Archimede

C’era una volta… a Talenti, quartiere periferico di Roma, uno spazio che era stato risparmiato dalla furia costruttrice dei palazzinari degli anni ’50- ’60, e che noi ragazzi, appena adolescenti, usavamo per farci le evoluzioni con i motorini e le prime vespette dell’epoca, spazio che quindi prese nome di “motocross”. Andavamo al “motocross” il pomeriggio, dopo essere usciti da scuola e fatto sommariamente i compiti, e ci riunivamo sul prato, i ragazzi con i capelli che cominciavamo a farci crescere, tra la disperazione dei familiari, e le ragazzine con minigonne inguinali che attiravano gli sguardi libidinosi degli adulti. E anche i nostri, che ci sfogavamo a pippe, dato che eravamo quasi tutti ancora vergini. Lì al “motocross” sperimentammo le prime pasticche, ricordo il Revonal, “sedativo non barbiturico”, come era scritto sulla scatola. E lì provammo il primo spinello, un pezzetto minuscolo di pakistano nero mischiato a due sigarette che fumammo in una buona dozzina, e che non mi fece niente, dato che il tabacco mi dava la nausea e preferivo di gran lunga l’effetto analgesico delle pasticche mischiate a qualche superalcolico. Cominciai ad appezzare di più il fumo quando, all’inizio dell’estate, prese a frequentarci uno dei miei primi maestri di vita. Sbucava dall’alto di una collinetta al bordo del “motocross”, sagoma scura in controluce del tramonto, e si avvicinava a lenti passi verso la nostra postazione. Saltavamo subito in piedi giulivi: “Archimede, Archimede!” Era costui un giovanotto più grande di noi, segaligno, baffoni spioventi e lunghi capelli lisci e folti che gli scendevano sulle spalle. Sembrava uscito da un film “spaghetti western”. Parlava lento, con voce biascicata, e dalle fessure dei suoi occhi brillava una luce misteriosa ed ammaliante. Per noi ragazzini era un mito, specialmente quando tirava fuori dal tascapane dei bei tocchi di roba polverosa verde, hashish turco credo, e ci offriva da fumare senza chiederci nulla in ricompensa. Abitava vicino al “motocross” in certe palazzine popolari al confine del Tufello, con una famiglia composta da diversi fratelli con nomi altrettanto altisonanti del suo: Ovidio, Aristotele, ecc. ecc. Viveva con loro la madre, paciosa figura di contadina benevola. Andai spesso a trovarlo anche a casa, quando volevo farmi una fumatina, ed ebbi così occasione di conoscere tutta la famiglia, anche se spesso, per lunghi periodi, vi abitava da solo. Passavano i mesi e, ad inverno ormai inoltrato, un tardo pomeriggio andai a trovarlo e lo trovai in compagnia di amici che mi parvero straordinari. Ce n’era uno, Farina lo chiamavano, che pensai fosse un soprannome, altissimo, magro magro, capelli lunghi fluenti fino a metà schiena, con un volto rinascimentale che sembrava uscito da una pittura di Raffaello. Era accompagnato da due fanciulline deliziose, vestite all’indiana, con parei e monili al collo, ai polsi e alle caviglie, tutte abbronzate nonostante la stagione fredda inoltrata, e scalze. Erano tutti appena tornati dall’India ed io ero estasiato dalla loro bellezza e dall’aura di misteriosa consapevolezza che li avvolgeva. Le ragazze si misero a fare dei chapati, alcuni con pezzi di patate ed altri con pezzi di frutta e inzuccherati, che mi parvero cibo degli dei. Poi ce ne uscimmo nel prato antistante, ci sedemmo in circolo e ci accendemmo un cyllum. Tutti parlavano sommessamente, ma con grande intensità, di templi, di spiagge tropicali e visioni psichedeliche. Poi prendemmo dei pezzi di mobili abbandonati sul prato e accendemmo un gran fuoco. Lì, sotto a un cielo stellato e terso, mentre la fiamma bruciava alta su quel brullo prato di periferia romana, ed io a quel riflesso intravedevo quei volti angelici, esotici ed esoterici, per la prima volta mi sentii già spiritualmente in India e presi la decisione irrevocabile di recarmici non appena mi fosse stato possibile.

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I miei articoli

Viva Peyote-11 Postscriptum

Voglio ringraziare quanti hanno letto con interesse questo mio racconto e mi hanno manifestato la loro empatia. Purtroppo debbo confessare che non sono più tornato

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