Goa 23

Gioco io con la memoria o è la memoria a prendersi gioco di questo me?Quesito di difficile soluzione considerando che un gran numero di quadri si è eclissato ed altri sono poco affidabili.La cosa migliore da farsi considero sia inoltrarsi nel tempo che è stato senza paura e mantenendo un sano menefreghismo di fondo che cosciente ti conduce in valli di sentimento mentre scivoli come un surfista tra docili ironie e sorrisi. Per le tragedie non c’è posto: ridimensionate dal trascorrere degli anni.Quanti ne sono passati? Io vecchio mi ci sento e presuntuoso; anche con una punta di soddisfazione. Sicuramente stupida ma sempre sancita dal “fin qui ci sono arrivato”.Tragedie? Piuttosto cavolate di quel momento in cui il buon protettore si era voltato dall’altra parte e probabilmente facendo spallucce aveva mormorato “Fa’ un po’ come ti pare”, e la presunzione, l’immonda bestia a dieci zampe, tre teste e un sesso prevaricatore, mi spinse verso direzioni che non avevo mai azzardato prima.Continuava il rapporto con questa mia amica romana alla quale fornivo capi di abbigliamento e soprattutto tessuti di mia produzione tipo metri e metri di velluto in seta che mi portavo nella mia casa di Genzano e che immergevo in pentoloni abnormi di acqua bollente mescolando polveri di tutti i colori.Un po’ l’immagine di uno stregone tra fumo, vapori, un grosso palo per rimestare e a seguire fili e fili a cui appendere questo carnevale di pezze fluttuanti.Niente più giacca né cravatte di Harrods tranne quando si trattava di andare a consegnare a Roma.Uno degli ultimi modelli di gonne che avevo conservato in vita era la “Mondrian”: velluto in seta ritagliato in quadrati e rettangoli di varie grandezze ricuciti l’uno accanto all’altro a formare un tessuto che a vederlo ricordava le geometrie di Mondrian. Di sicuro effetto e poi si trattava di montare quella stoffa al di sotto di una baschina quasi sempre nera, plissettarla, et voilà! Ne avrò vendute centinaia. O meglio, la mia amica le vendeva.Mi passava anche ordini ben strani basati su quelle mie stoffe, tipo la rivestitura di sedili e poltrone dell’elicottero di un club del Golg di Tokio che completo di valigeria e sacche porta mazze, stesso tessuto negli stessi colori, fu poi presentato a non so quale fiera a New York dove andò la mia amica.A me toccò andare all’inaugurazione della villa di un ricchissimo imprenditore romano che se l’era fatta fare “proprio come voleva lui” complice un architetto greco. E i miei tessuti per i sontuosi divani.Ricevimento memorabile soltanto perché tra i “pregi”, tra ampie virgolette, stava una camera adibita al gioco degli scacchi, passione esibita del ricco imprenditore padron di casa e noto fascista. Pavimento con parquet opera dell’architetto greco che formava una scacchiera sulla quale il filippino di turno spostava a comando i pezzi.Sempre la mia amica così come aveva fatto con Givenchy in altra occasione mi vendette anche a questo soggetto pieno di sé come un gran giocatore di scacchi così che mi ritrovai seduto su un’alta poltrona circondato dalla curiosità degli ospiti e il gongolare soddisfatto del padron di casa.Io a scacchi non giocavo più da molti anni ma pungolato dall’antipatia per l’avversario che avevo davanti ripescai nella memoria una bella difesa siciliana e lo feci secco davanti a tutti i suoi ospiti.Era capitato pure di dovere a volte accompagnare la mia amica per sfilate o acquisti a Milano o Parigi ma una volta che me ne andai a Bombay per uno dei miei ultimi viaggi business fu lei a seguirmi laggiù.Non le risparmiai niente sapendo che era il tipo che di niente aveva paura.La feci arrivare, mi raggiunse dopo una settimana, con tre bottiglie di Perrier Jouet Gran Brut e due vasi di Nutella. A posteriori mi svelò che aveva immaginato mi fossi finalmente deciso a trasformare la nostra amicizia in un rapporto più frizzante ma la Nutella era per un mio fornitore indiano goloso e lo champagne sarebbe stato un dono per il Piretti che compiva 40 anni e aveva riservato un bel ristorante a Colaba per sé e 40 ladroni.D’obbligo per gli invitati la fedina penale non pulita e fortunatamente garantii io che la mia amica una bella denuncia in Italia l’aveva.Ci divertimmo entrambi in quei giorni a Bombay. Giocavo in casa per cui turismo alla mia maniera.Fumeria d’oppio dove assaporò la sua prima pipa e dove stesa sul fianco sopra una stuoia nel suo abitino bianco mi sentì dirle: “Tieni giù quella gamba. Siamo in mezzo agli indiani e qui donne non ne entrano.”