce da un villaggio ad un altro, facevo lunghi tratti a piedi , inseguito da cani pastori e da bambini urlanti, per mangiare mi arrangiavo, dopo aver comprato un pane approfittavo dei campi di pomodori ai lati della strada, oppure la sera mi fermavo in un ciaj e mangiavo il piatto unico che offrivano e mi ci fermavo a dormire; come ho detto viaggiavo quasi sempre sui camioncini, spessissimo sul cassone tra la merce, beh era una sensazione bellissima: in piedi appoggiato alla cabina, con il mio mantello addosso mi guardavo intorno e malgrado il panorama fosse brullo ed arido la sensazione di libertà era difficile da gestire, stavo tornando a casa si, e stavo anche terminando questo mio viaggio meraviglioso, ma non ero triste o preoccupato certo più mi avvicinavo e più mi si affacciavano alla mente i problemi che avrei affrontato una volta arrivato a casa: dove dormire, come trovare i soldi per vivere, cosa avrei fatto, sarei riuscito poi a prepararmi per una nuova avventura di viaggio? Ma questa era la vita che avevo scelto di vivere in quel momento e non mi creavo troppi problemi, l’India mi aveva insegnato a vivere alla giornata, e con l’incoscienza di quei periodi avevo imparato che si sarebbe trovata certo una soluzione. Certo le domande erano tante, ma da lì ed in quel momento era difficile dare delle risposte, quindi cercavo di accantonare questi grigi pensieri; piano piano arrivai e passai Erzincan, Sivas, Ankara e da lì l’ultimo passaggio per Istabul; ricordo che era mattina quando attraversai il nuovo ponte sul Bosforo: il Sultan Mehmet Bridge, che forte impressione mi fece, ero seduto in cabina con un giovane camionista e ebbi assolutamente la sensazione che stavo abbandonando l’oriente e stavo rientrando in Europa, quel ponte non univa solo le due parti di una città, ma univa o divideva due continenti.

Arrivato ad Istambul con i miei ultimi 10 dollari per prima cosa andai al Pudding Shop, c’ero passato all’andata per conoscere i possibili modi per arrivare in India, ed ora da reduce cercavo un passaggio per l’Italia, su di una parete al Pudding Shop c’era una bacheca dove chiunque poteva attaccare un biglietto, chi con una proposta di scambio o vendita di qualche oggetto, chi alla ricerca di consigli e passaggio da e per l’occidente, chi solo per salutare o per avere notizie di amici persi lungo la strada. Fu la prima cosa che andai a controllare e con mia grande sorpresa e piacere ci trovai un biglietto per me, era di Gianna, era anche lei a Istanbul e voleva sapere mie notizie, mi diceva che sarebbe passata di lì la sera fino al giorno della sua partenza, mi ripromisi di farmi trovare la sera stessa, intanto presi alloggio in una misera locanda in un vicolo dietro al Pudding Shop, l’unica che potevo permettermi viste le mie finanze, dormivo in una specie di dormitorio, eravamo in sei, le lenzuola erano così sporche che le sostituì con il mio mantello ed infilai il cuscino in una delle mie magliette sporche, meglio la mia di sporcizia che chissà cosa altro, sognavo una doccia calda, ma l’acqua calda rimase un sogno e l’acqua era razionata, solo pochi minuti, vi lascio immaginare le condizioni dei bagni comuni….. non feci amicizia con nessuno dei miei coinquilini, non erano personaggi positivi: un paio di loro si facevano le pere, ed un altro fumava oppio in continuazione ed era sempre a letto. Dovevo adattarmi, non avevo nessuna altra possibilità, bighellonai un pò per il gran bazar che la volta precedente non avevo visto, era troppo freddo per passeggiare per istambul, e verso sera mi diressi di nuovo al pudding shop,

 

 

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