… la signorina nel frattempo si era andata a mettere dietro a Bom Shankar, che sedeva beato sul seggiolone. La osservavo rapito mentre, col suo modo spontaneo e fanciullesco, aveva abbracciato il testone del Baba, che aveva la gran crocchia di capelli raccolta e avvolta nel manto antracite, e glielo cullava tenendoselo stretto sul petto. Bom Shankar teneva gli occhi socchiusi e mormorava un sommesso Ommm di piacere. Questa familiarità di Julla col Baba, che la spingeva fino ad avere un contatto così confidenziale con lui, mi stupiva e non faceva che accrescere la mia ammirazione per lei. “Attento a queste dolci pussycat…” mi ricordò Paco, “se t’innamori sei perduto:” “Giel’ho detto, gliel’ho detto”, infierì Bruno, “le donne in India portano sfiga!” Una provvidenziale voce proveniente dal basso mi richiamò via da quei due gufi. “Monkey-man, John ha bisogno del tuo aiuto.” Solo allora mi ricordai del falò e vidi in lontananza la pira avvolta in un fumo grigiastro che saliva denso verso il cielo. Mi avvicinai e trovai John preoccupato. “Il tempo sta cambiando… la legna è umida… non so perchè ma questo dannato catafalco non ne vuole sapere di accendersi…” Mentre cenavamo, infatti, le nuvole, che si erano già preannunciate nel tardo pomeriggio, avevano coperto il cielo precludendoci la vista delle stelle e della stessa luna che a quell’ora avrebbe già dovuto essere spuntata dietro i monti. “Proviamo con della carta”, suggerii io. “La carta da queste parti è merce rara, non si può sprecare così…” si lamentò John. Andai io stesso a chiedere ad Alì qualche vecchio foglio di giornale e quando tornai provammo a bruciare alcune di quelle pagine appallottolate. Ma dopo un’intensa ma breve accensione, una volta esaurito quel fugace combustibile, un fumo bianco e denso fu l’unico risultato che continuò a sprigionarsi dalla catasta. Alcuni cominciarono a commentare saccenti: “Te l’avevo detto , monkey-man, di mettere legni più piccoli.” “No, doveva adoperare un bel po’ di paglia, avevo ragione io…” A me soprattutto dispiaceva il fatto che, a causa delle nuvolaglie, avremmo dovuto rinunciare perfino a godere dello spettacolo della luna piena. Era forse lo scotto da pagare per non essermi recato per tempo ad Amarnath?… Ci tuffammo in una terapia antidepressiva a base di raja-cyllum. Passò poco ed ero ormai distratto dalla presenza di Julla che mi si era seduta a fianco, quando qualcuno gridò: “Guardate laggiù!” Tutti ci alzammo in piedi e guardammo in direzione della pira in fondo alla radura. Qualcuno dava forti colpi di bastone sulla catasta di legna, mentre turbini di scintille cominciavano a schizzare come lapilli verso il cielo. “Ma chi è, chi è laggiù?” chiedevano tutti. Ad un tratto partirono dalla catasta come fuochi d’artificio ed improvvisa si accese la fiamma, una lingua di fuoco enorme che avvolse in un attimo tutta la struttura lignea attraversandola in un lampo di luce abbagliante. Nello stesso momento le nubi si squarciarono sopra i boschi e furono inondate di luce argentea. “Guardate, la luna, la luna!” urlai esaltato. Il disco enorme si era affacciato tra i brandelli di nubi bluastre ed ormai riversava sulla radura il suo fascio di luce opalescente. Intanto davanti al fuoco si era materializzato un profilo sottile, i capelli sciolti lunghi fino ai piedi, che danzava nudo suonando forsennatamente un piccolo flauto traverso, una figura d’oltretomba, un essere mitologico aldilà del tempo e dello spazio. La scimmia mi era saltata al collo e si teneva avvinghiata ai miei capelli al colmo dell’eccitazione. “Bom Shankar! E’ Bom Shankar!” gridò Pilar come impazzita di gioia, e tutti gridarono festanti: “Bom Shankar, Bom Shankar!” Ci avvicinammo lentamente, abbagliati dalla fiamma, con la cauta riverenza di chi si accosta ad una apparizione miracolosa. Ma quando arrivammo nei pressi del falò, il vecchio Baba si era già riavvolto nel suo nero mantello, e a noi che lo guardavamo in silenzio ad occhi estasiati disse semplicemente: “Ho acceso il fuoco.”
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