Goa 22

Goa 22

La verità che non è mia. E qui ci vorrebbero dei bassi da Rap e ritmi ripetitivi per dire di quando a 19 anni presa la maturità classica feci quel concorso al Ministero del Tesoro e iniziai a lavorare alla Corte dei Conti. Cento anni fino al giorno della pensione festeggiata insieme ai colleghi con una bottiglia di Berlucchi.
Che film è?
Mi sono svegliato così questa mattina, tra il bugiardo e la domanda: su una vita qualsiasi si potrebbe scrivere una storia che destasse interesse? Esistono vite qualsiasi?
Credo di si ma che fatica immonda.
Preferisco tornare alla carezza della mia bambina e quello che mi smosse dentro.
In quel momento la vita si snodava tra Roma e Nardò dove mi ero inventato una fabricheta (non è un errore di battitura) dove una dozzina di sarte cucivano i miei stracci sotto l
a direzione di una indigena meravigliosa che mi aveva trascinato lì.
Lei aveva scelto di seguire il marito, falegname presso l’esercito, che in realtà lavorava sempre e soltanto per Andreotti fabbricando doppi fondi e scomparti segreti ai mobili del Presidente, come lui lo chiamava.
Persona piacevolissima il Geppetto che mancandogli medio e anulare alla mano sinistra sceglieva in base alla simpatia di salutare chi incontrava con la sinistra o con la destra.
Soggetto simpaticissimo che mi piace ricordare.
La moglie come detto tagliava e cuciva da dio e me la portavo dietro da Roma quando con le sue tre bambine l’avevo conosciuta e apprezzata in un buco d’appartamento sull’Appia.
Ci fu un momento in cui il marito diede i numeri e sce
lse di tornarsene al paesello, idea che poi rinnegò in pochi mesi, ma lei nel frattempo l’aveva seguito e da quel profondo sud mi telefonava di raggiungerla e aprire un laboratorio più grande per far decollare una seria attività.
E’ il momento di tirar dentro la storia un altro personaggio che mi ha accompagnato per un lungo pezzo di vita e fin qua.
Bella donna romana che nata figlia di una sarta aveva trasformato la sua attività attraverso un negozio al centro di Roma che era diventata la boutique alla moda per pseudo nobildonne e attricette varie.
Annesso manteneva il laboratorio di sartoria
ereditato dalla madre dando impulso costante alla sua creatività e ai suoi rapporti sociali.
Da lei mi portò Bruna quando ritornai a Roma con le mie prime gonne indiane e oltre a diventare mia cliente nacque da subito un rapporto di stima e amicizia.
Essendo la signora di origini pugliesi approvò subito l’idea di un trasferimento lavorativo a Nardò così che mi ritrovai a fare il pendolare tra la Puglia, Roma, i clienti di Milano, del Nord Italia e quelli di Parigi.
I soldi entravano e nel frattempo avevo lasciato la mia casetta di Roma, uno strano appartamento con due stanze semi interrate in cui confluiva poca luce dalle finestre po
ste in alto ma con il resto della casa affacciato su un giardino interno a un cortile ben strano. Oltre a una fontana in quei pochi metri quadri crescevano un uva buonissima, un limone, un albicocco, un fico, un papiro maestoso e fiori di stagione.
Superfluo dire che lì si cenava tutti insieme previa seduta fotografica sulla poltrona rossa.
Storia a sé perché essendo la casa in area Porta Portese tornando una notte a casa mi era capitato di trovare abbandonata una poltrona in velluto rosso fuoco in ottimo stato che qualcuno si era vergognato di possedere tanto era un brutto oggetto.
Comoda però e io me l’ero caricata dentro il living
camera da letto e lì facevo accomodare quelli alla prima visita e con la mia SX70, ero intrippatissimo con le Polaroid in quel momento, scattavo ritratti poi confluiti nell’album della Poltrona Rossa.
Era la stessa casa dove qualche anno prima er
o stato sorpreso a trafficare farina al calamaretto e che ebbe una divertente evoluzione storica quando un giorno una bussata alla porta preannunciò un omino in giacca, cravatta e baffetti alla Hitler che mi comunicò essere il nuovo proprietario e che essendo avvocato mi dava una settimana di tempo per lasciare il mio pied a terre.
Pied a terre la mia casetta dove mille amici erano passati e dove tante ne avevamo fatte e vissure?
Lo cacciai di casa e contattai subito un avvocato
che casualmente, amica di un amica, fu Stefania, figlia di un Generale dei Carabinieri, contessa titolata, comunista arrabbiata e femminista convinta.
Il proprietario della casa, che io per la mia allergia ai possessi non avevo voluto comprare nonostante il prezzo più vantaggioso, ebbe la pessima idea di salutare Stefania quando li introdussi l’un l’altro in una telefonata in viva voce con un: “Miezzeca! Un avvocato donna! Comme me piaciono le femmine!”
Dall’apparecchio risuonò uno “Stronzo! Non ti permettere mai! Io per te sono l’avvocato che ti farà il culo! Stai a vedere!” e mise giù mentre anche la gigantografia di Mussolini appesa dietro la porta nello studio del malcapitato avvocato impallidiva.