“Ma che dici? Non si vede nulla.”“Slip bianco a fiorellini gialli. Ti basta?”Il tempo romano trascorreva con la quotidianitò tra Genzano e Piazza del Popolo dove la mia amica aveva uffici e laboratorio di sartoria. Mi chiese di prendermene cura così che mi ritrovai nuovamente con una cravatta al collo e un pendolarismo stancante.La mia cucciola cresceva e il maschio era ormai nella pallosissima fase adolescenziale, il che significa per i maschi confronto scontro col padre. Toccava a me.Idraulico a casa. Lì nello sgabuzzino dove è lo scaldabagno l’operaio toglie giù un bel mucchio di fumetti porno e mia moglie che è presente fa: “Avevi bisogno di nasconderli là dentro?”Io me la guardo e ci rido su.Si era via via trasformata in una momma e i suoi bambini al di sopra e prima di tutto.Rapporto che si sfilacciava giorno per giorno.A questi si aggiunse l’urgenza di Mattia che con gli impulsi dell’adolescenza cominciava a vivere il paese dei Castelli come una reclusione così adottai l’idea di tornare ad abitare a Roma.Caso vuole che la amica socia avesse deciso proprio in quel periodo di liberarsi dello studio del Valadier: uno splendido loft nel cuore della città.Era una delle sue passioni il mattone così che aveva accumulato case tutte antiche, di pregio e nei luoghi più disparati. Di quella, forse perché aveva bisogno di liquidità per chissà quale altro affare, era giunto il momento di liberarsi così toccò a me che nel ufficio che mi aveva dato controllavo un po’ tutto prendermi cura di quella vendita.Mi piovvero addosso tutte le immobiliari romane e ce ne fu una importante rappresentata da una trentenne che seduta in poltrona davanti la mia scrivania allargò le gambe e nel farmi vedere che aveva dimenticato di indossare le mutandine tipo Basic Instinct mi propose di parlare a cena della vendita.Io rilanciai spiegandole che stavo cercando casa per me e la mia famiglia e le sarei stato grato se mi avesse aiutato a trovarne quella giusta.Pochi giorni dopo ci trasferimmo in 220 metri quadri in zona Corso Trieste con un affitto più che equo.Durò ancora per poco poi risolsi che la mia piccola era cresciuta abbastanza per poter affrontare la separazione dei genitori e trovato un brutto appartamento dove però ci fosse una camera per i miei figli e mi trasferii lì.Veronica veniva a farsi qualche week end da me e io continuavo ad essere presente nella sua vita scolastica e sociale.Sempre in quel periodo arrivò la proposta di rilevare un bar nel centro di Roma, uno dei più antichi famoso anche per essere il bar degli artisti che i proprietari vendevano e i cui nuovi acquirenti cercavano soci. Sempre la mia amica a passarmi l’analisi della palla e siccome la faccenda era grossa tirai in ballo il mio commercialista, un amico che da anni seguiva le mie partite Iva e relative tasse.La mia amica, sempre intelligente si defilò. Il mio angelo protettore aveva altro da fare e io diedi ascolto al commercialista che definì quell’opportunità come l’affare della vita così richiesi un prestito ben cospicuo e di nuovo in giacca e cravatta mi ritrovai a gestire il bar Notegen a via del Babuino.Ci passava tutta la Rai, attori, registi, gli impiegati e ricominciarono a farsi vedere i pittori romani.Mi spulciai un celebre giovane regista di cinema che arrivava verso le nove per la prima colazione, si faceva il suo cappuccino e fagocitava tre o quattro cornetti per poi venire alla cassa e regolarmente dirmi: “Un cappuccino e un cornetto.” Non gli dissi mai nulla.Capitò anche Montesano, l’attore, e insieme ricordammo di quando faceva il comico nei posti più disperati e così capitò al Capanno di San Felice Circeo dove noi avevamo un contratto