1968/71 – Gli ultimi anni in Italia.

1968/71 – Gli ultimi anni in Italia.

Pacifista, e antimilitarista, non avevo nessun interesse di fare il militare. Se mia madre non avesse insistito, ero pronto a lasciare Roma per andare a vivere a Londra. Feci il Corso ASC a Rieti, sognando la California e “L’Estate dell’Amore”, la Summer of Love degli hippie a San Francisco, posto dove ultimamente nel 76 andai a vivere per 44 anni. Dopo tre mesi, caporale, passai a Cesano, da dove scappavo molte volte, mettendomi in borghese e facendo l’autostop fino a Roma, per andare a trovare gli amici e farmi delle belle fumate. Poi, i superiori mi sgamarono e mi misero sotto controllo, limitando le mie libertà di movimento. Da caporalmaggiore fui trasferito a Cormons, (Gorizia) al confine con la Yugoslavia, e poi gli ultimi tre interminabili mesi di naia, ma con il grado di Sergente, quindi con più autonomia, pasti migliori alla mensa sottufficiali, la divisa con camicie e pantaloni fuori ordinanza, e, un po’ di autorità sopra i soldati comuni, cosa che mi stuzzicava. Tutto sommato, il servizio militare fu una grande perdita di tempo e basta, tempo che avrei potuto passare imparandomi il mestiere di Grafico Commerciale, il quale ultimamente diventai professionalmente.
Dopo poco tempo speso a casa con mia madre e sorelle, cominciai a passare sempre più tempo in case di amici come Mario C., che aveva un buchetto di appartamento a Trastevere, e dove cominciai a dipingere le pareti con disegni psichedelici, amici come Stefano L. che aveva una stanza dietro a Piazza Navona dove ospitava chiunque, e che m’introdusse a una compagnia di sudamericani Cileni, due coppie, René O. con la moglie Gloria e un piccolo bebè di nome Renato, e Eugenio G. con la moglie Annamaria, incinta. René era un disegnatore fantastico e formammo un’amicizia stretta, fumando tante canne e Shilom, con le cuffie in testa ascoltando i Rolling Stones, Cream, Hendrix, etc. mentre assieme disegnavamo scambiandoci il foglio e intervenendo nel disegno dell’altro. Eugenio, un bravissimo fotografo. Sognavamo di antiche civiltà sudamericane precolombiane, di dischi volanti, avendo appena scoperto Von Danaken e il suo libro “Charriots of the Gods”… Vivevano in un appartamento in Via Urbana, e fu lì che per la prima volta provai a trippare. Non con l’acido, del quale ero ancora timoroso, ma ingerendo una manciata di semi di Campanula Blu offertami da René.
Il primo effetto, che crebbe pian piano, fu una grande nausea, e vomitammo come matti. Sentivo il pavimento che si muoveva con il rimbombo prodotto da ogni nostro passo. Poi, delle distorsioni visive, e allucinazioni coloratissime che non durarono tanto.
Cominciavano a formarsi le “Comuni” di amici, Mario C. dopo aver condiviso un appartamento con Paolo P., si era aggregato a un altro gruppo di sudamericani formando la “Comune di Piazza De’ Renzi” con Jorge G., nella casa prima occupata da Alberto G., che era a New York. Rene ed io avevamo disegnato una serie di poster che intitolammo “Amauta Shilom” (Amauta, alto sacerdote Inca – Shilom = di ovvio uso) che divenne anche il nome del nostro gruppo.

http://www.johnfloresgraphics.com/AmautaShilonStudio.html

C’erano ormai gruppi a Campo de’ Fiori, Trastevere, Via Margutta, Piazza Navona, tutti più o meno politicizzati, poi c’era il gruppo del Piper, dove conobbi le sorelle Anna e Sandra C., Giuliano C., Giorgio F., Michele LG., Sandro S., e tanti altri… Eugenio e Annamaria erano diventati genitori e avevano comprato una casa a Bracciano e si trasferirono, e fu qui che feci il mio primo acido. Una sera nel 69, mentre con René disegnavamo ascoltando il giradischi, un battito alla porta (Non avevamo telefono), e ci troviamo Luigi G. (Fratello minore di Alberto G.), con due figure che non avevo mai visto. “Ciao René, questi sono Halma e Steve W., e dicono che ti conoscono…” Si erano conosciuti l’anno precedente a Parigi, e arrivavano freschi da San Francisco. Steve, un 17enne nero parte Nativo Americano, di Brooklyn, che indossava indumenti di pelle fatti a mano, con frange e decorati di ricami di perline, con chitarra in spalla e un flauto in mano. Halma era una donnona, quasi il doppio del suo minuscolo compagno, anche lei sudamericana, ma Argentina, incinta, gonna lunga con scialli e fazzoletti, anelli e collane, una chioma di capelli rosso mattone lunga oltre il culo. Più anziana, 32enne. Portava con sé una bottiglietta medicinale piena di chissaquante piccole pasticchette arancioni rotonde a tubo. “Orange Sunshine, direttamente dal laboratorio personale di Tim Skully in Sonoma” ci disse, e lo offrì a tutti… Dopo, i viaggi si moltiplicarono in varie situazioni, ma non tutti furono come quel primo, un’esperienza unica.
Dal 69 al 71 mi dedicai alla nascente Stampa Underground romana, creando un foglio stampato in cianografia stampato solo su in lato della carta (Sistema che avevo scoperto lavorando con un cugino geometra qualche anno prima), un lungo foglio monocolore, piegato a fisarmonica per creare le pagine, con l’aiuto Mario Vaporetto, e lo intitolammo “La Comune” (Poi diventato “Il Manifesto”). Se ne stampavano quante copie che potevamo permetterci e le vendevamo per strada ovunque, anche davanti al Folk Studio, il Film Studio, Piazza di Spagna, Santa Maria in Trastevere, etc.

Nel 70 René ed io andammo a Londra, invitati da una coppia d’inglesi, per cercare di vendere dei lavori. International Times e OZ Magazine comprarono una delle 5 pagine di Amauta Shilom per ciascuno (Mai pubblicate). Il giorno prima del nostro rientro a Roma, i nostri ospiti diedero una festa a casa loro per un trio di ragazze americane che si preparavano a tornare negli USA dopo un’estate passata in Grecia. Ci fu il classico colpo di fulmine, amore a prima vista tra me e Barbara S. – Invece di tornare a casa, venne e Roma per una settimana, poi ci scrivemmo avanti e indietro fino a che decisi di seguirla nel 71… Quando Anna C. divenne la donna di Mario Schifano, presi a frequentare il suo studio a Campo de’ Fiori, aiutandolo perfino in uno dei suoi progetti. Ricalcai la silhouette di un albero da lui tagliata, su diverse tele che poi lui dipinse. Con spinelli e la musica di James Brown….
Assieme al gruppo della comune di Via Giovanni Lanza (Fabio C., “Petta” V., “Stefanino” d’E., Aldo P., Stefano L., Giuseppe V., e altri), ci inventammo “MOTHER” (che poi divenne “Madria”)…
Nel 71 finalmente decisi di fare il grande salto e andare alla scoperta dell’America (inseguendo “La femme”) e finendo per viverci e
diventarne cittadino naturalizzato.
Ma quella è tutta un’altra storia…

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