Il 10 Dicembre 1969 stavo tornando a Roma per Natale e mi ero fermato qualche giorno a Milano da mio fratello e mia cognata a cui era nata una figlia da pochi mesi. Venivo da Amsterdam dove vivevo dipingendo e facendo lavori saltuari per pagare le bollette. Erano gli anni del “Paradiso” e del “Milky Way”, dei Provos, di John e Yoko a letto per la pace in Vietnam in un hotel del centro. Gli hippies si accampavano nel Vondel Park o si parcheggiavano sotto l’obelisco del Dam a suonare bongos e flauti. C’era una nave ancorata in un angolo dimenticato del porto, la Caledonia, una vecchia nave che in gioventu’ aveva fatto le rotte coloniali di Sumatra e delle colonie olandesi di Indonesia. Per arrivarci bisognava fare una buona mezz’ora in bicicletta a volte contro l’implacabile vento olandese.Le autorita’ di Amsterdam la usavano come “Casa degli Studenti” ed affittavano le cabine a prezzi irrisori. Senza alcun controllo da parte dell’Universita’ la nave presto si trasformo’ in una centrale di smistamento e consumo di acido e hashish. Nei saloni si suonava jazz e rock e si passavano le notti andando e venendo. Possiamo dire che regnava una piacevole anarchia. La facolta’ di chimica produceva un LSD molto buono. Una pillolina azzurra grande come la testa di un chiodino che gentilmente ti trasportava nell’aldila’ e ti spiegava, se eri attento, i misteri del funzionamento dell’Universo, con Paperino e Pippo nelle parti di Virgilio e Dante.Una sera uno studente che conoscevo, non ricordo il nome, mi propose di vendergli un quadro in cambio di un po’ di acidi. Il giorno seguente portai il quadro e lo studente tiro’ fuori da una borsa una bottiglietta di vetro marrone piena di pillole. “Ce ne saranno 500” mi disse, “va bene?”. Sul tavolo c’era un grosso pezzo di libanese cosi’ dissi che volevo anche un pezzo di hash. Lui scaldo’ un po’ la lama di un coltello e poi taglio’ un bel pezzo, forse 40/50 grammi e concludemmo l’affare fumando la pipa della pace.Avevo gia’ il biglietto del treno per Milano per la sera dopo, quindi si trattava di come portarsi dietro tutta quella roba… Per le pillole non c’era problema, comprai una medicina qualunque, buttai le pillole che c’erano e ci misi le mie. Per il fumo comprai un pancake al miele, lo aprii con attenzione e sotto scavai uno spazio per l’hash e lo richiusi ermeticamente.La sera seguente in treno passammo la terribile frontiera tedesca. A noi italiani ci trattavano di merda, bruschi, schifati, sospettosi con i loro stivali neri, per loro noi eravamo i sottosviluppati, gli immigrati che puzzavano di aglio e sudore e rubavano il lavoro ai tedeschi. Pass Control, gridavano per svegliare quelli che dormivano. E poi occhiate interminabili ai passaporti tanto per metterti in soggezione. Ma in quegli scompartimenti zeppi di italiani meridionali viaggiava una grande umanita’ e solidarieta’ che in quelle poche ore notturne compartiva con te cibo e bevande e racconti di famiglie e luoghi di nascita. Ma quella era una frontiera che non mi preoccupava, neanche la prossima, quella svizzera, anche se altrettanto razzista. Nel treno c’erano tutti immigrati italiani che tornavano a casa per Natale e i doganieri erano ben contenti di vederli andare via.I problemi li avrebbero avuti al ritorno, dopo le feste, tornando al lavoro nelle fabbriche e miniere del nord. La frontiera che mi preoccupava era quella italiana, Chiasso.Ci arrivammo la mattina verso le 6:00. Facce stanche, occhi addormentati, voglia di caffe’.Il treno si fermo’ per fare entrare i doganieri. Io tirai fuori il mio pancake e lo misi sul tavolino dello scompartimento e ne tagliai un paio di fettine. Quando arrivo’ il doganiere stavo mangiando una fetta di torta. Mi resi conto di non essere invisibile non ero un emigrante ma un capellone…capelli lunghi, non so perche’ mi ero tagliato i baffi e vestivo una specie di pelliccetta militare grigia che avevo comprato al mercato di Waterloo Plein tutto normale ad Amsterdam ma per l’Italia non molto. Il doganiere mi scruto’ e mi face aprire la valigia…Vestiti, roba da barba, un paio di libri, aspirine e altre medicine. Tutto OK. Era andata. “E’ fatta!” pensai. Ma mi sbagliavo, il bello doveva ancora venire.Passai un paio di giorni a Milano con mio fratello e famiglia e la sera del 12 Dicembre andai alla Stazione Centrale per prendere il treno rapido delle 21:00.In quegli anni, fino al compimento di 28 anni, per grazia ricevuta essendo il figlio di mio padre che fu un grande ufficiale della Repubblica Italiana, viaggiavo gratis in prima classe ovunque in Italia. Privilegiato, ma questo non e’ il punto del mio racconto, solo in parte.Tutto cio’ che dovevo fare era andare alla biglietteria e farmi mettere un timbro su un tesserino di identita’ con la origine e la destinazione del viaggio.Prima