Goa 32

Pino Cino

 

28 marzo

 

Goa 32

Lasciata la mia isola ritrovai a Roma la casa che avevo tenuto e dove avevo messo a vivere uno degli amici del cuore: quel Paolo che mille anni prima nella band suonava il piano e che non mi aveva mai raggiunto a Goa. Si era separato definitivamente dalla seconda moglie e insieme alla figlia Federica era venuto a stare da me.

Quando me ne ero andato a fare il cuoco a Mykonos l’avevo lasciato lì sicuro del fatto che quella locazione era intoccabile.

Un’altra storia perlomeno buffa della mia vita perché quell’appartamento di duecento metri quadri in un quartiere centrale ed elegante l’avevo trovato quando non stavo messo male a soldi e mi muovevo tra i famigerati stracci e straccetti.

Un contratto per due anni ma io avevo scritto una delle mie magiche lettere al notaio bolognese che ne era proprietario e avevo ricevuto in cambio un foglio autografo in cui il notaio mi autorizzava a star lì prolungando il contratto quanto avessi desiderato.

Trascorso qualche anno l’amministratore del sussiegoso stabile mi comunica che il notaio è defunto e che il nipote, avvocato romano, ha intortato un’impiccio per cui quell’appartamento ha girato tra una società e un’altra fino a diventare di sua proprietà.

Prendo atto e continuo a versare l’affitto sul conto del notaio buonanima, suppongo.

Mi arriva dopo parecchi mesi una lettera dell’avvocato romano che mi dice che il contratto è scaduto e che io sono moroso non pagando l’affitto al nuovo proprietario che sarebbe lui.

Domando del vecchio proprietario spiegando di avere una sua lettera autografa che mi autorizza a rimanere al di là della scadenza in contratto e mi risponde che lo zio ha venduto a lui l’appartamento.

Non mi comunica che è morto per cui io continuo a versare sul conto del defunto. L’amministratore mi racconta frattanto che gli eredi si stanno scannando tra di loro.

Finché mi arriva una comunicazione del suddetto avvocato che mi comunica che il canone passa da un milione e mezzo a quattro milioni al mese.

Lo ignoro e smetto di versare soldi sul conto del vecchio notaio.

Andrà avanti per cinque anni a questo modo ignorando le lettere che il tipo mi manda; il vecchio amministratore del palazzo mi dice che il buon avvocato vorrebbe proprio evitare che la faccenda finisse in tribunale quindi lo ignoro fino ad un paio di anni dopo quando telefonicamente si presenta e mi invita a pranzo.

Ho sfruttato quell’alloggio ogni volta che sono tornato a Roma e anche ospitando amici messi male per cui accetto l’invito e mi trovo dal Bolognese al tavolo con l’astuto che a fine pranzo tira fuori dei fogli e mi mostra un conto di 43 milioni di affitti arretrati poi mi chiede quanto voglio per andarmene.

Io che mi sono consultato col mio avvocato gli rispondo: “43 milioni e il conto del pranzo pagato.”

“Cino, sa che è un bel figlio di puttana?”

“Avvoca’ ricambio e le faccio notare che detto da lei suona come un complimento.”

Quindi per qualche anno dopo il trasferimento a Mykonos tornavo a Roma e sapevo dove abitare in tutta tranquillità. Quella prima volta trovai un tale bordello in quella casa, luce staccata e bollette non pagate, che dissi al mio amico Paolo che lo avrei portato in Grecia con me, figlia compresa. Gli avrei trovato lì un lavoro.

Fu così che recuperata la 127, che altro Paolo “detto anche il meccanico” come lo chiamava Ciclamino un giorno che era a Mykonos trasformò, e verso aprile mi misi in rotta per la mia isoletta.

Bisogna vederla in primavera perché quei sassi si vanno coprendo di verde e di colori uno più vivace dell’altro e l’aria intiepidisce giorno per giorno.

Ero il tatuatore unico e la t maiuscola per cui trovai clienti ad attendermi fin dal primo giorno. Diedi aria e una ripulita al mio studio e subito comincio con una coppia di turisti che si raccontano come spesso fanno i miei clienti e mi regalarono la storia di un norvegese che quindici anni prima entra in un bar di Rio de Janeiro per avere un’informazione. La bella ballerina di samba, alta e mora, che è lì casualmente in compagnia di amici, si volta a rispondergli.

Quindici anni dopo, lasciate ai nonni le loro due bambine, sono in Grecia per uno di quei viaggetti che ogni tanto si regalano. Lei bella e con un sorriso spontaneo ben accompagnato dall’espressione beata di suo marito, ha deciso di incidersi all’interno del polso le iniziali delle bambine. Insieme scherziamo.

Dico a lui che gli invidio una donna tanto solare e quel loro rapporto che sembra felice. Mi rammarico che non sia venuta da sola a fare il tatuaggio, gli dico.

