Isola di pirati.
L’aereo rimase fermo a Trinidad un paio di ore. Nuovi passeggeri entrarono ma accanto a me non si sedette nessuno. I miei misteriosi compagni di viaggio erano scesi e non li avrei mai piu’ rivisti, o almeno cosi’ pensavo. Sulle mani mi era rimasto un po’ di profumo della donna e quello era l’unico segno che non avevo sognato.
Finalmente si decollo’ e dopo un’ora stavamo atterrando a Barbados.
Un tassista mi consiglio’ un alberghetto vicino alla spiaggia, circondato dal verde, fiori, palme alberi di banane, cinguettii di pappagalli e, la sera, un continuo cantare di rane. Il padrone dell’hotel volle essere pagato in anticipo e al darmi la chiave mi disse di non perderla e di non farmela rubare sulla spiaggia.
Storie di pirati vennero subito in mente il mattino seguente mentre traversavo un boschetto di palme e cespugli che portava a una spiaggia praticamente deserta, stretta fra mare e palme.
Non c’era nessuno per chilometri cosi’ lasciai i vestiti sulla riva bene in vista e mi immersi nel Mar dei Caraibi. Premetto che non sono un nuotatore quindi rimasi dove si tocca guardando la spiaggia per controllare che non passasse nessuno. Rimasi in acqua forse un quarto d’ora e al tornare a riva i vestiti non c’erano piu’. Veramente non era passato nessuno come cavolo … Notai una traccia continua sulla sabbia che dal punto dove si trovavano i miei vestiti andava dritta verso il boschetto. Seguendo la traccia, al limite dei cespugli, c’erano i miei vestiti e, nascosto fra i cespugli, un lungo palo con un gancetto fatto con una lattina della Coca Cola con cui i ladruncoli, chissa’ perche’ pensai che erano stati dei ragazzini, avevano fatto strisciare i miei vestiti fino ai cespugli senza essere visti.
Naturalmente avevano rubato la chiave, unica cosa che avevo in tasca, soldi e passaporto erano stati lasciati in albergo. Mi avevano rubato la chiave esattamente mezz’ora dopo che ero stato avvertito di stare attento. Una tecnica cosi’ non l’avevo mai vista. Confesso che sentii un senso di ammirazione per la trovata che sicuramente aveva richiesto ore di osservazione degli usi e costumi dei turisti, ne aveva tratto la logica conclusione e chissa’ quanti ne avevano fregati. Geniali eredi di pirati. Il padrone dell’hotel mi fece una romanza di un’ora e mi fece pagare (troppo) un nuovo lucchetto e nuove chiavi. Si arrabbio’ perché me lo aveva detto e quando gli spiegai come mi avevano fregato si mise a ridere e disse che fanno sempre cosi’. Ma non me lo poteva dire?
Nel pomeriggio decisi di visitare Bridgetown, la capitale. Un autobus scassato e rumoroso, mi lascio’ di fronte alla piazza del mercato. C’erano banane di tutte le misure, da quelle non piu’ lunghe del dito indice a quelle spropositatamente grandi, alcune gialle altre rosse altre verdi. Pesci di tutti i tipi e una fila di friggitorie ambulanti dove potevi portare il tuo pesce e farlo friggere. Girare per i mercati e’ uno dei piaceri del viaggiare. Comprai una bottiglia tascabile di rum fatto in casa e cominciai a camminare senza meta per la citta’. Scoprii che la luce dei Caraibi era fortissima e a volte sembrava di vedere in bianco e nero tanto forti erano i riflessi del sole e tanto scure erano le ombre. Quasi tutte le case erano dipinte di bianco e oltre il porto, passato un canale, ce ne erano di molto belle circondate da giardini con palme altissime. Alcune erano vere mansioni, con i tetti spioventi ed i porticati tutto intorno, ricordi e testimonianze del passato coloniale. In una di quelle ville il giovane George Washington si ammalo’ di febbre gialla e fu curato dalle schiave del padrone di casa. Barbados, come tutte le isole dei Caraibi, fu una colonia schiavista, produceva canna da zucchero e melassa che veniva venduta ai mercanti di Rhode Island con la quale producevano Rum. Il rum veniva trasportato in Inghilterra e venduto a quegli ubriaconi degli Inglesi. Con i ricavati le stesse navi andavano direttamente sulle coste del Senegal approdando ad una isoletta di fronte a Dakar chiamata Gorée. Quell’isoletta graziosa e fiorita da buganvillee di tutti i colori e circondata da un mare limpido e turchese fu uno spietato mercato di esseri umani, catturati, incatenati e venduti dai pirati olandesi, francesi e spagnoli a quegli stessi commercianti di Rhode Island che li incatenavano a centinaia nelle stive delle loro navi e li portavano ai mercati delle isole dei Caraibi e delle colonie nelle Americhe, in Virginia, Georgia, Florida, Luisiana. Cuba, Santo Domingo Jamaica, la Martinica, Guadalupe, erano tutti possedimenti, a seconda dei casi e delle epoche, della Francia, Spagna, Inghilterra e Olanda ma anche dei Gesuiti che in Guyana possedevano piantagioni di zucchero e cacao dove sfruttavano novecento schiavi o in Martinica dove i frati Domanicani possedevano cinquecento schiavi. Gli europei avevano bisogno di schiavi per sviluppare l’agricoltura.