Mi fece tre cause di sfratto e le perse tutte e tre finché sei anni da che mi ero trasferito ormai a Genzano una telefonata di Stefania mi suggerì di accettare i soldi che il tipo offriva per il trasloco e lasciargli l’appartamento.
Eravamo ormai nella casa che mio padre da trent’anni aveva in affitto sui colli di Genzano fabbricata a suo tempo a ridosso di un acquedotto romano circondata da filari di uva e varie piante da frutto oltre a sei pini secolari intoccabili per le Belle Arti anche se mi costavano una disinfestazione da Processonarie ad ogni stagione.
Quante vendemmie ci siamo fatte lì io e i miei amici?
Piombavano da Roma e mentre qualcuno
si dedicava alle braci per le salsicce di prammatica una numerosa banda armata di secchi e forbici raccoglieva grappoli generosi.
Ad ogni stagione mio padre ne tirava fuori un duemila litri di bianco dei Castelli Romani che andava giù bello liscio.
Tranne quando mio padre morì e io, moderno green, scelsi di abiurare le pasticche e le disinfezioni chimiche dei tini usate dal vecchio optando per la naturalezza assoluta
e ottenendo duemila litri di mediocre aceto.
Al di là delle attività vignaiole continuavo a spostarmi per mezza Italia tenendo dietro alle sartine pugliesi, alla clientela italiana e francese in compagnia della mia amica e socia della boutique romana.
Raggiungere quasi ogni settimana le sarte pugliesi era un viaggio che ogni volta contemplava l’accettare l’invito a cena che queste a turno mi facevano. Una gara tra loro a chi mi deliziava meglio con i piatti tradizionali del posto.
Detto tra noi le battè tutte la capa mia amica che un giorno mi domandò se mi piacessero i frutti di mare così che mi portò in un vivaio di Cozze dove a un tavolino nell’ombra fece arrivare una chilata di molluschi che mi apriva e mi passava nel piatto accompagnati da Provolone local
e, Puntarelle crude di Galatina e vino bianco fresco.
Indimenticabili due chili e mezzo poi mi fermò lei.
In quella casa a ridosso dell’acquedotto romano stavamo in quattro con mio figlio ormai tredicenne, la piccola e quella donna che mi aveva convinto a stravolgere la mia vita. Innamorarsi che significa e soprattutto quali cambiamenti provoca?
Quella casa mi riservò anche una sorpresa inaspettata una delle volte in cui feci venire il camion addetto alla disinfestazione da Processionaria.
Calati giù i braccetti per il bilanciamento un operaio salì dentro il cestello per dar corso all’opera finché un urlo mi costrinse a correre a vedere cosa succe
desse. Uno dei bracci era sprofondato nel terreno del giardino antistante casa e cestello e operaio penzolavano in uno strano equilibrio.
Ritirato il braccio rimase un buco nella terra piuttosto ampio da cui infilandoci una luce si scorgeva un ambiente vasto in muratura.
La Villa di Nerone chiamavano quella casa e quando mi resi conto di quello che c’era lì sotto liquidai gli operai e mi precipitai dalla famiglia di contadini che sapevo avere abitato quella casa trent’anni prima. Poi era morto non so chi zio in America e con i soldi ereditati da poverissimi ch
e erano si erano trasformati in proprietari di una fattoria, un forno e chissà che altro.
Si mise a ridere il vecchio contadino e ”Lascia pere’, Pi’. Non c’è più niente lì sotto.” Mi disse.
Io comunque mi calai con una scala e feci un po’ di ricerche aiutato da una lampada. Mura romane e da quell’ambiente si dipartivano alcuni corridoi che abbandonai presto però dal momento che lì dentro l’acqua mi arrivava alle ginocchia.
Ne tirai fuori un cratere soltanto che poi regalai.
Un altra casa non troppo distante che chiamavano la Villa di Caligola fu invece acquistata da un tizio che dopo averci messo intorno un alto muro di cinta si fece beccare con un paio di miliardi in antichità romane e qualche anno di galera.
La memoria, questa buona compagna mi porta a galla altre storie e accadimenti legati agli anni in quella casa ai Castelli Romani ma preferisco tornare alla carezza di mia figlia che mi sbatté davanti alle mie assenze costanti come padre.
Impulsività dell’Ariete? Il Sementovsky l’avevo dato alle fiamme dopo le curiosità dei sedici anni ma comunque l’impulso mi fece prendere su il telefono e chiamare Nardò per dirgli di fare una cooperativa perché io avrei mollato tutto.
Improperi, tentativi di farmi recedere ma una settimana dopo messe da parte cravatte e ghette me ne restavo tranquillo con la mia famiglia.

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Emanuela Limiti, Sergio Baldi e altri 3
Commenti: 27
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Sergio Baldi

ma che so espadrilla?? hahahaha
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