con la band e io gli diedi una mano usando l’eco vibrato dell’amplificatore in uno suo scketh in cui faceva il papa.Gente ne passava di tutti i tipi e le magie di un vecchio chef napoletano, avevamo anche licenza di ristorante e Giovanni si era presentato a chieder lavoro, in breve ci ottenne una clientela abituale all’ora di pranzo.Quando le risse con i soci mi obbligarono a licenziarlo se ne andò regalandomi due piccoli meravigliosi secreti della sua cucina sorrentina: le foglie di limone in cui incartare piccoli bocconi di scamorza e mettere brevemente in forno e il segreto del Limoncello di casa sua. Aggiungere alla scorza ultra sottile dei limoni non trattati un po’ di foglie di cedrina e tenere in infusione nell’alcool per non più di cinque giorni. Una delizia entrambe le ricette.Ma con i soci le cose andavano malissimo. La socia soprattutto. Una calabrese cognata del precedente proprietario talmente sgradevole che quello le aveva vietato di entrare nel bar aveva spinto il marito a rilevare il locale e come soci aveva pescato me e il commercialista che io mi portavo dietro.Era talmente insana che il fatto che io con il mio chef e le amicizie che mi tiravo dietro riempissi il locale le destava invidia.Quello che smosse poi tutto fu quando un giorno al mio arrivo un cameriere mi raccontò che la signora aveva buttato fuori Tano Festa perché, mi strillò sul viso, lei non voleva barboni dentro il suo locale.Tano Festa, grosso nome dell’arte romana, non si presentava certo come un dandy ma io ci avevo messo tempo per far tornare lì dentro gli artisti di Margutta e del Babuino.Convocai immediatamente un’assemblea societaria per mettere la signora in minoranza insieme al mio amico commercialista e quando venne il momento mi ritrovai invece io fuori gioco perché il mio amico non si presentò e soltanto allora seppi che i soldi per acquistare la sua quota glieli aveva prestati la tipa.In così dette brache di tela e un bel buffo con una banca dove anche il direttore mi aveva a suo tempo sconsigliato l’investimento ma come detto l’angelo protettore, schifato si era voltato dall’altra parte.Un parziale lampo di genio fu fare arrivare da Caserta un mio cugino in compagnia di un architetto suo amico di Ottaviano, paese all’epoca ben noto grazie a Cutolo e camorre varie.Questo arrivò muovendosi con aria padronale e stabilendo ad alta voce quali muri avrebbe buttato giù e quali scale aperte per il piano inferiore. Andati via la socia e il marito, un ebete vittima costante della calabrese, si precipitarono a chiedermi chi fossero quei due napoletani e saputo che erano quelli a cui avrei venduto le mie azioni si impaurirono.Fecero scattare il diritto di prelazione e rilevarono la mia parte purtroppo al prezzo di legge e non di mercato.Uscito da quel tragico business non avendo alcuna voglia di ributtarmi nella moda mi misi a guardare dove si fosse infilato il mio angelo ma non ce n’era traccia.

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Potrebbe essere un'immagine raffigurante arredamento e spazio al chiuso
 
Alessandro Antonaroli, John Flores e altri 21
Commenti: 7
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Margherita Crispy
che meraviglia, tutto
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John Flores
Molto professionale, con o senza giacca e cravatta…
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Stefano E. Stef
Bellissimo… anche il divano
  • Vittoria Schileo
    Pino , scusami se sono prosaica , ma mi domando quanto lo scacchista abbia pagato quei divani, visto che le gonne andavano in vendita a soli cinque milioni cada, se non ricordo male. E dopo il racconto dei pentoloni di Genzano capisco perché la tua ami… 
    Altro…
  • Vittoria Schileo
    P.S. l’architetto greco di cui parli è chi penso io ?
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    Paolo Paci
    tutto bene… piace lo stile Mondria
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    Mara Italiani
    Eccone un’altra, bella avventura, nel grande teatrino della vita.
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