Con i ricavati della vendita degli schiavi i mercanti compravano altra melassa con cui fare altro rum da vendere agli inglesi per poi comprare altri schiavi da portare in America. E cosi’ via finche’ la Guerra Civile Americana non mise fine a quel proficuo commercio triangolare nel 1865. Barbados, colonia inglese, era stato un attivo centro di commercio di schiavi ma l’Inghilterra aboli’ la schiavitu’ ed il commercio umano nel 1807 emancipando gli africani nel 1833. Tutto sommato data la situazione storica a questa gente gli era andata meglio con gli inglesi che con gli americani. Tutto questo lo appresi in un piccolo e malandato ma interessante Museo della Schiavitù che mostrava gli orrori di quella realta’.
Gli abitanti di Barbados erano i discendenti di quegli schiavi ed avevano ottenuto l’indipendenza da una decina di anni, nel 1966 e gli inglesi avevano lasciato in eredita’ la loro impronta coloniale di pulizia ed ordine che pero’ si fondeva con la sonnolenta rilassatezza e la tranquillità’ della popolazione locale.
Tornato in hotel aprii la bottiglia di rum che avevo comprato al mercato. Era squisito e aromatico e aveva un sapore leggermente affumicato. Era fortissimo e senza accorgermene in un breve lasso di tempo mi ritrovai a barcollare in cerca di un letto dove crollare. E quello fu il mio primo incontro con il rum.
Il mattino seguente con la risacca in corpo tornai a Bridgetown. Il mercato stava chiudendo e le donne si affrettavano a caricare la loro mercanzia sui tetti degli autobus con cui sarebbero tornate a casa. Mi infilai in uno di quegli autobus per vedere dove andavano. Traversammo l’isola verso la costa Atlantica. Appena fuori Bridgetown si apriva il paesaggio caraibico. Vallette e colline verdissime, palme e banani un po’ ovunque. Esattamente come nell’immaginario esotico dell’europeo medio. Sembrava l’isola di Papillon. Mentre la costa ovest era turistica e piena di spiagge, la costa est era una lunga scogliera ventosa a precipizio sull’oceano Atlantico che la batteva con onde veloci e violente. Lungo la scogliera c’erano villaggi di capanne e casette colorate con i loro orti e alberi di banana. Non esistevano fermate prestabilite, i passeggeri gridavano qualcosa e l’autista si fermava per farli scendere. Ogni tanto arrivavano dei nuvoloni nerissimi che scaricavano docce di pioggia torrenziale per alcuni minuti per poi sparire e lasciare che il sole tropicale asciugasse subito tutto . L’isola risulto’ essere abbastanza piccola, larga 25 chilometri e lunga 34. L’autobus fece tutta la costa e ritorno’ alla piazza del mercato.
All’hotel erano arrivati due nuovi ospiti. Due tedeschi bianchi e biondi ai quali il padrone stava dando la chiave della stanza con la solita romanzina del non farsela rubare, senza dire come… Cominciai a pensare che stava d’accordo con i ladri e con il ferramenta. Appena se ne ando’ misi in guardia i due tedeschi sulla tecnica usata in spiaggia. Quella sera decidemmo di andare a cena insieme a Bridgetown.
