24 aprile 2020
il mio primo viaggio in India parte 3
Continuando la strada verso il confine cominciammo la discesa, la strada scendeva attraverso una stretta gola a tornanti circondata da alte cime, il tutto era coperto di neve e dove la neve cominciava sciogliersi ciò che spuntava era un terreno roccioso senza un filo di verde, completamente brullo, chiesi come si chiamasse quella zona e così seppi che stavamo discendendo attraverso il Kyber Pass, la tristemente famosa via di comunicazione con l’india, dico tristemente
famosa perché nel periodo in cui gli inglesi colonizzarono quella parte del mondo tentarono più volte di estendere le loro colonie anche all’Afganistan e a meta del diciannovesimo secolo combatterono contro di loro in varie guerre, il cui esito fu sempre uguale, gli afgani non furono sottomessi, a volte lasciarono che gli inglesi arrivassero a Kabul, ma poi trovarono sempre il modo di ricacciarli indietro, e molte di queste battaglie si svolsero proprio nella zona del Kyber Pass, una di queste battaglie fu molto cruenta e portò alla completa distruzione del corpo di spedizione comprese tutte le famiglie dei soldati e dei servitori, a memoria di questo lungo la strada ci sono incastonate nella roccia le lapidi a ricordo dei vari battaglioni dell’esercito inglese che lì furono annientati ed erano molte!
Alla fine di questa discesa era cambiato di nuovo il tempo: eravamo in primavera; cambiato il tempo e cambiato anche lo stato, eravamo arrivati in Pakistan, Peshawar la prima città che incontrammo, eravamo nella valle dell’Hindu, una zona molto fertile e affianco alla strada si stendevano campi e campi coltivati ad ortaggi e frutta, tutti ben irrigati e ordinati, l’arido panorama afgano sembrava lontano anni luce. In Pakistan decidemmo di non sostare oramai eravamo vicini alla meta ed in tutti c’era un gran voglia di affrettarci, quindi da Peshawar verso Lahore una delle vecchie capitali delle colonie inglesi e di lì al confine dell’India.
India ero arrivato, dopo 20 giorni circa di viaggio ero arrivato in India, erano anni che lo desideravo e finalmente c’ero riuscito ero in India, avevo attraversato un quarto del mondo via terra spendendo pochissimi soldi e conoscendo una gran quantità di persone e di posti, avevo cambiato completamente le mie abitudini alimentari, non avevo programmi e non avevo limiti di tempo.
La prima città indiana in cui ci fermammo fu Amritzar, il ragazzo tedesco che viaggiava con noi si offri di farmi da guida per visitare il tempio più importante della religione Siks, i Siks sono di una religione che deriva dall’induismo, il guru Ananda fondò questo tempio dove almeno una volta nella loro vita i Siks devono venire; si chiama il Tempio d’Oro ed è composto da un laghetto quadrato circondato da scalinate tutte di marmo bianco molto ampie e al centro del laghetto una piccola isola in cui è conservato il primo documento scritto dei Siks; prende il nome di Tempio d’Oro perché il tetto della costruzione dell’isola è coperto da lamelle d’oro. In questo tempio tutti i viandanti ed i poveri possono venire a riposare ed hanno la possibilità di avere un piatto di riso gratis. I Siks erano considerati dei guerrieri ed ancora oggi la maggior parte degli alti gradi dell’esercito indiano sono dei Siks, erano Siks anche le guardie del corpo di Indira Gandhi che la uccisero negli anni ottanta, la uccisero per vendicarsi di un irruzione della polizia nel loro tempio di Amritzar. I Siks per la loro religione debbono indossare sempre un bracciale, un piccolo pugnale, un pettinino, non debbono mai tagliarsi barba e capelli ed indossare il turbante, quello che i libri di
Salgari ci hanno fatto credere fossero il copricapo di tutti gli indiani. Mi piacque molto, restai affascinato dalla ricchezza del posto e dal fatto che tutti, di qualsiasi religione fossero, potessero entrare e rimanere quanto volessero, e che nessuno approfittasse in modo esagerato di questa ospitalità
Piano piano mi stavo adattando all’India, alla sua moltitudine di persone, ai suoi colori, ai suoi odori -anche cattivi- e tutto questo mi piaceva, si mi piaceva molto, ne ero affascinato, mi sentivo libero e cosa strana mi sentivo a casa, era come se in quel posto ci fossi già stato,
Arrivammo così ad Nuova Delhi, lì le strade del gruppo si dividevano, Franz con la ragazza americana e gli altri due autisti si sarebbero diretti verso il nord per arrivare in Nepal e vendere i loro mezzi; dopo qualche giorno la ragazza zelandese con la sua amica sarebbe andata verso Calcutta e di lì continuato il suo viaggio di ritorno verso la Nuova Zelanda, la nostra separazione non fu affatto traumatica, ci eravamo fatti compagnia per un po’ senza tanti coinvolgimenti; io insieme alla coppia norvegese ed all’esperto tedesco decidemmo di andare a sud, Bombay e poi di lì a Goa, avevo voglia di mare.
