Goa 18

Goa 18

La vacanza a Goa con la famiglia al completo fu una fuga dalla realtà romana che cominciava a odorare di trappola. Metter su famiglia non è un passo facile da fare o meglio le difficoltà vengono più avanti quando quei patto si tratta di mantenerlo. Oltretutto gli interlocutori godono di scarse capacità d’autonomia e la loro inarrestabile forza è la purezza della giovane età.

Bello godersi le loro scoperte del mondo che cerchi di filtrargli attraverso la tua esperienza. E’ veramente vivere giorno per giorno guardando al tempo che passa come a una fonte di arricchimento per loro come per te.

Fase dura e meravigliosa anche per uno come me che aveva sempre considerato con sospetto la parola responsabilità.

Con tutto questo il lavoro prese un aspetto più motivato ma non per questo alleggerito dall’approccio ironico con cui lo affrontavo. Rimaneva per me qualcosa in cui ero incidentalmente incorso e investito del fatidico gioco forza.

Io e la moda? Figurarsi come me la vivevo quando una sgallettata vestita di un mio abito mi domandava: “Che colore andrà questo autunno?”

“Il colore de li mortacci sua, cara signora.” Ma mi restava sempre tra le labbra.

Tenevo famiglia e dovevo aver cura di quanti erano affidati a me, compresa una banda di sartine e tagliatrici a cui davo da confezionare abiti e gonne.

Come anche i miei fornitori di tessuti. Avevo cercato di tenermi stretti quelli indiani, soprattutto quelli del Daghina Bazaar di Bombay. e questo mi garantiva qualche puntata da quelle parti.

Il lavoro era per lo più a Roma. Mi ero trovato anche un socio, un vecchio amico, vero drago dell’import export, che aveva il solo difetto di eclissarsi a casa della sua mamma quando cadeva influenzato. Raccontava lui.

Ci fu un’ultima volta quando andammo ad Anagni per una ordinazione di tessuto in cotone e io alla scrivania del direttore della fabbrica a tastare pezze di maglina e provare elasticità e peso, lui nella poltrone alle mie spalle a prendere gli appunti che via via gli dettavamo, finché mi voltai a parlargli per fare un riepilogo di quanto detto e il bel tomo, uno degli amici più cari fin dalla adolescenza divisa tra Bar Gallico e Piper, dormiva accucciato su un bracciolo con la penna e il notes stretti in pugno.

“Sa… arriviamo direttamente da Milano. Tutta la notte alla guida.” Inventai per il direttore.

La stramaledetta Hero e la rota, enunciata per gli amici come influenza. Era un suo classico.

Su un volo New York Chicago vedo le hostess camminare tra le fila cercando qualcosa, domando cosa accade e una mi risponde che c’è odore di fuma. Mi volto a guardare lui al mio fianco e vedo che se ne sta bello abbioccato con la mano completa di Marlboro accesa abbandonata sul bracciolo.

A parte questo vizietto è stato un compagno di strada caro e geniale, dotato di un cervello brillantissimo.

Era sostanzialmente una routine tediosa il far confezionare abiti da pret a porter d’alta moda e poi venderli seguendo sempre i soliti canali.

Non credetti fosse un nuovo canale l’offerta di tre annoiate nobildonne romane che decisero di assumermi perché gli disegnassi una collezione che poi loro avrebbero provveduto a creare. Toccai il massimo della mia creatività inventando un abito a tre maniche che nessuno comprese e la collaborazione andò a rotoli.

Clientela romana per lo più di mezza età, mogli di politici e benestanti che lasciavo costantemente nel dubbio se io fossi o no gay dal momento che non ne avevo l’aspetto ma con nessuna di loro avevo mai tentato alcun approccio nonostante davanti a me si spogliassero per prove e misure.

Le avevo sorprese a chiacchierare tra di loro circa le scarse prestazioni del tizio o il fetore delle estremità del tal altro.

Lungi da me e oltretutto una delle caratteristiche ereditate dal buon Casanova era quella di una fedeltà caparbia alla donna che in quel momento divideva la vita con me.

Quanti fottuti rammarichi a posteriori. Potrei ricordarle una per una, ma allora era più forte di me anche se le mie compagne non ci hanno mai creduto.

Quando una storia aveva ormai scritto la parola fine cercavo di recuperare il tempo e le occasioni perdute. Senza ansia ovviamente ma ambienti comuni che offrissero occasione di ritrovarsi o incontri fortuiti come ad un party romano nell’ambiente moda dove mi vedo venire incontro Dyana, un’indossatrice americana, sorridente e bella come quando l’avevo tenuta ben lontana qualche anno prima. Un abbraccio pieno di lieta sorpresa e via di corsa nel suo albergo e giusto il tempo di stappare qualcosa ed eravamo dentro il letto a recuperare il tempo perduto.

Piacevolssima, elegante e partecipe Dyana, soltanto che ogni tanto la sorprendevo a bagnarsi le dita e passarsele tra le cosce. Sigaretta tra le labbra, un po’ di pausa bevendo ancora qualcosa poi ci rimettemmo all’opera con lei che domandava perché nei tempi passati l’avessi ignorata.

