Goa 37

Goa 37

Un’amica curiosa mi chiede se in tanti anni di Mykonos non mi sia mai capitata un intercorso gay o comunque alcuna tentazione omosessuale. “Soltanto in ritardo. Quando non ero più sull’isola o troppo avanti con gli anni per pensare di mettermi in gioco.”Ho riflettuto via via su quanti rapporti solidi e soddisfatti mi ero visto sfilare intorno ma se frugo cercando il ricordo di una tentazione anche solo di un momento non ne trovo. Un ragazzino venutosi a tatuare un’aquila sulla pancia poco sotto la cintura e il suo continuare a spingere verso il  basso i calzoni che gli avevo fatto slacciare è l’immagine più prossima a una nudità maschile che mi si propone.
“Vuoi abbassarli del tutto per farmi vedere l’uccello? che vedevo bello duro sotto il tessuto.
Glielo chiesi bruscamente interrompendo il lavoro e avevo un fare scocciato che subito lo dissuase.
Ripresi a lavorare e notai come della sua erezione non ci fosse più traccia. Qualche giorno dopo passavo per un vicolo e percepii un passo affrettarsi dietro di me e subito due mani dietro di me a coprirmi gli occhi e una voce ridente fare: “Bhùù!”
Mi voltai ed era il ragazzino greco del tatuaggio. Gli sorrisi anch’io e chiesi come procedesse la cicatrizzazione. Tutto bene poi con due lacrime che apparvero a inumidirgli le ciglia sussurrò: “L’altro giorno ho sperato proprio che avresti fatto l’amore con me.”
Gli sorrisi e gli spiegai che non l’avevo mai fatto con un uomo e che non ero intenzionato a farlo.
Con fare biricchino mi disse: “Prometti che se sceglierai di con un uomo lo farai con me?”
Lo rassicurai e mi capitò di incontrarlo più volte lì in città e negli anni seguenti era uno scambio di sorrisi senza aver più occasione di parlare.
Ovvio che nell’isola dei Gay di uomini che davano spazio alla parte femminile del loro essere ne incontravo continuamente, e devo dire per lo più piacevoli, talvolta meno. I due medici belgi, uno ortopedico, l’altro dentista ancora li ricordo per una burla che feci loro. Identica rosa sulla caviglia e finito il lavoro gli confessai che dei tatuaggi ero ben soddisfatto, perfetti entrambi ma uno mi era riuscito meglio dell’altro.
“Il mio?” cinguettarono all’unisono.
“Per correttezza non ve lo posso dire.”
Così per molti anni mi vedevo sbucare sulla soglia dello studio due piedi generalmente vestiti di sandali che a mo’ di ballerine si affacciavano sulle punte mentre due voci diverse cantilenavano: “ Mine is better. Isn’t it?”
Meno piacevole era decidere di fare “I’m proud to be queer” sul petto di un inglese in vacanza. Ma una rapida inchiesta per appurare coscienza e decisione del tizio
e via con gli aghi.
Scambi di nomi o quando l’altro non era sul posto un nome soltanto senza soverchie spiegazioni. I miei clienti e amici gay: come ho detto una compagnia piacevole.
Raro capitasse tra loro il tipo di cliente che non vedevi l’ora di aver finito per levartelo da torno.
Qualcuno almeno destava curiosità. La regina degli zingari ad esempio non consentì un onda di simpatia ma sicuramente mi lasciò con una serie di quesiti sospesi e mai chiariti. Una donna sui quaranta seguita da cinque uomini una dei quali la precedette per dirmi con fare complice: ”She is the queen, Our quenn.”
Nessuno sorrideva. Erano tutti molto seri e i maschi si accucciarono per terra nella stessa stanza dove avevo il lettino.
La regina mi mostrò uno sgorbio che aveva sul bicipite, probabilmente fatto in carcere o a casa. Studiai come coprirlè obbedendo alle sue richieste. Intanto mi indicò due giovani sui vent’anni: suoi figli mi comunicò. Tutti gli uomini erano pronti ad accendere la sigaretta o schizzare fuori a prenderle una Coca Cola.
Bisogna sapere che l’isola dirimpetto, Tinos, è famosa per un santuario dedicato a non so quale Madonna e quando siamo all’otto di agosto vede devoti arrivare da ogni patye della Grecia. Madonna protettrice degli zingari che finiscono per gare una passata a Mykonos distante una mezz’ora di traghetto.