Raccontano di momenti più bui nella loro storia poi mi confidano un segreto: ogni venerdì sera siedono vicini, lui beve qualcosa e parlano, parlano, parlano.

E’ sempre stato del mio carattere essere disponibile all’incontro; la curiosità verso chi incrocia la mia strada mi ha sempre portato a uno scambio che sapevo era arricchimento e crescita. Quante orme mi porto dentro? E quelle negative mi è sempre venuto spontaneo spazzarle via o spingerle sotto il tappeto.

Il rapporto che si crea con chi ti si affida per cinque minuti o qualche ora sotto l’egida del “per sempre” è ovviamente intenso o tende ad esserlo.

Non ricordo di aver mai dato fredda e professionale indifferenza a chi mi affidava la sua pelle e un suo desiderio.

Facilmente si creava una confidenza che portava a conoscerli un poco.

Ecco che la coppia brasiliana norvegese ha si un mio tatuaggio ma ha lasciato in cambio una traccia dentro la memoria. I visi sono stati scoloriti dal tempo ma il loro parlare e il ritrovarsi del venerdì sera è restato e da allora, vivi, morti o separati che siano, siamo in tre.

Chi si tatua tende alla loquacità e parla anche e tantissimo la ragazza polacca che prepara le colazioni in un cinque stelle e che attendeva la riapertura dello studio. E’ nervosissima e reagisce parlando. Anche lei il tatuaggio lo vuole sull’avambraccio facendo lo slalom tra le scottature delle padelle e dei fornelli. Devo mostrarmi irritato per farla azzittire almeno un attimo.

Con la giovane mykoniate invece devo proprio incazzarmi. “Te lo avrà mica detto il dottore di farti un tatuaggio! Stai ferma!”

Devo lavorare sul suo piede, ma lei lo muove a scatti. Sono costretto a tenere gli aghi pronti a sollevarsi.

Con lei c’è un cavalier servente, ventenne anche lui, che le tiene la mano e partecipa della sofferenza. Arriva pure un altro amico che sorseggiando il tradizionale frappé greco si unisce all’opera consolatoria.

Il tatuaggio sta durando il doppio del tempo previsto e fuori c’è gente in attesa. Urlo. Caccio fuori i due ganzi; mi chiudo con la bella dietro il paravento, minaccio di interrompere e sbattere fuori pure lei fregandomene delle linee a metà che ha sul piede.

Capisce che non sto scherzando e in silenzio cerca di controllarsi. Quando dopo un po’ sento che sta per ricominciare con i suoi strappetti inconsulti passo al metodo nazi e stringo la sua gamba sotto la mia ascella mentre con la mano ad artiglio le inchiodo il piede sul lettino.

Il tatuaggio viene bene per puro miracolo e lei se lo rimira felice. Finisce che la diffido dal farsi rivedere eppure qualche giorno dopo passa tutta orgogliosa a mostrarmi il processo di cicatrizzazione; ha sempre con sé uno dei due assistenti.

Il conforto morale prestato da un amico, più spesso un’amica, è un classico; specie quando si tratta di tatuaggi di gruppo, cioè tutti insieme a farsi tatuare la stessa cosa. Tenere la mano, parlare, parlare, parlare per distrarre il sofferente. Tal volta è il sofferente che straparla e la samaritana che finisce con la mano stritolata.

Mi vengono in mente due che sono stati uno dei più divertente casi di assistenza morale. Tifoso della Sampdoria lui, del Genoa lei, hanno messo le mani su una copia del Corriere dello Sport del giorno prima e ci si sono tuffati sopra, prima lui, mentre lei si tatuava, e poi Arianna ha fatto lo stesso mentre era il turno di Stefano. Completamente disinteressati alla sofferenza del partner. Seduti in veranda a leggere della squadra del cuore. Quello che rendeva il tutto più divertente era che si stavano tatuando l’uno il nome dell’altro a suggellare una storia d’amore. Mi piacerebbe spiare la loro casa il giorno del derby.

 

isola di primavera

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Commenti: 9

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Fabrizio Leita

 

Crihiris Bucci

Che meraviglia sia i racconti che le foto!

 

Paolo Paci

ancora ancora…

 

Pino Cino

il mondo del tatuaggio?

 

Paolo Paci

Pino Cino

si… personaggi e interpreti!

Georgios Stamatiades

…..PINO….. ERI UNO DA I PRIMI PIU BRAVI TATTOO ARTIST IN GRECIA QUEL TEMPO LO SO QUESTO BENE IO…..DA ATENE..GRECIA…..GEORGIOSS..!!

John Flores

Molto interessante, mi fa venire in mente il mondo del tassista che vissi per due anni dal 78 al 79, a San Francisco… nel senso che parallelamente, s’incontrano di tutti i tipi di persone, con storie attaccate. Ecco, ne faro’ un racconto, a presto.

Pino Cino

la gente che non penseresti mai di incontrare. bravo.

Francesca Dolcetti

Sì, ancora!

 

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