Strada facendo domandai: “Ma ti non ti bagni proprio?”

“Non posso bagnarmi. Sono operata.”

“Ah… non mi ero accorto di nulla.” feci; un po’ stupido, immagino.

Pomo di Adamo non ne scorsi neppure allora. Spiai piedi e mani ma apparivano assolutamente femminili. Il seno era quello di una giovane donna senza ombra di bisturi né sospetto.

Il carattere poi, anche dopo questa rivelazione restò solare e di dolce compagnia. Mai più vista dopo quella notte e qualcuno mi ha detto che è morta suicida anni dopo a New York.

L’ambiente della moda significa mescolare ogni tipo di gente, finanche Totò De Lillo, fabbricante di t-shirts alla periferia di Napoli che accolse me e il mio socio, quello che soffriva di subdole influenze, in un rustico fatiscente ma con una immensa scrivania su cui campeggiava un busto di Mussolini completo di fez.

Lui, cinquantenne ostentamente omosessuale, stringeva al petto un pechinese candido.

Facemmo l’affare, magliette stampate, e quando andai a ritirarle, saldo alla consegna e in omaggio un inatteso bustone con una trentina di pezzi di taglia piccola per i miei figli. Arrivederci e grazie ma quell’occasione mi insegnò anche altro. Un amico coattone romano era venuto con il suo furgone per guadagnarsi qualcosa e sul ritorno all’imbocco dell’autostrada capitammo all’alt di un posto di blocco della finanza. Documenti e controllo della merce a bordo.

Ero rilassatissimo dal momento che avevo tutti i pezzi di carta in regola ma quando tirarono su la busta grigia con le magliette piccole e spiegai che erano un regalo per mio figlio: “E noi non abbiamo figli?” fece uno dei finanzieri.

Io lento di comprendonio, ma il coattone che guidava il furgone prese subito un altro sacchetto con le magliette e lo tese al militare che però tirò indietro le braccia. “Portalo dentro la nostra macchina.”

Io nella parte dell’idiota ma la merce arrivò a Roma senza multe e sequestri.Mistero dei misteri della moda, tornare un paio di anni dopo alla fabbrica del signor De Lillo e trovandola chiusa domandare di lui a una tizia seduta al sole lì fuori. “Eh, quello De Lillo lo rivedete fra tredici anni.”

“Perché?”

“Quello gli hanno dato a Cremona. Rapina a mano armata.”

 

 

 

 

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Commenti: 22

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John Flores

Bel racconto… Cissa’, se fossi rimasto in Italia, forse avremmo lavorato assieme…. io ho fatto tantissimi disegni per magliette, a NY per un amico che se le faceva stampare in India, e poi a SF, dove disegnai escusivamente per un negozio di magliette su Haight Street….

 

Pino Cino

t-shirt people. gentaccia. pensa che la più bella che m’ero inventata ancora la devo fare. Doveva essere una maglietta bianca con un buco di bruciatura da arma da fuoco in corrispondenza del cuore con scritto sotto “Made in Italy”. Un giorno la farò

 

John Flores

Pino,

Secondo Sandro Stacchi, il Piper Market addirittura mi deve per aver stampato dei miei disegni su magliette a mia insaputa….

 

Alessandra Vassallo

John Flores

io tante t-shirts a Caracas per le fabbriche con orsetti e gattini. Orribili, ma così mi guadagnavo da vivere e chi se ne frega?

 

Alessandra Vassallo

E pure una serie con palme e scritto: i love Venezuela.

E le vendevo nei negozi dell’aeroporto.

 

John Flores

Alessandra,

si fa cio’ che si deve…. anche io vendevo roba con scritto I  NY… o The Big Apple… fatti con l’aerografo, anche roba per bambini e neonati… piccole magliettine o pantaloncini con bretelle…. hahahahaha

 

Alessandra Vassallo

John Flores

e mi divertivo pure!

 

Abigail Garfagnoli

John Flores

il Piper Market- ci andavo dopo scuola!!!

 

Pino Cino

Abigail Garfagnoli

tuffi nella nostalgia?

 

Abigail Garfagnoli

Pino Cino

all’epoca mi pareva la caverna di Ali Babà!

 

Sandro Ludovisi

bello, come

 

Pino Cino

grazie, Sandri’

 

Alessandro Antonaroli

Piacevole

 

Pino Cino

certo che si

 

Eddi Vincenzi

Se non ti conoscessi. Direi, certo che ne ha di fantasia sto tizio. Il bello di Pino? Il suo vissuto

 

Eddi Vincenzi

A Positano il più famoso era Pepito, mi feci fare dei pantaloni Rosa.

 

Piera Fauro

Eddi Vincenzi

rosa a righe

 

Claudia Ferrari

non male

 

Stefano E. Stef

Sempre belle storie

 

Alessandra Belloni

another great story! altro che libro questo e’ in bellissimo film!

 

Emanuela Limiti

grande Pino

 

Alberto Dentice

Un’altro fantastico capitolo della tua vita avventurosa. Grazie monsieur Casanova.

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