Clienti pessimi perché qualsiasi prezzo è troppo alto e più propensi al baratto. Quattro sedie e un tavolino di plastica per pagare una rosa e un nome. Prescindendo dal fatto, come feci notare all’uomo ovviamente scortato da moglie e non so quanti figli, che solo l’anno prima avevo comprato da lui identico set in plastica i cui residui  erano in mostra sulla stessa veranda dove discorrevamo, non avevo alcuna intenzione di tatuarlo senza essere pagato.
Tornò alla carica il giorno dopo e il terzo giorno aggiunse un vaso di coccio alla sua proposta, poi fortunatamente mollò.
La regina invece pagò, o meglio chi tirò fuori i soldi fu quello che aveva presentato come il marito, soddisfatta della copertura dopo essersi fatta un’oretta di abbiocco da eroina evidente. Come erano apparsi andarono via mentre quelli erano i clienti di cui avrei voluto sapere di più. Scarsa empatia
ma incontri anche situazioni del genere.
Più frequente per fortuna l’abbraccio post tattoo con scambio di biglietti da visita e garanzie di incontro venturi.
Il caso di Joe, coetaneo che si è iniziato con un cuore sul braccio per poi passare a una sirena sulla gamba e poi ancora un suo disegno da qualche altra parte. Tutto cominciò col cuore, nello stile del cosiddetto antico tatuaggio, che avrebbe dovuto essere un lavoro da un’oretta e grazie alla musica offerta da casse e hard disk si trasformò in un excursus di quattro ore tra le canzoni di nostro fratello Dylan e la gara a chi ricordava più strofe.
Ci siamo rivisti anche a Roma finchè il suo cuore ha deciso di mollare ma è stata una bella amicizia. Nelle email che per una decina d’anni mi ha scritto mi teneva regolarmente al corrente dei concerti che Bob dava in California: lì viveva Joe curando il museo di arte moderna che aveva messo su a Santa Barbara.
Amici di aghi. L’abbraccio di Peter, marinaio su un traghetto che fa le Cicladi ricoperto di sgorbi sbiaditi che solo verso la fine del suo nuovo sgargiante diavolo tribale, rivela che sono fatti in galera dove ce l’aveva spedito quella pallottola di un poliziotto entrata nel polmone. “Vedi il segno?” E’ già tornato a dirmi che allo sbarco della settimana prossima ne vuole un altro.
E alle tre di mattina l’abbraccio con una svizzera che dire di Zurigo è errato perché ormai da vent’anni, per via di una storia d’amore, vive su un’isola greca dove arrivò da turista ma dove adesso fa l’ostetrica. Questo nonostante gli isolani abbiano da lungo scoperto che la mortalità natale si poteva sconfiggere salendo su un traghetto e andandosene a partorire in un ospedale di Atene. Sulla sua isola, a lei è toccato far nascere le sue tre figlie e qualche prematuro, mi racconta. L’ultima che ha fatto venire al mondo pesava un chilo e cento ma è ben viva e cresciuta. “Le femmine”, mi spiega, “sono molto più forti dei maschi”. “Come nel sopportare il dolore degli aghi”, faccio eco io.
E’ a Mykonos solo per una notte perché domani parteciperà a un convegno medico e subito ripartirà. Lasciando la sua isola ha accennato alle figlie che, chissà, avrebbe potuto farsi tatuare. Reazione scettica quella delle ragazze, eccetto la seconda, sedicenne, che ha commentato: “La vita è breve. Se ti va di farlo, fallo.” Già immagina le critiche del marito greco e anche quelle del padre quando l’anno prossimo lo andrà a trovare in Svizzera. Se ne frega ed è raggiante mentre rimira il suo draghetto. Sono le tre di notte mentre ci abbracciamo e scambiamo i biglietti con relativi telefoni e indirizzi email.
Mi piace la conoscenza con i miei clienti: non è come vendere scarpe e specialmente con un carattere come il mio è uno scambio continuo di curiosità.

proud gay

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7 risposte

  1. Avevo commentato su fb cosi’: ” Maricones griegos?”. che mi sembrava carino anche pensando alla mia gallerista che ce l’aveva coi maricones venezuelani. Facebook ha cancellato il commento, mi ha bandito per 24 ore, e minacciato che se lo faccio ancora mi fucila. Una ottima ragione in piu’ per avere il nostro sito, che mi sembra comincia a funzionare. Solo vedo pubblicati miei articoli che io non ho messo, e’ una cosa automatica che avviene per vita propria? pero’ non rispetta la cronologia… ha cominciato dalla fine…

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