Non lo avevo capito ma i due erano omosessuali e appena in taxi uno di loro allungo’ una mano dritta in mezzo alle mie gambe. Mi irrigidii, lui capi’ l’antifona e ritiro’ la mano dicendo qualcosa come “ E’ comunque troppo piccolo”… meglio cosi’ pensai. In citta’ andammo su e giu’ cercando una friggitoria di pesce e ci fermammo vicino alla piazza del mercato dove ce ne erano diverse. Praticamente il pesce veniva gettato in un calderone nero e affumicato pieno di olio bollente, in un paio di minuti era pronto, perfetto e dorato. Lo servivano su un foglio di giornale insieme a sale e limoncini verdi ed una bottiglietta piena di liquido rossastro estremamente piccante che decisi di chiamare “Fire water”. Bevemmo varie Banks, la birra di Barbados. Intanto uno dei tedeschi aveva adocchiato un ragazzo muscoloso seduto accanto a noi e cercava di rimorchiarlo. E come ti chiami, e che fai, sei di Bridgetown?… etc etc .
Lo convinse di venire a fare un giro al porto con noi. Fatalmente decidemmo di bere due o tre bicchieri di rum e finimmo per essere un po’ ubriachi. Si decise di tornare in albergo. Il ragazzo di Barbados, chiamiamolo George, era ormai coinvolto con il tedesco e al momento di salire sul taxi venne convinto a venire con noi. Io mi sedetti davanti e loro tre dietro. Appena partiti partirono le mani, ma George non era convinto. Voleva dei soldi ma il tedesco diceva di non aver mai pagato per l’amore. George disse che non si trattava d’amore, ma di soldi. Io seguivo le contrattazioni dall’esterno e George aveva capito che io non entravo nel gioco e cercava la mia complicita’ mentre il tedesco insisteva nel non voler pagare. Alla fine dissi al tedesco che George non aveva nessun interesse in lui se non per i soldi, quindi se voleva andarci a letto doveva pagare. Arrivando all’hotel finalmente si erano messi d’accordo, ma George non sembrava affatto convinto. Finalmente ci salutammo e ognuno nella sua stanza. Circa mezz’ora dopo il classico silenzio della notte fu interrotto da grida e rumori di bottiglie rotte, mobili trascinati e probabilmente sedie che volavano. Venivano dalla stanza dei tedeschi. Decisi di dare un’occhiata. La porta del tedesco si apri’ improvvisamente e George nudo con i vestiti in mano usci’ velocemente dalla stanza e correndo nel giardino spari’ nel buio del boschetto di palme. Il tedesco innamorato usci’ barcollando dalla stanza e venne a sedersi accanto a me. Era ricoperto di sangue che usciva a fiumi dal naso, dove aveva ricevuto un tremendo pugno che gli aveva rotto l’osso e l’orgoglio. Piangeva, non so se per dolore o per amore, o per tutte e due le cose. Il suo amico era terrorizzato e immobile. La loro stanza era un classico casino, sedie rivoltate, il letto sottosopra, sangue sul pavimento. Qualcosa era andata storta… Feci sdraiare il tedesco sul letto e gli applicai bende bagnate sul naso e sulla fronte. Intanto l’occhio destro cominciava ad annerirsi. Il racconto dell’accaduto fu che finche’ la parte della donna la aveva fatta il tedesco, tutto era andato bene ma quando si tratto’ di invertire le parti cominciarono i problemi. George non ne voleva sapere di girarsi mentre il tedesco non prendeva il no per un no e insistendo aveva cercato di metterselo sotto. Apparentemente non fu una buona idea perche’ George ando’ fuori di testa e cerco’ di liberarsi a calci e pugni, uno dei quali arrivo’ puntuale sul naso del tedesco.
Gli diedi la buona notte e andai a dormire. Pensai che essere omosessuali era uno stile di vita pericoloso, almeno a Barbados.
Ripartii la mattina seguente alla volta di Caracas. I saluti in tedesco furono brevi ma affettuosi. In fondo quei due mi stavano simpatici, li trovavo anche ingenui e disarmanti. L’occhio destro era decisamente viola ma il sangue si era fermato e la mia diagnosi fu “cinque giorni di riposo, pesce fritto, banane e ananas. Tre bicchierini di Rum al giorno e niente sesso per una settimana.
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