di prendere il treno girai un po’ per la stazione, comprai un paio di cartoline in uno stand e poi comprai altre due o tre cartoline in un altro stand. Quando andai a pagare il tipo dello stand voleva farmi pagare anche quelle che avevo comprato prima. Dissi che le avevo comprate da un altro ma il tipo non ci credeva, io insistevo, il tipo alzava la voce. Il venditore di prima non mi appoggio’ quando gli chiesi di dire come stavano le cose. Traditore! Intanto si era formata una piccola folla di curiosi e pensai che non era il caso di insistere cosi’ pagai le cartoline, ingiustamente, e tutto si calmo’. Poi chiesi al primo venditore perche’ non aveva detto la verita’: “ Non potevo mettermi contro un collega”, fu la risposta. Incazzato andai a sedermi in prima classe.I treni erano ancora a scompartimenti da sei persone, la prima classe era un po’ piu’ comoda della seconda ma niente di speciale, scelsi uno scompartimento dove c’erano due posti liberi, uno di fronte all’altro accanto al finestrino. Ricordo un signore calvo con la moglie e altri due tipi anonimi. Tutti con valige enormi. La mia valigetta trovo’ posto in un angolo.Entro’ un nuovo passeggero e si sedette di fronte a me. Scuro di capelli, barba non fatta, pantaloni neri scarponcini neri con il Vibram. Con un maglione blu di quelli della polizia stradale e, sotto, una camicia blu. Non aveva valigia ma una bustina di plastica nera a righe per la barba, il dentifricio e lo spazzolino da denti. Si vedeva impacciato. Cominciai ad osservarlo con la coda dell’occhio mentre facevo finta di leggere un libro.Scarponcini neri: da carabiniere, pantaloni neri: da poliziotto, golf blu: da poliziotto motociclista, di quelli con i tagli sulle spalle per far passare le spalline militari. Camicia color blu carabiniere. Non aveva valigia. Conclusione: un poliziotto che stava seguendo me e glielo avevano ordinato all’ultimo minuto cosi’ che si e’ dovuto inventare un vestito “borghese” mettendo insieme un accrocco di pezzi di divise sul momento. Il punto era: perche’ sta seguendo me?. Non puo’ sapere che ho con me hash e acidi e se lo sospettavano potevano fermarmi alla stazione. Qualcosa non quadrava ma comunque i campanelli di allarme stavano suonando.Arrivo’ il controllore. Prima i tipi accanto a me poi il signore calvo e sua moglie poi io. Fu la volta del tipo davanti a me, nervoso in viso mostro’ il suo biglietto. Il controllore disse che era un biglietto di seconda classe e quindi doveva cambiare carrozza. Ovvio che i poliziotti viaggiano per principio in seconda classe ma sanno distinguere fra prima e seconda quindi non era un caso che stesse li’, oppure erano cosi’ sciocchi da presumere che io, capellone, avrei viaggiato in seconda.A quel punto il poliziotto cerco’ di resistere, aveva una missione importante per essere li’: seguiva me, ma non poteva dirlo apertamente, fin li’ ci arrivava anche lui. Dovette alzarsi e andarsene con la sua bustina di plastica. Lasciai passare qualche istante e poi feci capolino fuori della porta e vidi alla fine della carrozza il tipo discutere animatamente con il controllore.Mi immaginavo cosa stava dicendo ma ormai aveva fatto la frittata e doveva andare in seconda.Il viaggio fino a Roma lo passai in paranoia. Il pezzo di hash era in valigia insieme ai 500 acidi ma come potevano saperlo? E se lo immaginavano perche’ mandare uno a seguirmi? Potevano fermarmi a Milano se volevano. Non capivo la meccanica ma ormai ero certo che quello era sul treno per seguire me.Arrivammo a Roma al mattino presto. Decisi di rischiare e lasciare le cose come stavano senza gettare acidi e fumo. Cominciai a camminare lungo il binario insieme alla folla di viaggiatori cercando di essere piu’ invisibile possibile. Alla fine del binario ci fu la traversata della Stazione Termini. Mi fermai per guardare indietro facendo finta di guardare l’orologio. Sembrava tutto tranquillo. Continuai indisturbato verso l’uscita e poi verso gli autobus. Non successe nulla.All’edicola vicino la fermata del 70 i giornali riportavano titoli cubitali:BOMBA ALLA BANCA DELL’AGRICOLTURA DI MILANO, 13 MORTI e 90 FERITI. Mentre io stavo andando alla stazione il giorno prima qualcuno aveva fatto esplodere una bomba in quella banca e ucciso 17 persone.Ecco la ragione del goffo pedinamento di cui ero stato il Personaggio di Interesse Numero Uno? Ero stato scambiato per un volgare sospetto bombarolo e mi avevano messo alle calcagna un piedi piatti di terza categoria? Il non essere stato pedinato da miglior segugio era offensivo e declassante.Nei giorni seguenti ci furono retate di “anarchici” a Milano e pochi giorni dopo ci fu la notizia della morte “accidentale” di Pinelli nella questura di Milano. Tempi bui si avvicinavano.
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