Rimanemmo a Delhi qualche giorno, ed io approfittai per fare qualche giro: andai a Old
Delhi, visitai il Red Fort, un forte reggia che era stata la dimora degli imperatori delle dinastia Moghul che governò l’india per diversi secoli, e che poi divenne la residenza del governatore inglese delle colonie; gironzolai per i vecchi quartieri adiacenti, quartieri fatti di strettissimi vicoli e di casupole, di negozietti bui ma pieni di vita, nelle strade già intasate di pedoni giravano poi mucche scheletriche a cui era permesso fare quello che volevano, a volte decidevano di sdraiarsi in mezzo alla strada e nessuno le scacciava via, mangiai in tutte le baracchine che incontravo, cibo di tutti i tipi, piccanti e dolcissimi; in India lo street food non è una moda degli ultimi anni, ma fa profondamente parte della cultura, e per gli indiani a volte è l’unico cibo che riescono ad assaggiare; mi stavo piano piano inserendo, abituando a quel mondo così diverso, ma che continuava sempre più ad affascinarmi.
Dopo qualche giorno di questo bighellonare in giro decidemmo con i miei compagni di viaggio che era ora di muoversi e così prendemmo il treno per Bombay.
Quello fu un viaggio nel viaggio: i treni in india sono un mondo a parte, si dice che ci sono milioni di persone ogni giorno che viaggiano attraverso il paese ed i treni sono quasi sempre affollatissimi, questi treni attraversano il paese in lungo ed in largo e spesso i viaggi sono lunghi alcuni giorni, solo la partenza è in orario e ritardi di alcune ore sono nella norma, per fortuna avevamo con noi l’esperto tedesco il quale seppe destreggiarsi attraverso le biglietterie e così ci ritrovammo con delle cuccette prenotate, passai le prime ore del viaggio incollato al finestrino., ma non si riusciva a vedere molto, girando per i vagoni mi resi conto che le porte del treno che davano all’esterno erano sempre aperte e che se volevi potevi addirittura sederti sui gradini senza che nessuno dicesse nulla, così approfittai di questa opportunità e mi sedetti davanti a quel televisore a colori; il treno viaggiava molto lentamente e mi permetteva così di osservare la campagna e i posti che attraversavamo, le persone che lavoravano vicino alla ferrovia; quello che mi colpì di più furono i colori, erano presenti ovunque, nei camion che sorpassavamo, nei bus carichi all’inverosimile ed nei vestiti delle persone, finora a Delhi, in città, c’erano molte persone vestite all’occidentale, le donne anziane portavano i sahari, ma gli uomini ed i ragazzi indossavano magliette e pantaloni, qui attraversando le campagne e andando verso sud, verso il caldo attraverso zone più povere ed arretrate del paese i vestiti tornavano ad essere quelli della tradizione, quelli dei tempi delle colonie inglesi: le donne con sahari di tutti i colori, potevi distinguere quelle di famiglie ricche dalle più povere dal tessuto di quei sahari, di seta le prime e di semplice cotone od ancora più semplice di poliestere le seconde, gli uomini tutti indossavano il longii cioè un telo avvolto intorno
ai fianchi perlopiù bianco ma anche colorato, e quei pochi che indossavano scarpe avevano dei semplicissimi sandali.
Il treno impiegò circa quaranta ore per arrivare a Bombay! non ci restammo molto tempo, alloggiavamo in un alberghetto per indiani vicino alla stazione, io feci un passaggio all’ufficio postale per vedere se c’era qualche messaggio di Pino; allora non c’erano ne internet ne i telefonini quindi i messaggi si lasciavano alle poste, nelle casella di “posta restante” e dovevi passare a controllare se c’era qualcosa per te:; io trovai un messaggio di Pino di qualche settimana prima che mi diceva dove e come potevo raggiungerlo a Goa.
Era partito anche lui con Carmen pochi giorni dopo di me, ma lui aveva viaggiato in aereo ed era già al mare.
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Questo me lo sparo dopo pranzo
Ancora, ancora dai…
ne parlerai ? testimonianza di…
si certo , più avanti
Cavoli ma che belli!
detti ” i fanatici”
Sergio, eri bersagliere, non lo sapevo! bella foto cmq!
foto fatta a Jaipur con magica borsa
ma sei tu quello seduto ?
ovvio che si
l’altro è troppo bello per essere pino! hahahha
a scimunitoooo
ma che bel figliolo
grazie! bello, ancora, ancora!….
bel racconto grazie
Ma che meraviglia di racconto!!! Sembra di essere li e di viaggiare con voi!!!
daje Sergio, facce sognà!
questa parte della storia è finita per il resto vedremooooo
Belli tutti e due
grazie
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